Ieri la festa di San Vittore

Ieri la festa di San Vittore Ieri la festa di San Vittore Protettore dei perseguitati ospita i corrotti di Tangentopoli MELANO. Otto maggio, festa di San Vittore. No, Milano la laica non si ferma per questo diletto figlio della Chiesa, tanto caro a Sant'Ambrogio che volle far seppellire al suo fianco suo fratello Satiro. «La festa? Solo di domenica, come sempre», risponde il parroco di San Vittore al Corpo, a poche centinaia di metri dal carcere intitolato al martire. Eppure, stavolta, il santo si riprende la rivincita. Fioriscono le battute, le scritte sui muri: quelle generiche, del tipo «Forza Di Pietro, tutti a San Vittore», o quelle più politicizzate, come «San Vittore, la casa comune della sinistra». No, non sarà promosso a patrono di Milano il martire meneghino, ma in Tangentopoli, la città che emerge dai Navigli sotto la spinta del giudice Di Pietro, il Vittore assume un ruolo esemplare. E questo anche se, a leggere la sua storia, il buon Vittore può essere un patrono dei perseguitati, dei controcorrente, più che dei potenti o dei pubbli¬ ci amminisratori. Una sorta di santo eroe, dalla vita movimentata e coraggiosa. Narra la «Bibliotheca Hagiographica latina antiquae et mediai' aetatis» che il giovane Vittore da Milano rifiutò di prestare il servizio militare, nelle truppe imperiali. Correva il terzo secolo dell'era cristiana e Vittore, obiettore di coscienza ante litteram, fu arrestato, tradotto all'ippodromo (nei pressi di porta Ticinese) al cospetto dell'imperatore Massimiliano Erculeo e del suo consigliere Anulino. Qui gli venne chiesto l'atto di sottomissione, ovvero di sacrificare agli idoli. Ma il prode Vittore rifiutò di piegarsi, affrontando la flagellazione e la tortura. Addirittura si racconta che gli venne iniettato il piombo liquido nelle carni. Ma, almeno secondo la Bibliotheca, lui uscì indenne da questa atrocità, più combattivo che mai. Riuscì a fuggire dal carcere che sorgeva nei pressi di Porta Romana, non lontano dall'attuale sede del Tribunale. Si na- scose nelle stalle di Porta Vercellina, non lontano dall'attuale sede del carcere meneghino. Ma fu raggiunto dai persecutori, trascinato in un bosco di olmi (altri tempi, tanto verde e poche opere pubbliche appaltate) e venne, infine, giustiziato. Una vita da perseguitato, insomma, e controcorrente. «E non credo che le persone al centro delle vicende milanesi dei nostri giorni possano venir equiparate a un perseguitato» commenta padre Angelo Macchi, gesuita, animatore della rivista «Aggiornamenti sociali», una delle voci più stimolanti del mondo cattolico meneghino. Al santo meneghino possono levare i voti, semmai, solo quegli imprenditori che confessano, che partecipano al rito dell'inchiesta, non chi ricorre all'omertà. «Forse - continua padre Macchi - il giudice che rifiuta di sottrarsi ai propri doveri e affronta i rischi dell'onestà è il più vicino all'immagine di Vittore che si rifiuta di sacrificare agli idoli». Alla fine, conclude padre Macchi, «quella luce che cercava San Vittore, quella sua ostinazione a non piegarsi al volere dell'imperatore» può venir accostata, con un po' di irriverenza, a quella trasparenza nella pubblica amministrazione che il popolo meneghino (e non solo) invoca a gran voce. San Vittore, prega per noi e pensaci tu. [u. b.l

Persone citate: Angelo Macchi, Di Pietro

Luoghi citati: Milano