Rabbia Anni Sessanta di Franco Pantarelli

Rabbia Anni Sessanta Rabbia Anni Sessanta L'ultima rivolta nel «ghetto» lasciami terreno 34 cadaveri NEW YORK NOSTRO SERVIZIO Il precedente immediato che viene in mente è naturalmente quello di Watts, il quartiere nero di Los Angeles, vicino al teatro della battaglia di ieri. Era il 1965 ed era estate, la stagione in cui la vita durissima del ghetto diventa insopportabile e basta un niente a far saltare l'equilibrio. Su ciò che effettivamente dette l'avvio a quella rivolta, che lasciò sul terreno 34 morti, sono state tentate tante ricostruzioni: libri, film, inchieste. Ma il vero imputato che tutti hanno sempre indicato è uno solo: la condizione, all'epoca, dei neri americani. Erano gli anni delle leggi sui diritti civili. Lyndon Johson aveva proclamato la sua «dichiarazione di guerra alla povertà» (quella che poi Ronald Reagan, secondo un'amara battuta, avrebbe trasformato in «guerra contro i poveri»), ma arrivava in ritardo sul crescere delle aspettative e della voglia di cambiamento. Erano anche, infatti, gli anni del grande risveglio nero, delle marce di Martin Luther King e dello svilupparsi del «Brucia, ragazzo, brucia», il movimento di Rap Brown e di Stokeley Carmichal, che non rifuggiva dalla violenza, anzi la considerava «necessaria». Per sei giorni il quartiere di Watts fu incontrollabile. La Guardia Nazionale mandata sul posto fece migliaia di arresti, gli scontri e gli incendi furono innumerevoli e le vittime furono prevalentemente nere: i morti e i feriti fra i ribelli, ma anche quelli che all'epoca costituivano la nascente «classe media» dalla pelle scura, che videro distruggere i piccoli «business» che tanto faticosamente avevano messo in piedi. La rivolta di Watts è rimasta il simbolo della collera nera, ma dopo di essa (anzi, in seguito ad essa) ce ne furono moltissime altre, un po' dovunque. Tampa, Dayton, Buffalo, Atlanta, Cincinnati, Washington, sono tutti nomi che riportano alla situazione di quegli anni, fino all'altra grande rivolta di Detroit del 1967, il cui bilancio, 44 morti, fu ancora più grave di quello di Watts. In mezzo ci sono quella di Boston, nata nel quartiere nero di Roxbury, al centro per l'assistenza sociale, e rapidamente estesasi al centro della città (in una sorta di confronto testa a testa la polizia aprì il fuoco sulla folla: settanta feriti), quella di Newark nel New Jersey e quella di Harlem, il quartiere nero di New York, dove il sindaco Lidsay andò a parlare con i giovani che presidiavano le strade: «Calma e sangue freddo». Nel 1968 la grande onda sembra passata, i primi effetti delle leggi sui diritti civili e della «guerra alla povertà» si fanno sentire, il movimento pacifista contro la guerra del Vietnam coinvolge anche molti giovani neri e sembra capace di incanalare la loro rabbia nella protesta non violenta, che si diffonde per tutta l'America. Ma arriva l'assassinio di Martin Luther King, e di nuovo, un po' dappertutto, si ripetono gli scontri di piazza, i saccheggi, i morti. La guerra finisce, gli americani lasciano il Vietnam sconfitti, il Paese è frustrato, cerca la sua rivincita e questa arriva con Ronald Reagan, e il «silenzio» che lui impone. Non è un periodo di calma completa. Azioni e reazioni si verificano, ma sono sempre circoscritte. Fino alla sentenza di Los Angeles, tanto inaspettata e scandalosa da riproporre in pieno l'aspetto peggiore di questo Paese. Nessuno sa se e quando tutto ciò si fermerà. Franco Pantarelli