Dick Tracy è già sul video Sarebbe meglio vederlo al cinema

Dick Tracy è già sul video Sarebbe meglio vederlo al cinema TIVÙ' & TIVU1 Dick Tracy è già sul video Sarebbe meglio vederlo al cinema E, un peccato per i telespettatori: su Raiuno stasera, alle 20,40, arriva uno dei film Novanta più brillanti e fascinosi, ma «Dick Tracy» di Warren Beatty è proprio una di quelle opere che non bisognerebbe vedere alla televisione, almeno per la prima volta. Non è infatti un poliziesco né un fumetto, è invece un'elegantissima operazione estetica, un raffinato lavoro di stile ironico e insieme innocente, un'incantevole riuscita figurativa: e quando i valori vi. suali scenografico-tonali sono tanto essenziali, si capisce che la limitazione di formato e la bassa definizione dello schermo piccolo difficilmente permettono di apprezzarli bene. Meglio così che niente? Può darsi. Dick Tracy, poliziotto in borghese, paladino della giustizia, onesto eroe coraggioso e legnoso popolarissimo in America durante oltre quarantacinque anni, apparve per la prima volta nei fumetti di Chester Gould sul «Detroit Mirror» il 4 ottobre 1931: lo stesso anno in cui il criminale più potente e spietato, Al Capone, veniva processato e condannato, paradossalmente, per evasione fiscale; nello stesso periodo della Grande Depressione seguita al crollo economico del 1929 e dei grandi film di gangsters hollywoodiani; un anno dopo la pubblicazione di «The Maltese I Falcon» di Dashiell Hammett i col suo perfetto poliziotto pri¬ vato Sam Spade. Dick Tracy è il primo detective tecnologizzato, munito di auto convertibili e di radio rice-trasmittente miniaturizzata contenuta nell'orologio da polso, ma usa la violenza fìsica quanto i criminali. Siccome è buono, è anche bello o almeno prestante: mentre i criminali suoi avversari sono mostruosi, incubi fisici della malvagità, nella schematica equazione cattivo=brutto che Chester Gould derivò dalle fiabe classiche e dalla propria vocazione moralistica. Progettista, produttore, regista e protagonista del film, Warren Beatty intendeva resuscitare l'atmosfera, la sempli¬ cità, la struttura di racconto, l'ingenuità di quelle vecchie storie anticrimine, e l'ha fatto benissimo: le inquadrature ripetono la composizione dei quadretti del fumetto, i colori primari sono gli stessi delle tavole domenicali di Gould. Beatty, avvolto nel suo impermeabile giallo e col cappello in testa, è inespressivo, immobile oppure scatenato nell'azione, proprio come Dick Tracy nel disegno; Madonna, sempre fasciata di bianco o di nero, è il prototipo della sirena della malavita; il supercattivo Big Boy è un Al Pacino irriconoscibile e sgradevole; il cattivo Dustin Hoffman è disgustoso, e balbetta sino all'afasia. La città di grattacieli e di desolzioni che sullo sfondo dipinto palpita di luci da presepio, sotto una luna di carta argentata, è il Sogno della Metropoli. Non si può cercare in un film simile sentimenti, calore, identificazione: divertimento, fascino, grazia, spirito e perfezione tecnica sono invece grandi. Il direttore della fotografia Storaro, lo scenografo Sybert, la costumista Canonero, i truccatori Caglione e Drexler hanno fatto un lavoro ammirevole: persino sul piccolo schermo televisivo potrà forse risultare irresistibile un film cosi eloquente del contemporaneo gusto del Gioco e della Nostalgia, del Trionfo del Look. Lietta Tomabuoni onl |

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