Dove c'è Barilla i giapponesi non entrano di Alain Elkann

Dove c'è Barilla i giapponesi non entrano L'INDUSTRIALE SI CONFESSA «Il giorno più bello? Quando riacquistai l'azienda che avevamo venduto agli americani» Dove c'è Barilla i giapponesi non entrano «Il nostro motto è crescere, per questo ho comprato Pavesi» PARMA A giovedì è anche il «re» dei Pavesini. E assieme all'altro marchio di famiglia, il «Mulino bianco», Pietro Balilla controlla un terzo del mercato italiano dei biscotti. Barilla mi riceve nel quartier generale del gruppo, a pochi chilometri dal centro di Parma. Alle pareti del suo ufficio campeggiano quadri d'autore: un Rosai, un insolito paesaggio di Morandi e un Francis Bacon che rappresenta due uomini americani vestiti di scuro. «Quelli - dice sorridendo - sono due finanzieri. Una tipologia che conosco male. Io sono un imprenditore vecchio stile, capisco poco di finanza. Lo dico perché quando vendetti la Barilla con mio fratello e mi trovai ad essere un uomo ricco ma disperato di aver perso l'azienda, feci alcuni investimenti immobiliari di scarso successo. Avevamo venduto al gruppo multinazionale americano Grace. Nove an- ni dopo, per caso, la Grace volle disfarsi della Barilla, che non guadagnava, e così potei ricomprarla». E' vero che Antoine Riboud, presidente del gruppo alimentare francese Bsn, in quel momento voleva comperare la Balilla? Sì, faceva delle trattative per comperarla al gruppo Grace, ma per fortuna sono riuscito a trattare prima di lui. Che effetto le ha fatto ritro- vare la sua azienda? Di grande gioia. Avevo condotto tutte le trattative e portato con me i miei figli maggiori perché vedessero che avevo provato «alla grande» a ricomprare la Barilla. Per fortuna ce l'ho fatta. Allora avevo 67 anni e la Barilla faceva un fatturato di 240 miliardi. Adesso ne ho 79 e la Barilla fattura 3400 miliardi. Come è possibile? La congiuntura è stata molto favorevole. Oggi l'alimentare è im¬ portante finanziariamente perché è diventato un affare. Negli Anni 70 la dietologia diceva che i carboidrati erano inutili e non facevano bene. Adesso si dice che sono salutari. E io sono orgoglioso di essere uno spaghettaro. Oggi produciamo anche biscotti, pane, merende. Ci prepariamo a realizzare il pane industriale come in altri Paesi europei. La Barilla non teme l'arrivo dei giapponesi? Certo no. La pasta è un prodotto italiano. Noi comperiamo il grando duro nel Sud d'Italia, abbiamo mulini in Puglia. Lo compriamo anche in Francia e altri Paesi europei. Lei è un buon compratore di materia prima, di grano? Io sono soprattutto un venditore. Fin da ragazzo andavo a vendere «a tappeto» nelle varie città italiane. Partivo con una moto Sunbeam, erano gli Anni 30. Mio fratello era un ottimo compratore di materie prime. Adesso che non è più in azienda se ne occupa un'equipe specializzata. Voi non siete riusciti a com- Serare la Lustucru, azienda mancese produttrice di pasta. Come mai? In ogni Paese c'è un po' di reticenza a vendere certe aziende tipiche di quel Paese. Accade che lo Stato preferisca intervenire segretamente. In Grecia è vietato vendere pasta italiana? Sì. Noi abbiamo la nostra azienda, dove produciamo pasta greca. Siamo i primi produttori di pasta in Grecia. E l'Europa? L'Europa si farà, ne sono convinto. Vi saranno alti e bassi ma si farà. Parlavo con l'ex ministro francese Orlali e dicevamo che l'Italia nei prossimi anni deve mettersi in riga. Bisognerà fare dei sacrifici. E la mafia? Un giorno risolveremo anche il problema della mafia, altrimenti dovremo scendere in piazza e sparare. Purtroppo la mafia produce trafficando in droga una massa di miliardi che ballano misteriosamente. Purtroppo è una quantità di denaro che ha una grande potenza. Cos'è cambiato? Il Paese è ricco, non c'è più la miseria. Da noi non suda più nessuno. Oggigiorno gli operai vengono a lavorare in automobile. Qua! è la pasta più venduta? Forse lo spaghetto n. 5, in Italia, ma ci sono 200 tipi di pasta. Che progetti futuri ha la Balilla? Cresciamo e costruiamo altri stabilimenti, altri uffici. Comperammo i terreni dove c'è l'azienda oggi al Cottolengo di Torino, il pagamento fu effettuato in cash. Per ora abbiamo comperato la Pavesi alla Sme, che fattura circa 300 miliardi e si aggiunge ad altre consociate della Barilla quali la Voiello o la Tre Marie. Lei crede molto nella pubblicità? Certo. Furono gli americani a insegnarmi che la pubblicità era fondamentale. Per noi lo è. Fin da quando presi in mano la Barilla dopo la guerra credetti alla pubblicità. Pensi agli spot con Dario Fo, Mina di Federico Fellini e oggi con Paul Newman. Alain Elkann «Siamo un gruppo da 3400 miliardi La pubblicità? E' fondamentale» Pietro Barilla e (sopra) Antoine Riboud presidente della Bsn