Satelliti per prevedere le colate laviche di Piero Bianucci

L'incerta guerra dell'Etna L'incerta guerra dell'Etna Satelliti per prevedere le colate laviche TV e giornali ci raccontano in termini epici la lotta della tecnologia contro l'eruzione dell'Etna. Bisogna ammettere che il tentativo di deviare la lava per salvare il paese di Zafferana si presta bene alla drammatizzazione. Da una parte un manipolo di scienziati e di uomini coraggiosi che trafficano con esplosivo in condizioni proibitive, dall'altra la «furia della natura», secondo un classico e mai consunto stereotipo giornalistico; sullo sfondo il coro da tragedia greca della popolazione, in bilico tra sfida, rabbia, paura. E poco è mancato che con il «Forza Etna!» di Sgarbi - tifoso in controtendenza - dal dramma il copione slittasse nella farsa. In realtà questo modo di rappresentare le cose è emotivo, grossolano, cinematografico (dopo i terremoti e gli squali arriverà una pellicola ispirata alla vulcanologia). Certo oggi la scienza fornisce strumenti in più rispetto al passato per la comprensione e, in parte, per il controllo della natura, inclusi i fenomeni vulcanici. Ma perché non ci si aspetti il miracolo bisognerebbe anche fornire ai cittadini i dati necessari per capire le effettive proporzioni tra le forze in gioco. Bisognerebbe dire alla gente che Franco Bàrberi, regista scientifico delle operazioni sull'Etna, è un bravo vulcanologo, ma non è Rambo. Quali sono le reali dimensioni del fenomeno in corso sull'Etna? Che strumenti ha la scienza per prevedere e controllare questi eventi? L'eruzione iniziata il 14 dicembre dell'anno scorso ha riversato finora 150 milioni di metri cubi di magma. Già dopo i primi giorni Bàrberi ci disse in una intervista che, stando ai segnali da lui rilevati, bisognava prepararsi a una effusione lunga: non settimane ma mesi, forse parecchi mesi. La previsione si è dimostrata esatta. Guardando alla serie storica di questo secolo, l'attuale eruzione ha già superato quelle del 1910 (44 milioni di metri cubi), del 1911 (88), del 1923 (97), del 1928 (43) e del 1971 (78). Rimane seconda soltanto all'eruzione del 195051, che riversò lava per 171 milioni di metri cubi. L'entità della colata e la sua maggiore o minore fluidità (e quindi velocità) sono parametri essenziali per valutare le probabilità di successo di un intervento con barriere artificiali ed esplosivi. Il fenomeno in corso sull'Etna non è certo tra quelli più facilmente dominabili per la quantità totale di lava emessa, e anche il ritmo di emissione è considerevole (15 metri cubi al secondo nelle rilevazioni del 16 aprile). Qualche chance la offre tuttavia la relativa lentezza di scorrimento: 300 metri all'ora è la massima velocità finora riscontrata, e solo per brevissimo tempo; in genere si è trattato di pochi metri al giorno. Per fortuna siamo lontani dal record di 100 chilometri all'ora stabilito il 10 gennaio 1977 dal vulcano Niragongo, nello Zaire. Quanto all'energia cinetica liberata nelle eruzioni, è variabile tra 10 e oltre 1000 bombe H, ma questo parametro ha un significato importante solo nelle eruzioni di tipo esplosivo, nelle quali l'energia viene rilasciata in brevissimo tempo, non nelle eruzioni effusive come quelle dell'Etna. Tuttavia il confronto tra migliaia di bombe H e alcuni quintali di esplosivo al plastico è pur sempre eloquente. Premesso che l'Etna è un vulcano in costante e moderata at¬ tività da circa 700 mila anni e che esso non costituirebbe un pericolo se soltanto si fosse tenuto conto di qualche semplice criterio di buon senso nel situare gli insediamenti abitati, ora che gli insediamenti ci sono (e neppure Catania è al sicuro, come