«A Torino la Cupola funzionò» di Beppe Minello

«A Torino la Cupola funzionò» LO SCANDALO TORINESE DEL 1983 Il faccendiere che nell'83 fece cadere la giunta: io ero un imprenditore, non un mafioso «A Torino la Cupola funzionò» Zampini: omertà totale, parlavo solo io ATORINO Milano stanno sbracando mentre qui a Torino la Cupola funzionò alla perfezione: nessuno, tranne me, parlò. Tutti, stoicamente, affrontarono la prigione e lo sputtanamento, ma dopo la sofferenza sono stati premiati. Vada, vada un po' a vedere dove sono finiti e la carriera che hanno fatto i politici e gli imprenditori rimasti coinvolti in quello che voi giornalisti avete definito "lo scandalo delle tangenti"...». Sorride Adriano Zampini, il «faccendiere» come lui stesso si definì nel libro che scrisse e pubblicò a sue spese (nessun editore osò affrontare il rischio) per rievocare, appunto, «lo scandalo delle tangenti» che all'alba del 3 marzo 1983, grazie alle sue rivelazioni, azzerò una classe politica, fece saltare Giunta comunale e regionale e avvelenò per anni il clima della pubblica amministrazione piemontese. Sorride, un po' compiaciuto del fatto che le sue teorie stiano trovando a Milano una fragorosa conferma («Quello di cui mi accusate è niente rispetto alla realtà» dichiarava 10 anni fa a magistrati e carabinieri), un po' perché vedersi riconosciuto il ruolo di «esperto» in «tangentologia» lo lusinga assai. Che cos'è questa storia della Cupola? Vuole chiamarla «Sacra famiglia costituita»? E' lo stesso. E' un meccanismo preordinato, non scritto, per il quale se ti beccano devi tenere duro, non parlare. A Torino funzionò perfettamente perché gli imprenditori che io accusai erano amministratori delegati, funzionari, non i «padroni» di quelle aziende che facevano affari in combutta con i politici. Ma se uno ha rubato, che cosa cambia? Cambia, cambia. Perché io decisi di parlare? Perché ero e sono un imprenditore. Un imprenditore non è un mafioso, non è votato alla causa, magari alla sofferenza in carcere, come lo può essere un politico. E' uno che ragiona in termini di utili: una volta che è in gabbia la prima cosa che pensa è: «Mi è andata male, adesso pago quello che devo pagare alla giustizia, ma devo al più presto uscire e ricominciare». E io, all'epoca, fui l'unico a parlare perché ero anche l'unico che doveva rispondere solo a se stesso. A Milano parlano perché nei guai sono finiti i padroni. Ma chiamare quella di Torino Cupola o Sacra famiglia unita come dice lei non lo trova un po' esagerato? Allora le racconto una cosa che non ho mai detto, nemmeno ai magistrati. Un anno o due prima del 3 marzo '83 feci una riunione con persone importanti nella quale si fece una sorta di «piano d'intervento» sulla città che comportava investimenti pubblici per 10 mila miliardi nei dieci anni a seguire Quali affari? ; Arretramento della stazione di Porta Nuova, l'autostrada del Fréjus, l'area di corso Marche, il centro intermodale di Orbassano, il metrò, il piano parcheggi. Vuole che continui? Sono tutte opere in parte realizzate o prossime alla realizzazione: significa che per ognuna sono state pagate tangenti? Mah, con la mia mentalità ed esperienza e se fossi un magistrato mi muoverei su determinati canali sapendo di cogliere nel segno. Sono convinto che se si guardasse bene nelle ultime opere realizzate ci troveremmo di fronte a una Milano-bis. E chi partecipò a quella riunione? Politici, imprenditori e per volontà dei maggiori rappresentanti io, forse perché ero il più piccolo o perché, messo alla prova, mi ero comportato come loro desideravano, fui incaricato di fare da trait d'union, da punto di contatto fra tutti loro. Mai vi preoccupaste di un possibile intervento della magistratura? Mai. Neanche parlammo di questo argomento. A certi livelli la certezza della totale impunità è qualcosa di concreto. A certi livelli si' hanno agganci ovunque: dalla massoneria ai servizi. Le notizie arrivano sempre in anteprima. Ma voi vi beccarono... E' vero, ma tutti noi fummo in qualche modo allertati. Lei chi l'allertò? Che qualcosa poteva accadere me lo confidò un ex ufficiale dei carabinieri. E perché si fece beccare? L'imprenditore che lavora con la pubblica amministrazione vive nella bambagia: ha pagamenti anticipati, revisioni dei prezzi quando lo chiede, ha la certezza di ricevere tutto il dovuto e la tangente, quando c'è, è considerata una tassa. Insomma non corre nessun rischio d'impresa come qualsiasi imprenditore. L'unico rischio è, appunto, quello della magistratura, ma lo si sopporta anche perché chi viene beccato è niente rispetto alla realtà. Milano è una pustola sul marcio esistente. A Milano però stanno facendo sul serio... Mah, ho letto che 150 imprenditori hanno chiesto di essere interrogati. Per me il potere, quello con-la «P» maiuscola si sta già muovendo. I giudici dovranno stare molto attenti alle dichiarazioni che riceveranno. Sono sicuro che qualcuno di quei 150 rifilerà loro una «zeppa» e se i magistrati ci cascheranno quella «zeppa» verrà utilizzata per sputtanare tutto il lavoro che hanno fatto. Beppe Minello «Finirono tutti in prigione ma dopo è arrivato il premio Guardate un po' che carriera hanno fatto quei politici...» Da sinistra: Francesco Marzachì e Giorgio Vitari i magistrati che condussero l'inchiesta a Torino. A destra Adriano Zampini

Persone citate: Adriano Zampini, Francesco Marzachì, Giorgio Vitari