Il grande sogno dell'integrazione brucia sui teleschermi d'America di Furio Colombo

Il grande sogno dell'integrazione brucia sui teleschermi d'America Il grande sogno dell'integrazione brucia sui teleschermi d'America DAVANTI ALLA TV SONO le 6,20 della sera quando la giuria popolare di Los Angeles è pronta per il verdetto. E' tardi, a quell'ora, per i telegiornali, tardi per essere pronti con le interviste, le opinioni, gli esperti, i passanti presi a volo per la strada, i commenti. Ma le reti televisive si collegano subito perché nessuno si aspetta quello che sta per accadere. Infatti sul posto non ci sono i reporters delle grandi occasioni, ma solo giornalisti locali che, per l'occasione, vengono utilizzati dalle reti televisive che, alle 6,30 di sera, informano il Paese. Le telecamere, in California, possono entrare in aula ma devono restare sulla faccia del giudice, mentre dal banco dei giurati viene letta la sentenza. Il giudice, personaggio inadatto a questa tragedia, un omino piccolo e stempiato, è il solo a non tradire stupore. Si vede il suo volto impassibile e si sente la voce, il respiro, il rumore di una sorpresa grandissima mentre viene letta la decisione dei giurati. Passano pochi secondi (la camera è sempre sul giudice) e la sorpresa diventa indignazione, diventa voci che chiedono, che chiamano, che gridano. Passa un'ora, e quel moto di sorpresa che ha sconvolto la sala del tribunale diventa violenza per le strade della città. Diventa vuoto, silenzio, incertezza nel resto del Paese. Che tipo di violenza, che tipo di vuoto? «Sono due tragedie» - dice il giovane giornalista ignoto di Los Angeles che deve commentare l'inaspettato verdetto: i poliziotti di Los Angeles intenti a bastonare e a prendere a calci per lunghi minuti un nero fermato sull'autostrada, i poliziotti che tutta l'America ha visto mentre eseguivano con accanimento e senza soste il pestaggio, sono stati assolti, tutti, per ciascuno dei tanti reati di cui erano stati imputati. E' vero, sono due tragedie. Una è che i neri del Paese hanno un motivo grande, addirittura incredibile per dire che non c'è giustizia per loro, che non può esserci giustizia per i neri in America. La seconda è che tutti gli altri americani si domandano che cosa può avere portato a una simile distorsione tra il fatto e la conseguenza del fatto, che conseguenze provocherà una simile sentenza nel comportamento della polizia, non solo a Los Angeles; che cosa significa perdonare un comportamento violento e, a quanto sappiamo, del tutto privo di giustificazione. Oltre la frontiera tra bianchi e neri Anche se in seguito qualcuno ci darà spiegazioni sulla mente dei giurati, sulle ragioni che possono avere spinto dodici persone libere in un simile cunicolo senza uscita, le poche righe del verdetto popolare hanno tracciato una dura linea di divisione dentro l'America. In apparenza è solo la frontiera fra bianchi e neri, già abbastanza drammatica. Ma più in profondo la linea divide una parte degli americani sorpresi e disorientati (ma anche spaventati: quale conseguenza porterà l'approfondirsi così aspro della divisione?) e gli altri, coloro che ritengono che criminali e neri siano un unico gruppo, un solo problema, e che è ora di alzare i ponti levatoi della difesa. Allora scoppia la violenza. Occorre dire che la violenza di queste ore a Los Angeles non assomiglia alla rivolta dopo l'assassinio di Martin Luther King, non ricorda i giorni di Watts e di Washington. E' una violenza allo stesso tempo più brutale e più improvvisata, più «cattiva», e più polverizzata in mille rivoli di scontro, di distruzione, di aggressione, di incendio. Nelle inquadrature rosse di fuoco si vede bene che i protagonisti sono giovani e giovanissimi, si vedono i fazzoletti, legati a bandanna intorno alla fronte oppure intorno al braccio, nel pugno, che indicano il colore delle «gangs». Ci sono i tiratori sui tetti, ma questo è un argomento su cui i cronisti di L. A. si orientano subito. «Qui - ci dice una ragazza spaventata col microfono in mano sono tutti armati». «Qui» vuol dire la zona SudEst della città, chiamata anche «L. A. Centrale», 20-30 isolati di povertà e separazione dove ha la sua radice quella perenne lotta armata fra adolescenti neri che provoca molte vittime gio¬ vanissime ogni giorno, anche quando le telecamere non scandagliano quelle strade. Dal «General Hospital», che è l'infermeria di guerra di questo quartiere, giunge infatti una notizia che è insieme tragica e di routine. I feriti oggi sono molti di più. Ma sono quasi tutti giovani neri assaliti da altri giovani neri. La tragica novità è che ci sono già nove morti. Passa in quelle strade e sul teleschermo il giovane regista nero Singleton e lancia un appello: «Non massacratevi!». Compare una giovane mamma che implora i suoi figli. Li chiama per nome, supplica che tornino a casa. Nessuno parla del futuro Le immagini vecchie e tragiche sono i saccheggi dei negozi di elettronica, dei supermercati. Le immagini nuove sono i pestaggi mdiscriminati contro i bianchi estratti a forza dalle auto che attraversano la zona. Ma ne passano poche - non solo in queste ore di emergenza che hanno isolato il quartiere. La separazione è consolidata e profonda. Anche i leaders che appaiono sul teleschermo a racco¬ mandare prudenza (giudici, giovani avvocati, insegnanti neri) sentono quella separazione parlano con buon senso ma senza speranza. Chiedono di evitare il peggio, ma non dicono niente del futuro - sanno che i giovani con i fazzoletti colorati che parteciperanno agli assalti continui e sporadici non hanno nulla da perdere. La rete Abc-Tv, nel programma nazionale della mattina - dopo una notte di rivolta e di incendi -, ha pensato di «bilanciare» le immagini. Sullo schermo si vedono le fiamme che divorano il quartiere. In studio, c'è una giovane nera, bella, elegante, truccata con cura che - si immagina - porterà il messaggio prudente di coloro che hanno un ruolo e una immagine. La ragazza ha questo da dire: «Secondo me, non è ancora cominciato niente. Perché non andiamo ad incendiare le belle case di Beverly Hills invece di farci male a vicenda?». Guarda seria, serena. Ha una voce calda di attrice e non si smuove da questo punto. Passano subito la linea al commentatore politico. Dice, da Washington, che il Presidente Bush è «costernato». Furio Colombo

Persone citate: Bush, Martin Luther King, Singleton, Watts