Per coprire i corrotti del Palazzo spunta il cavillo del fifty-fifty

Per coprire i corrotti del Palazzo spunta il cavillo del fifty-fifty NOMI E COGNOMI Per coprire i corrotti del Palazzo spunta il cavillo del fifty-fifty ■"^ ALDANZOSA s'avanza JLJ la tesi del fifty-fifty. Politici e imprenditori pari son: i primi intascano, gli altri erogano, ma la responsabilità etica, se non quella penale, è identica. Naturalmente, la teoria ha fatto i primi passi nei «pensatoi» di partito, ma ha trovato fautori anche nello schieramento imprenditoriale, per bocca di Luca Beltrami Gadola, costruttore milanese di quarta generazione e di sentimenti socialisti. Fifty-fifty, ha proclamato Gadola, pur regalandoci un'efficace immagine che dipinge i politici come aguzzini e gli industriali come vittime sacrificali: «Noi costruttori viviamo come in un campo di concentramento: non possiamo denunciare chi tra noi, per fame, ha rubato una pagnotta». La questione, in effetti, è piuttosto ostica nei suoi aspetti giuridici, etici e politici. Se tra il pubblico ufficiale che detiene un potere e l'imprenditore che da questo potere vuole essere favorito s'mstaura un negozio paritario (tu mi dai l'autorizzazione e io ti pago) chi è corrotto e chi corruttore, chi è più corrotto? L'intreccio d'interesse è così ambiguo che è difficile stabilire i gradi di responsabilità. Tanto che i giudici milanesi hanno introdotto il concetto della «dazione ambientale», cioè della corruzione che è nell'aria. «L'operatore economico che viene in contatto con una struttura della pubblica amministrazione per ottenere un appalto, una fornitura pubblica e via dicendo - ha spiegato il procuratore capo di Milano Francesco Saverio Borrelli - avverte una sorta di pressione ambientale. Sa cioè che, per ingraziarsi il suo interlocutore, I deve pagarlo. Ed ecco che l'iriiI prenditore è sia vittima sia per- petuatore di una prassi di corruttela». D'altra parte, le vittime si sono organizzate tanto bene da edificare un sistema semiautomatico di spartizione del mercato e di erogazione delle tangenti. Per Milano, qualcuno ha parlato di «cupoletta». In termini meno immaginifici si può dire che le imprese operanti nel settore delle opere pubbliche (chissà negli altri appalti) hanno fatto «cartello» fra loro. E tutti sanno che questa pratica uccide il libero mercato e fa naturalmente lievitare i prezzi. Se l'aspetto penale della questione è intricato, quello etico lo è assai di più, perché non esiste un codice dell'etica negli affari. Tutti ne parlano da qualche anno, ma nessuno sa neanche bene di che cosa si tratti. Un concetto che vien dato per scontato da Max Weber in poi è che la crescita del capitalismo sia stata favorita dalla severità protestante e calvinista. Per converso, i Paesi cattolici come l'Italia son sempre stati considerati più propensi alla menzogna, alle scorciatoie e naturalmente al perdono. Ma i fatti dimostrano che l'equazione non è poi così garantita: gli scandali ci sono ovunque, dalla Germania alla Gran Bretagna, dagli Stati Uniti al Giappone. Pensare che la «corruzione sistemica» che si sta scoprendo in Italia sia attribuibile alla cultura cattolica ci sembra dare un comodo alibi sociale ai corrotti. Nessuno di loro lo merita, an¬ che se i reati commessi dagli imprenditori coinvolti neflo scandalo milanese ci sembrano un po' meno odiosi di quelli dei politici. Non foss'altro perché la «dazione ambientale» deve pur aver avuto un inizio ed è lecito presumere che derivi più dalla fame di denaro dei partiti che dalle scorciatoie che pure imprenditori di pochi scrupoli hanno cercato. Adesso le imprese, soprattutto le grandi, hanno una strada obbligata: mettersi d'accordo per non pagare più tangenti. C'è infine il versante politico. Basta addentrarcisi un attimo per sentir crescere il proprio fastidio. Il politico che ruba, infatti, è peggio che un ladro, è uno stupido. Parola di George Washington Plunkitt, senatore democratico newyorkese di fine Ottocento, il quale teorizzò che per arricchirsi in un sistema dominato dai partiti «con le grandiose occasioni che ci sono in giro non ci sono scuse per rubare neanche un centesimo». L'impagabile senatore spiegò in un aureo libretto: «Esiste una concussione onesta e io sono un esempio vivente di come funziona. Il mio partito è al potere in città e sta per intraprendere una serie di lavori pubblici... Si sta pensando di fare un parco in un certo posto. Mi precipito a comprare tutta la terra che posso nella zona... Si scatena la corsa ai miei terreni. Non è perfettamente onesto far pagare un buon prezzo e realizzare un profitto sul mio investimento?». I nostri piccoli Plunkitt meneghini alla «concussione onesta» hanno preferito il taglieggiamento e il ricatto, ben più facilmente accertabili. Pigrizia, stupidità o improntitudine per la certezza dell'impunità? Alberto Staterà araj

Persone citate: Alberto Staterà, Francesco Saverio Borrelli, Gadola, George Washington, Luca Beltrami Gadola, Max Weber

Luoghi citati: Germania, Giappone, Gran Bretagna, Italia, Milano, Nomi, Stati Uniti