Bosnia, il Presidente è ostaggio dell'Armata serba

Bosnia, il Presidente è ostaggio dell'Armata serba Carri armati a Sarajevo, assediata dai bombardamenti dell'esercito federale. Ucciso un osservatore della Comunità europea Bosnia, il Presidente è ostaggio dell'Armata serba Izetbegovic e la figlia arrestati al ritorno dalla riunione Cee in Portogallo GUIMARAES. L'inferno della guerra sta divorando Sarajevo. Ieri sono riesplosi gli scontri armati tra l'esercito serbo-federale e la difesa territoriale della Bosnia Erzegovina e un osservatore della Cee è stato ucciso. I carri armati sono entrati in città, mentre l'artiglieria federale bombarda ininterrottamente la capitale bosniaca. Le fiamme avvolgono i palazzi del centro, morti e feriti non si contano più. Ma il dramma è scoppiato dopo che le forze della difesa territoriale bosniaca hanno assediato il comando della Seconda regione militare. Nel cielo di Sarajevo sono sfrecciati i bombardieri di Belgrado minacciando di bombardare la città. Alle 19 di ieri, all'aeroporto di Sarajevo, i militari hanno arrestato il presidente della Bosnia, Alija Izetbegovic, di ritorno dalla riunione della Cee in Portogallo. Con il presidente bosniaco sono stati fermati la figlia e i membri del suo seguito. Tutti sono stati portati nella caserma di Lukovica. E l'esercito ha rilanciato l'ennesimo ultimatum alle autorità bosniache: se non verrà permessa l'evacuazione del comando della Seconda regione militare e se non potranno essere recuperate le salme dei soldati morti, il presidente Izetbegovic rimarrà nelle loro mani. La televisione e la radio bosniaca hanno trasmesso in diretta il colloquio tra il presidente agli arresti e i membri della Presidenza collegiale bosniaca a Sarajevo. Izetbegovic ha invitato all'immediato cessate-il-fuoco. Ma il colonnello dell'esercito fe- dorale che gli stava vicino è stato molto più duro, minacciando nuovi attacchi alla città se non verranno rispettate tutte le condizioni. Intanto il ministro della Difesa bosniaca spiegava che in quel momento le truppe serbofederali stavano sparando sulla città impedendo alle ambulanze di prestare soccorso ai feriti. La guerra jugoslava che si riaccende mette in difficoltà la Cee. Riuniti nello storico castello di Guimaraes, a pochi chilometri da Oporto, i ministri degli Esteri dei 12 dichiarano l'intenzione di «mantenere la pressione» sulla crisi; ma su nessuno dei temi affrontati ieri essi hanno saputo trovare la carta vicente. Non sul¬ la Macedonia, per la quale hanno espresso la loro «volontà» di riconoscimento forse già al loro prossimo incontro, l'I 1 maggio, ma su cui restano immutate le resistenze greche. Non sullo status della nuova mini-Jugoslavia, per cui si rimettono ai giuristi che operano nell'ambito della Conferenza di pace. Non, infine, sul problema della Bosnia. A poche ore dalla drammatica rottura della conferenza tripartita che si svolgeva a Lisbona, l'Europa esita a varare un'azione chiara e immediata. L'osservatore Cee è stato ucciso a Krusevo, poco lontano da Mostar, capitale dell'Erzegovina. Il veicolo su cui viaggiava è stato colpito da proiettili di contraerea che hanno anche ferito un ufficiale di collegamento. E' la sesta vittima comunitaria (dopo 4 italiani e un francese) nell'ex Jugoslavia. L'Annata ha sparato con mitragliatrici pesanti, dalla costa della Croazia, su due navi con a bordo osservatori Cee e ufficiali della forza Onu. E due giorni fa, si è appreso, è stata aggredita a Visegrad una troupe del Tgl. Su questo sfondo l'ambasciatore Cutileiro ha spiegato il fallimento deila conferenza di Lisbona, citando anzitutto il mancato ritiro dell'artiglieria federale da Sarajevo. Accolto il giudizio della Csce, che ha riconosciuto in Belgrado il principale ma non l'uni¬ co responsabile, i Dodici hanno espresso consensi su un piano presentato dal francese Dumas. Il piano prevede l'appoggio Cee alla missione Onu di Marrack Goulding, che già domani incontrerà Cutileiro a Sarajevo; il riavvio della conferenza tripartita; l'invio di altri osservatori (qualche centinaio) nella regione; un accresciuto sforzo umanitario, cui la Francia si impegna direttamente da ieri a fianco di Italia, Germania e Austria (De Michelis ha garantito l'appoggio logistico aeroporti e aerei - per coordinare da Falconara e da Bari gli aiuti per Sarajevo). Ma anche, con un occhio al riconoscimento della mini-Jugoslavia, il ricorso alla commissione d'arbitrato del francese Badinter per dirimere le questioni giuridiche; e il ritiro dell'esercito. La riunione si è conclusa con un comunicato di poche righe, che tocca unicamente il problema macedone. 112 si dichiarano «pronti a riconoscere quello Stato sovrano e indipendente, con un nome accettabile da tutte le parti coinvolte». Tutte: quindi anche attraverso contatti diretti fra Macedonia e Grecia. Di fatto quello macedone non è che un problema di nome. Temendo ondate revansciste verso la Macedonia greca, Atene chiede che la nuova repubblica sia chiamata Skopje; o comunque, come ha detto il premier Mitsotakis, «con qualsiasi nome che non comprenda la parola Macedonia». Fabio Galvano Ingrid Baci urina Il presidente della Bosnia, Izetbegovic