Così Philip Class a Firenze fa crollare la casa di Poe

Così Philip Glass a Firenze fa crollare la casa di Poe Successo contrastato (e fischi) per il compositore l'altra sera alla Pergola: era la prima opera moderna al «Maggio» Così Philip Glass a Firenze fa crollare la casa di Poe Le regole del minimalismo musicale contro la dialettica del teatro tradizionale FIRENZE. Successo contrastato per l'opera di Philip Class andata in scena l'altra sera al Teatro della Pergola per il Maggio Musicale Fiorentino: quando il compositore è comparso sul palcoscenico un coro di dissensi si è unito ad applausi altrettanto convinti. Il che rispecchia la natura ambivalente della «Caduta della casa Usher», tratta dall'omonimo racconto di Poe ridotto a libretto da Arthur Yorinks: la musica di Class da un lato trova nell'argomento dell'opera un soggetto che le viene incontro con naturale predisposizione; ma dall'altro non regge il peso della narrazione e della rappresentazione teatrale. Questo, in breve, l'argomento. Chiamato a visitare Roderick Usher, vecchio amico d'infanzia, che vive le angosce della nevrosi in una remota casa di campagna, William assiste al suo crollo fisico e morale, reso definitivo da un fatto agghiacciante: la sorella con cui Usher viveva legato da un rapporto incestuoso (assente in Poe e introdotto dal librettista) viene creduta morta, quindi sepolta prematuramente nei sotterranei della casa. Ella riesce però a sopravvivere, fugge dalla sua tomba e ricompare, insanguinata, dinanzi al fratello per accasciarsi sul suo corpo, ormai esanime, mentre la casa crolla, inabissandosi nello stagno. Fondata, come vuole la migliore tradizione minimalista, (checché ne pensi Lorenzo Ferrerò che ritiene l'opera ormai al di là di quell'esperienza), sulla ripetizione di moduli fissi, ritmici e melodici, la musica di Glass sembra fatta apposta per cogliere un aspetto preciso della vicenda: la fissità del terrore. La posizione del musicista americano nei confronti dell'argomento è così sostanzialmente diversa da quella di Debussy che, nel progetto incompiuto della «Maison Usher», mirava a rendere il crescendo dell'angoscia: qui non c'è alcun crescendo, bensì il costante martellamento di quegli stati d'animo che la ripetizione in musica rende da sempre con particolare esattezza: ossessione, paura, sorpresa, imbarazzo di situazioni fisse, senza via d'uscita. Anche lo spettacolo del regista Richard Foreman con i costumi di Patricia Zipprodt mira al medesimo scopo: nell'unica stanza con le pareti trapuntate, rosa e grigie, cinque ventilatori girano sul soffitto, gli specchi che chiudono le aperture ruotano su se stessi, mandando in sala bagliori di lampi, le tende di sfondo si agitano sotto l'azione di un vento che pare fisso, fuori dal tempo e dalla storia. Carica di simboli, e non priva di suggestione, questa regia rende tuttavia oscura una vicenda che sarebbe chiarissima e che la musica fa propria in alcune intuizioni poetiche: l'idea del carillon, per esempio, che os¬ sessiona la mente malata di Usher, la scena della tempesta, sul rombo del tuono, alcuni squarci di canto femminile che planano dolcemente sull'incessante pulsare dei disegni orchestrali, sovente assai ben strumentati: Glass sa come usare l'orchestra e trarre il massimo partito dalle variazioni ritmiche, timbriche e melodiche che la gabbia minimalista gli concede. D'altra parte, di personaggi realizzati musicalmente, non è neppure il caso di parlare. Così, dopo la prima mezz'ora la curiosità e l'attenzione dell'ascoltatore cominciano a vacillare come la casa, gli arredi, e gli animi dei personaggi di Poe: la tecnica dell'iterazione fatica a seguire la narrazione della vicenda e a sostenerne la teatralità, cosicché una fessura si allarga sempre di più nella costruzione dell'opera sino a renderla, alla fine, pericolante. Analogia voluta con la caduta della «House of Usher?». No, la sottigliezza del compositore non arriva a riprodurre nella forma il dramma rappresentato; semplicemente, le regole del rninimalismo non sopportano la dialettica del teatro tradizionale fatto di altimetrie, constrasti, fratture e colpi di scena: il rninimalismo è l'antitesi stessa della sorpresa e del divenire dialettico. Buona m'è parsa la concertazione e la direzione di Marcello Panni che ha messo in rilievo la scrittura orchestale di Glass, abile nell'illudere l'orecchio e fargli credere che in orchestra ci siano assai più di una dozzina di strumenti. I cantanti Steven Paul Aiken, Jacque Trussel, Suzan Hanson, Filippo Militano e Marco Beadsley hanno collaborato con successo alla fluidità dell'esecuzione, mentre è merito di Heather Carson se lo spettacolo s'è avvalso di luci strane e suggestive, quasi in ogni scena. Paolo Gal la rati

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