Serpico uccide due volte, per razzismo

Serpico uccide due volte, per razzismo Rieti, lei è nigeriana e lui cingalese. «Li ho scelti a caso, un ragazzo mi ha aiutato» Serpico uccide due volte, per razzismo Agente massacra cuoco e prostituta RIETI DAL NOSTRO INVIATO Un tranquillo quarantenne, capelli brizzolati, fisico asciutto. Apparentemente senza problemi: moglie, due bambini, un posto sicuro ed anche di reponsabilità. Poliziotto, anzi assistente capo della polizia di Stato assegnato al «Reparto autonomo» del ministero dell'Interno. Ma pure assassino. Omicida due volte, per odio contro gli extracomunitari. Ha massacrato una prostituta nigeriana, la sera tra ì'8 e il 9 marzo. Prima ancora, la notte del 5 gennaio, aveva fatto fuori un cuoco cingalese. A revolverate. Senza altro motivo apparente se non quello dell'odio razziale. Così almeno dice lo stesso poliziotto, Renato De Carli. E, raccontando come in un allucinante film dell'orrore le sequenze della sua incontrollata follia, chiama in causa un ragazzo che gli avrebbe fatto da spalla in entrambi gli espisodi: Fabrizio Di Cintio, cameriere di 18 anni, rintracciato dai carabinieri nella sua abitazione al n. 88 di via Val di Non, a Roma. Lui, il giovane, nega. Ma il magistrato si è preso tempo fino a domani mattina per decidere se insistere nel fermo giudiziario. Tutti e due si trovano nel carcere circondariale di Rieti. De Carli ci è finito mercoledì pomeriggio, dopo sette ore di interrogatorio portato avanti dal sostituto procuratore Gabriella Scirè. Uno stressante braccio di ferro concluso con pesanti ammissioni di responsabilità. L'altro, il ragazzo, è arrivato ieri mattina. Il poliziotto ha confessato di aver ucciso con la pistola di ordinanza. Una vera e propria «esecuzione» contro vittime indifese, scelte, sembra, «a caso». Le loro «colpe»? Erano extracomunitari, stranieri che invadono l'Italia e tolgono lavoro e tranquillità. La nigeriana, poi, aveva una «colpa» in più: si prostituiva. Nera e prostituta, un binomio che, a quanto sembra, faceva venire il sangue agli occhi al nostro «tranquillo» poliziotto. La dottoressa Scirè, tuttavia, prende con le molle il racconto di Renato De Carli. Almeno per ciò che riguarda il movente. Nessuna ipotesi alternativa viene trascurata, nel sospetto che l'odio razziale possa, in effetti, nascondere qualcosa di più concreto, per esempio loschi traffici legati al mondo degli espatri clandestini e alla prostituzione. Le indagini sono appena all'inizio. Parte con l'inizio dell'anno la vicenda che ha fatto vivere mesi irrequieti ai piccoli centri della campagna reatina, ad una trentina di chilometri da Roma. E' la sera del 5 gennaio quando viene trovato il cadavere di Don Sanath Anurudda Handaragamage, un giovane cingalese sbarcato in Italia da Colombo, per sfuggire alla persecuzione politica. Un documento ufficiale gli dà lo status di «rifugiato». Lavora come cuoco in un ristorante romano, sogna di poter far arrivare in Italia anche la moglie rimasta a Colombo e frequenta assiduamente la comunità cingalese che nella Sabina è numerosa. E infatti il suo corpo, crivellato da 13 proiettili, viene abbandonato nella strada che congiunge Bocchignano con Fara Sabina. Un tratto di campagna poco rassicurante, non foss'altro che per la presenza di due cimiteri molto vicini tra di loro. Un rompicapo, quell'omicidio. Il giovane era «senza macchia»: la sua vita passata ai raggi X non offre spunti ai carabinieri. Le indagini vanno a rilento e puntano molto sull'unica traccia disponibile: i bossoli lasciati dagli assassini. Tutti di calibro «nove lungo». A sparare, cioè, è stata un'arma in dotazione solo alle forze di pohzia. Il colpo di scena arriva la mattina del 9 marzo. L'alba «regala» il cadavere di una donna di colore. Un corpo minuto, stretto dentro pantaloni neri attillatissimi e una maglietta che è un guanto. Accanto alla donna, sul ciglio della strada provinciale «Tancia», ancora nelle campagne di Montopoli in Sabina, la borsetta aperta. Ventimila lire e cianfrusaglie senza valore: né un documento né niente che potesse dare un nome a quel corpo senza vita. Anche stavolta, però, gli assassini hanno lasciato la firma: sette bossoli della solita «calibro nove». Il volto della donna è irriconoscibile, devastato da quattro dei sette colpi sparati. Le impronte non dicono nulla sulla sua identità. Ma i carabinieri accertano che, di nuovo, ha sparato la stessa arma di gennaio. La svolta arriva da alcune compagne della nigeriana (il suo nome, riferito dalle amiche, è Mery Mohamed Bosè, di 30 anni) che riferiscono di averla vista salire, la sera prima, su una «Regata» bianca. Danno anche i primi tre numeri della targa e fanno una descrizione dell'uomo che stava al volante. Il cerchio si è stretto attorno all'assistente capo Renato De Carli. Il poliziotto è stato messo sotto stretto controllo, osservato attentamente. I superiori del ministero dell'Interno non devono essere rimasti estranei alla vicenda se, qualche giorno fa, De Carli ha sentito la necessità di dimettersi dalla polizia. Forse non erano del tutto sconosciute le «tentazioni» razziste dell'agente. Nessuno, però, le ha ancora raccontate alla magistratura. Ieri è arrivata la confessione. L'agente avrebbe ammesso di aver sparato, ma sul movente non c'è ancora chiarezza completa. Il giovane Fabrizio Di Cintio nega di aver avuto un ruolo attivo nelle «esecuzioni». De Carli sostiene, invece, di averlo scelto come spalla proprio perché il ragazzo conosceva i posti (è nato a Bocchignano e lì vivono i genitori) e sapeva dove trovare «i neri». La verità? Verrà a galla: di ciò sono convinti gli investigatori. E potrebbe essere una verità davvero sconcertante. Com'è possibile che un poliziotto, un tranquillo padre di famiglia, si trasformi in un «giustiziere» razzista? Neppure la moglie ha saputo rispondere. Stretta ai due figli, balbetta: «Anch'io vorrei sapere cos'è successo, sono assolutamente sconvolta». Francesco La Licata Controlli dei carabinieri nella strada della Sabina, dove è stato ucciso il cuoco cingalese Don Sanath Anurudda: l'uomo era un rifugiato politico' e in un primo tempo la sua morte aveva rappresentato un vero rompicapo per gli inquirenti

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