L'Afghanistan indossa il chador

L'Afghanistan indossa il chador L'ultra Hekmatyar tenta l'ultimo assalto: razzi sulla capitale, 25 morti L'Afghanistan indossa il chador Addio ai jeans e alle annunciatrici tv Primi segni della nuova era islamica KABUL. A Kabul la paco ò durata soltanto qualche giorno. I guerriglieri di Hezb-i-Islami, la formazione integralista di Gulbuddin Hekmatyar, hanno concretizzato le minacce del loro capo lanciando sulla capitale afghana centinaia di razzi. La gente ha abbandonato le case in preda al panico. I morti sono 25, i feriti un centinaio. Tra le vittime un bambino di un anno. In 15 minuti circa 25 razzi di fabbricazione egiziana hanno distrutto centinaia di case costruite di fango in un quartiere meridionale. Altri razzi sono caduti nella zona dell'aeroporto, alla periferia orientale della città. L'attacco, preceduto da un nuovo ultimatum di Hekmatyar, rischia di vanificare tutti i tentativi di pacificazione del governo provvisorio e gli sforzi di normalizzazione degli abitanti di Kabul. Soltanto ieri l'erogazione dell'energia elettrica era stata ripristinata in buona parte della città. Ma Hekmatyar, che si oppone alla linea moderata adottata dal ministro della difesa Masud e dal presidente Mojadidi, ha avvertito che se la milizia del generale Rashid Dostum non verrà cacciata, le sue forze invaderanno la capitale nel giro di «pochi giorni». [Agi-Ansa] KABUL DAL NOSTRO INVIATO Quale Corano per l'Afghanistan? Il nuovo regime islamico ha dato finora, in proposito, scarsi segnali e non univoci. Le migliaia di mujaheddin che scorrazzano per la città al grido di «Allah u akhbar» interpretano bene l'ondata islamica che, forse, sta per abbattersi sul Paese. Ma non è detto che sarà più lunga d'una stagione in un Paese che conta il tempo in secoli. Più che dall'entusiasmo delle masse sembrano circondati dalla paura. Sono i liberatori dal comunismo - e, per questo, bene accolti - ma, come aruspici di nuove pastoie ideologiche, di nuovi divieti, vengono guardati con sospetto. Il bazar, termometro fedele degli umori, resta acquattato sul tappeto di Kabul come un gatto marrone, indifferenze e pigro. Allah è certo grande, ma bisogna pur vivere. E, in attesa di sentire come tirerà il vento, ci si adegua alle previsioni più attendibili. Ismail, gestore di cinema ancora per poco statale, ha tirato giù la serranda e aspetta. Programmava un castigato film indiano - di quelli che qui furoreggiano ma dove le donne appaiono a braccia nude, viso truccato e scoperto, capelli fluenti e sensuali. «Non è in armonia con la legge del Corano», dice apparentemente convinto. Qualcuno glielo ha suggerito? Dice di no, sostiene che è una sua iniziativa. Comunque non ha alternative di programmazione. Cancellati, ormai da tempo, i film sovietici, anche i manifesti di Rambo pendono stracciati dalle bacheche del cinema «Milli», chiuso come tutti gli altri. L'America ha mandato i kalashnikov comprati al mercato nero dalla Cia, ma i fratelli islamici dell'Arabia Saudita non amano gli eroi di Hollywood. Le donne sono sparite dalle vie del centro e le si può vedere solo in periferia, nelle compere frettolose dell'essenziale. E quelle poche sono ormai tutte a capo coperto, col velo sulla bocca, in abito tradizionale. Il «chadori», la cappa monacale che nasconde tutto, lasciando solo una finestrella traforata per respirare, impenetrabile agli sguardi esterni, è l'abbigliamento più sicuro. Le rare studentesse che si vedono nei viali dell'università hanno abbandonato tutte - senza eccezione - la gonna o i jeans. Farah, che accetta di parlarne, è affranta: «Ho dovuto. Mia madre mi ha scongiurato. Vestire all'occidentale è pericoloso». Esagera? Si racconta che domenica scorsa i dirigenti della tv afghana hanno comunicato all'improvviso alle cinque annunciatrici che dovevano considerarsi licenziate. Poi c'è stato un ripensamento. Dopo due giorni di soli annunciatori, qualche volto femminile è riapparso, ma a testa coperta. Segnali anche questi, che volano nell'etere ad avvertire le classi più ricche e più colte (quei pochi che hanno la tv) del clima che potrebbe venire. Chissà dove sono finiti, o quale grata di seta li copre, quegli occhi bellissimi che vidi sul¬ la via Maiwand qualche giorno prima della «caduta» di Kabul. Due ragazze facevano lo shopping - se si può dire così nel caso specifico - in pieno centro, in gonna e tacchi alti, calze di nylon e blusa sportiva. Avevano salutato lo straniero con un cenno furtivo a metà strada tra la sfrontatezza e una timida curiosità. Nell'indifferenza generale. Ora, a pochi giorni di distanza, mi rendo conto che una scena del genere non si potrebbe più ripetere. Abdullatif e Ramazan vestono ora, anche loro, il «camis partug»: camicia lunga fino alle ginocchia e larghi pantaloni. Sono due ragazzi sui vent'anni, di nazionalità azarà. Sciiti entrambi. «Fino a ieri ho portato i jeans - dice Abdullatif con sarcasmo - ma adesso non sono più di moda». Sentono incombere una nuova, impalpabile cappa di divieti e vi si adattano a malincuore. «Sono anch'io favorevole a conservare le tradizioni, ma non tutte le tradizioni - dice Ramazan - e per me il Corano è una legge semplice e buona, che non ha niente a che vedere con le esasperazioni di questi nuovi arrivati». E' evidente che Hekmatyar fa paura, ma anche Masud, il nuovo potere, fa storcere loro la bocca. <A noi piace la tecnologia occidentale, la musica, il vostro modo di divertirsi», insiste Abdullatif. A noi chi? A quanti? E Kabul, fino a che punto rappresenta l'Afghanistan? «Mi creda, qui la pensa così la maggioranza della gente. E non solo a Kabul». Forse riguarda solo i giovani? «Niente affatto! Riguarda anche le persone di mezza età. Forse solo i vecchi sono insensibili a queste cose». Vorreste che la donna entrasse senza ostacoli nella vita sociale? Che le vostre sorelle, se ne avete, vestissero all'occidentale? Ne hanno, entrambi: tre Abdullatif, due Ramazan. E la risposta è univoca: «Il Corano dice che uomo e donna sono uguali, che hanno uguali diritti, che sono esseri umani a pieno titolo». L'«inquinamento» illuministico ha già colpito Ramazan, Abdullatif e Farah. Come colpì il re Amanullah, padre di Zahir, dopo un viaggio in Europa alla metà degli Anni Venti. Si racconta che, tornato a Kabul, esibì la unica moglie ufficiale in un ricevimento di corte - tra lo sconcerto e lo scandalo generale - in un elegante tailleur acquistato, forse, in via Condotti. Altri settant'anni sono passati, dopo quel gesto a suo modo coraggioso. E mi chiedo quanti di questi cortili, sbarrati e inaccessibili, sarebbero pronti ad aprirsi anche solo per fare uscire sulla strada l'altra metà del cielo. Giù l'ietto Chiesa Un mujaheddin con II suo fucile e due bambini che hanno perduto i genitori nella guerra [foto apj