Gli ex sindaci nel pantano delle tangenti di Susanna Marzolla

Gli ex sindaci nel pantano delle tangenti Bufera nel psi che domani affronta il caso a Roma. Prime ammissioni degli indagati pds Gli ex sindaci nel pantano delle tangenti Milano, accusa di ricettazione a Tognoli e Pillitteri MELANO. «Siamo saliti di altri due gradini», parola di Antonio Di Pietro. Sono le 18 in un Palazzo di giustizia deserto quando il sostituto procuratore della Repubblica che, assieme al collega Gherardo Colombo, conduce l'inchiesta sulle tangenti esce dalla sua stanza. A quell'ora Carlo Tognoli, ministro per il Turismo, e Paolo Pillitteri, neodeputato, (e tutti e due ex sindaci di Milano) stanno pubblicamente annunciando di aver ricevuto un'informazione di garanzia. Allora sono questi i due gradini che avete salito? Di Pietro si schermisce: «Non posso dire nulla al riguardo. Posso solo confermare che l'inchiesta sta facendo progressi, che cominciamo a capire meglio come funzionava l'intero sistema». E il sistema, almeno secondo quanto ha raccontato Mario Chiesa nei suoi interrogatori, funzionava così: che lui prendeva i soldi delle tangenti e poi, almeno in parte, li passava ad altri. Tra questi «altri» ci sarebbero anche Tognoli e Pillitteri. Infatti nell'informazione di garanzia che hanno ricevuto i due ex sindaci si ipotizza il reato di ricettazione. Il reato cioè che commette chi «acquista, riceve od occulta denaro o cose provenienti da un qualsiasi delitto». Quando avrebbero preso soldi da Chiesa, e quanti? Per Tognoli le date sono certe, le ha dette lui stesso: tra l'84 e l'85. In quanto alla cifra si parla di circa 500 milioni. Più vaghe le informazioni su Pillitteri (lui ha detto di «non ricordare» le date scritte sul foglio dai magistrati): dovrebbe comunque trattarsi di un periodo in cui era già sindaco, tra 1' 89 e il '90, e i reati ipotizzati per lui sarebbero due. Oltre alla ricettazione, anche la corruzione (tangenti per lavori all'ospedale Sacco e al Piccolo Teatro). Per un totale di poco inferiore al miliardo. Siano o no questi i «gradini» di Di Pietro, certo l'inchiesta ha fatto un salto di qualità, dimostrando ancora una volta che i magistrati milanesi non badano alla «ragion politica». In un'intervista a un settimanale il procuratore capo, Saverio Borrelli, ha affermato di non aver mai ricevuto «alcuna pressione, consiglio o indicazione da ambienti politico-istituzionali». Pressione che, in ogni caso, avrebbe trovato sicuramente interlocutori sordi. Partendo quasi in sordina, da quei sette milioni che il titolare di una piccola impresa di pulizia ha pagato all'ex presidente del Trivulzio (era il 17 febbraio), giorno dopo giorno la procura è andata avanti: senza fermarsi davanti agli imprenditori importanti, davanti agli esponenti politici di rilievo. E se l'informazione di garanzia di ieri, a cui dovrà seguire la richiesta di autorizzazione a procedere, ha colpito i due personaggi più in vista del psi milanese, neppure gli altri partiti possono dormire sonni tranquilli. A cominciare dal pds. Ieri infatti sono stati ascoltati a lungo in carcere Epifanio Li Calzi e Sergio Soave. «E' stato un interrogatorio improntato alla massima sincerità e collaborazione», ha detto l'avvocato di Li Calzi, Raffaele della Valle. Ancora più esplicito il legale di Soave, Dino Bonzano: «Il mio cliente ha fornito indicazioni utili all'inchiesta. Ha spiegato di non essere stato lui il promotore dell'operazione (cioè la richiesta di tangenti, hdr). Ha fornito i nomi di altre persone su cui i giudici indagheranno». Secondo quanto si è saputo, Soave, ex vicepresidente della Lega delle cooperative, avrebbe ammesso di aver riscosso tangenti (sette episodi, per un totale di circa dieci miliardi) da aziende che avevano in appalto lavori alla metropolitana, ma di averle poi trasferite ad un inedito «compromesso storico». I beneficiari sarebbero stati infatti il pci-pds e la de. Per Li Calzi invece è venuta la conferma che gli episodi di tangenti riguardano gli infiniti lavori per la nuova sede del Piccolo Teatro. Non si riferiscono però al breve periodo in cui l'architetto pidiessino è stato assessore ai lavori pubblici, bensì ad un'epoca posteriore. Infatti l'ac¬ cusa per lui è di «concorso in concussione»: avrebbe cioè fatto da tramite tra alcune aziende e amministratori comunali. Del pds e anche del psi, secondo l'accusa. Li Calzi avrebbe però respinto rapporti con i socialisti, ammettendoli invece per il suo partito, ma escludendo che il suo comportamento possa essere qualificabile come un reato. A tormentare i sonni dei partiti arriva anche la notizia che Angelo Simontacchi, amministatore della Torno, arrestato nella notte di martedì e rilasciato il primo maggio, ha ammesso di avere pagato «perché costretto». Torno, in questo caso, significa metropolitana milanese. Ma significa anche stadio di San Siro, ospedali etc. In sostanza non manca di che discutere ai partiti coinvolti, a cominciare dai socialisti che per lunedì hanno convocato la segreteria nazionale del partito: all'ordine del giorno il «caso Milano». Verrà poi commissariato il partito in città? Certo all'interno dalla protesta sussurrata si è arrivati a quella palese: due consiglieri comunali (Roberto Biscardini e Pino Cova) e l'assessore allo sport Roberto Caputo hanno chiesto la convocazione delle direzioni locali. Il loro slogan: «Rinnovare il partito. La maggioranza dei socialisti non ha le manette ai polsi». Susanna Marzolla

Luoghi citati: Milano, Roma, Soave