All'ombra dei cognati sul ring della politica di Filippo Ceccarelli

All'ombra dei cognati sul ring della politica All'ombra dei cognati sul ring della politica COGNATO sarà lei! Povero Pillitteri: da un decennio, ormai, va avanti questa storia. E povero anche Craxi, che pure lui senza dubbi è cognato. Eppure, per forza di cose, «il cognato», cioè il cognato vero, anzi perfino «il cognatissimo» e sempre stato l'ex sindaco di Milano. E non si è mai capito bene se questo vincolo - croce e delizia della famiglia allargata - fosse per lui, come per tanti altri cognati famosi, una fortuna o un dannatissimo handicap. Forse tutte e due le cose, in definitiva. E infatti ha continuato ad oscillare, il «Pilli», tra furente imbarazzo e compiaciuta autoironia. Lasciando agli atti un repertorio di variopinte argomentazioni che vanno da: «Altro che cognato! Io sono il capomastro di me stesso, e la costruzione è stata così dura che ho ancora i calli sulle mani». Fino a: «Anch'io ho deciso di scrivere sull'Avana'.' con uno pseudonimo, come Ghino di Tacco. Ma invece di GdT mi firmerò CdC: Cognato di Craxi. Le piace?». Così così. Il proposito, oltretutto, non venne mai messo in atto. E nonostante ulteriori tentativi di difesa a sfondo storico-politico («La cosiddetta criminalizzazione del parente scriveva Pilliteli al manifesto - è tipica dei sistemi fascisti e stalinisti»), la cognateide dilagava. Irresistibile. Troppi spunti, anche al di là della politica, offre da sempre questa figura di parente acquisito: il fratello della moglie, o il marito della sorella. Meglio se di un potente. Una presenza ingombrante da proteggere e favorire, uno scioperato pronto a succhiare, nell'ombra, un potere che non è suo. Povero Pillitteri. Con la penna intinta nel cianuro Sergio Saviane lo descriveva come «un vitellone che girava per casa Craxi in ciabatte e canottiera». E, per quanto fittizia e ingenerosa, l'immagine richiamava quello straordinario cognato felliniano di Amarcord: pigiama, la retina in testa e l'aria disgustata, seduto al tavolo da pranzo, il piatto in una mano e la forchetta nell'altra. Un'inesorabile moltitudine di cognate e soprattutto di cognati popola in modo più o meno imbarazzante la storia, la letteratura, lo spettacolo e la fantasia dei popoli. «Il cognato», per dire, s'intitola un drammone lituano su un giovanotto scapestrato. Ma è qui in Italia, dove secondo un'indagine Eurisko sulle reti di relazioni parentali circa il 20 per cento degli adulti (contro il 6,8 della Gran Bretagna e il 12,1 della Germania) risulta intrattenere strette relazioni con le sorelle, che la figura del cognato conferma sia pure per via indiretta il suo invadente trionfo. Eccoti perciò, per restare all'attualità, Mauro Leone imparentato, per incroci parentali, con Ornella Muti; Mia Martini con Borg (pessimi rapporti); Carlo Verdone con Christian De Sica («Ci piace molto lavorare insieme»). E se la cavano tutti. Nessuno ha mai avuto a che ridire sul fatto che Al Bano faccia tournée con Tyrone Power jr. In politica, invece, la parentela scotta sempre. La malignità è costantemente in agguato; E, a dispetto della regola secondo cui chi è senza cognato scagli la prima pietra, per il potente il congiunto acquisito finisce per diventare, con impressionante regolarità, un elemento di debolezza. «Napoleone arrivò alla meta agognata!» recitava Renato Rascel in uno dei suoi sketch surreali. Si fermava un attimo e poi: «La cognata...». La cognata di Bo¬ naparte, per la verità, non fece storia. La fecero piuttosto due cognati napoleonica: uno è Gioacchino Murat. L'altro, più modestamente, si chiamava Felice Baciocchi e fu nominato (con qualche maldicenza) principe di Lucca e di Piombino. Ogni epoca ha i suoi cognati da criticare. O i suoi quasi-cognati, come nel caso del fascismo e di quel Marcello Petafcci, fratello di Claretta, di cui si sussurrava per una sua particolare disinvoltura finanziaria. Pensare che, in tema, non si salvò neanche Alcide De Gasperi, come testimoniano certe vignette del Candido di Guareschi. Lo statista che marcia al canto dell'Internazionale: «Su fratelli e su cognati...». Dietro di lui una folla di individui con cosciotti di pollo tra i denti e la spiega: «Il cognato Romani Pietro, commissario perpetuo Enit; il cognato Romani Carlo, monopolio cotone egiziano...». Non si sono salvati, in tempi più recenti, né Antonio Gava, che ha avuto qualche problema con il fallimento della società Acafio del cognato Luigi «Gigione» Acanfora. Né Ciriaco De Mita, per via del cognato Francesco Scarinzi, che si scoprì essere consigliere del Consorzio dell'Alto Calore. Nulla comunque di paragonabile alla sanguinosa faida familiar-politica che oppone Umberto Bossi al cognato Pierangelo Brivio, marito di Angela. Il quale dice del senatùr: «L'è matt... mia moglie ed io lo mantenevamo». Ed è ricambiato con due simpatici aggettivi: «Brutto e sdentato». Leggenda nera, dunque, per i cognati, non solo del potere. In «Guerra e pace» il perfido Kuragin tenta di sedurre Natascia mentre Andrej è sul campo di battaglia. Mentre nel «Padrino» è un cognato a tradire. Rosa, sexy e anche un po' torbida, invece, quella delle cognate della letteratura e del cinema. A cominciar re dalla Francesca del V canto dell'Inferno, che ama Paolo («Amor condusse» i due cognati «ad una morte») fino alla «cognatina» di un filmaccio anni Settanta. Passando naturalmente per Rossella O'Hara di «Via col vento». Amata dal cognato Lesile Howard. Filippo Ceccarelli Da Napoleone al fratello di Garetta Petacci, daDeGasperi ai casi di Gava e De Mita Nella foto a fianco: Napoleone Bonaparte. A sinistra: Alcide De Gasperi e Giovannino Guareschi Sotto: Ciriaco De Mita con la moglie

Luoghi citati: Germania, Gran Bretagna, Italia, Lucca, Milano, Piombino