Salute in fabbrica, gli sconti sono finiti di Francesco Bullo
Salute in fabbrica, gli sconti sono finiti Per la Cassazione la norma sui rischi lavorativi, che recepisce le direttive Cee, «rafforza» la legge italiana Salute in fabbrica, gli sconti sono finiti Decaduto il decreto che prevedeva proroghe per gli imprenditori TORINO. Non ci saranno i tempi supplementari, per la contestata partita sulla «salute in fabbrica» che l'anno scorso aveva visto scendere in campo perfino il Presidente della Repubblica. Il decreto legge del 1° marzo '92, che prorogava i termini per la valutazione dei rischi lavorativi di chi è esposto al piombo, alla polvere d'amianto, al rumore, è decaduto senza essere stato trasformato in legge. Così per gli imprenditori è arrivato definitivamente il fischio finale. Chi ha avuto il tempo di mettersi in regola con le nuove ' norme può dormire sonni tranquilli, o quasi; chi invece è in riI tardo per la complessità degli impianti o per aver fatto conto su una proroga, rischia il cartellino giallo e pesanti sanzioni. Facile prevedere che sul «decretino» decaduto si riaccenda la polemica scoppiata nell'agosto dell'anno scorso quando Cossiga, in vacanza a Courmayeur, assicurò con una telefonata il numero due della Cgil, Ottaviano Del Turco, che «né ora, né mai» avrebbe avallato «norme poco sicure». Il provvedimento in discussione era stata voluto dal ministro delle Politiche Comunitarie, Pierluigi Romita, per uniformare la legislatura italiana alle direttive Cee. Lo contestarono gli ambientalisti; i sindacati si opposero all'applicazione in fotocopia delle direttive Cee, sostenendo che erano molto più permissive; gli industriali, dal canto loro, ribatterono che non si potevano introdurre norme non previste dalla legislazione europea e parlarono di «campagna intimidatoria». Cossiga rimase fermo sulle sue posizioni e rinviò il decreto al governo l'8 agosto chiedendone il riesame. Poi lo firmò, dieci giorni dopo, ribadendo però nella lettera di ac¬ compagnamento le sue perplessità. Mentre il caso torna d'attualità, viene pubblicata da riviste giuridiche la prima sentenza della Corte di Cassazione che richiama la norma contestata. Rigettando il ricorso di un imprenditore contro una sentenza del pretore di Lodi, in materia di rumore, la 3B sezione penale della Cassazione rileva che il provvedimento governativo voluto da Romita «integra e rafforza» la vecchia norma in vigore dal 1956 in quanto stabilisce il «principio fondamentale» che occorre «ridurre al minimo, in relazione alle conoscenze acquisite in base al progresso tecnico, i rischi derivanti da esposizione al rumore, mediante misure tecniche, organizzative e procedurali, concretamente attuabili, privilegiando gli interventi alla fonte». E più avanti, quasi a rispondere alle preoccupazioni del sindacato per l'innalzamento del limite massimo di rumore consentito (da 85 a 90 decibel), afferma che i «valori limite» nella nuova normativa da un lato introducono un elemento di «maggior certezza», dall'altro non stabiliscono una «precisa linea di demarcazione tra innocuo e nocivo». Tutto ciò per concludere che proprio l'obbligo di ridurre al minimo i rischi da rumore, «senza alcun accenno a valori limite», significa che il rimanere al di sotto di tali limiti «non pare sufficiente ad esimere da colpa gli imprenditori» che pur avendola possibilità, non solo economica, di eliminare o ridurre gli agenti nocivi «siamo rimasti inerti o si siano limitati ad adottare le semplici misure soggettive di prevenzione». Anche questa interpretazione della Cassazione farà discutere. Francesco Bullo
Persone citate: Cossiga, Ottaviano Del Turco, Pierluigi Romita, Romita
Luoghi citati: Courmayeur, Lodi, Torino
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