dimostrò l'eruzione del 1669), vediamo che cosa si fa e. si può fare per prevedere e controllare l'attività dell'Etna nella routine e non soltanto nell'emergenza. Una prima operazione consiste nel creare modelli matematici e simulazioni al computer delle possibili eruzioni e del loro corso, disegnando poi mappe di pericolosità per le diverse zone che possono essere raggiunte dalla lava. Ciò oggi è possibile in base ai dati storici e all'osservazione diretta del fenomeno in atto. Università di Pisa, Protezione Civile e Centro di ricerca Ibm hanno creato questi modelli, proprio con il contributo di Franco Bàrberi, e quindi un primo passo è stato compiuto. Se fino a ieri si poteva ancora giustificare la costruzione di case in luoghi a rischio, d'ora in poi questa scelta può essere considerata soltanto sciocca e autolesionista. Per le previsioni a breve termine, l'osservazione accurata dei microsismi locali è la tecnica attualmente più sicura. Lo prova il fatto che nelle 12 ore che precedettero l'eruzione del marzo 1981 si registrarono ben 2800 piccoli terremoti, invece dei 50-100 dei periodi di attività normale. Un altro sistema, inaugurato da scienziati francesi, si avvale dei satelliti Gps per rilevare bevi deformazioni del terreno intorno al cratere. Anche i satelliti Lageos (costruiti da Alenia Spazio) possono rilevare questi lievi movimenti del suolo. Il primo Lageos è già in orbita, il secondo sta per essere lanciato. Infine, l'osservazione da satellite, soprattutto nella banda delle radiazioni termiche (infrarosso), è molto promettente per una sorveglianza su scala planetaria del rischio vulcanico. L'ultimo numero della rivista francese «La Recherche» dedica un ampio articolo di Alain Bonneville (Centre géologique di Montpellier) proprio a questa tecnica e riassume ciò che con essa si è fatto proprio per tenere sotto controllo l'Etna. Nel 1990 David Pieri, Lori Glaze e Michael Abrams, tre ricercatori del Jet Propulsion Laboratory (California), calcolarono il bilancio termico di una colata di lava attiva sull'Etna. In base a questo dato tararono una immagine infrarossa del vulcano ripresa da un satellite di telerilevamento «Landsat» e riuscirono a fare un modello della dispersione termica anche nel caso che la colata non sia ancora iniziata ma stia covando nelle viscere del vulcano (le anomalie termiche in genere sono di qualche grado). Dal 1982 si misura dallo spazio la temperatura del suolo in tutta la zona dell'Etna ma a risoluzione molto bassa (un chilometro quadrato) perché si usa un satellite meteorologico Noaa. L'entrata in servizio del «Landsat 5» nel 1984 ha permesso di disegnare mappe ter¬ miche con pixel (il più piccolo elemento significativo) di 120 metri di lato. E' così diventato possibile rilevare le anomalie termiche che annunciano probabili eruzioni in quanto sono prodotte dalla circolazione sotterranea di acqua calda e vapore indotta dalla risalita del magma. Già il 23 ottobre '86 si è riusciti a prevedere un'eruzione con una settimana di anticipo. Il satellite ambientale europeo Ers-1 segue l'eruzione dell'Etna fin dall'inizio e il Centro di Geodesia di Matera, dell'Agenzia spaziale italiana, ne ela¬ bora i dati in collaborazione con Telespazio (Iri-Stet). I suoi sensori sono in grado di integrare i dati dei Landsat e degli analoghi satelliti francesi Spot. Naturalmente molto lavoro rimane per perfezionare queste tecniche. Più ancora c'è da fare nelle tecniche di intervento sulle colate con barriere ed esplosivi. Ma queste sono le tendenze e le prospettive realistiche in quella che è stata folcloristicamente descritta come una guerra tra l'uomo e i vulcani. Piero Bianucci nze LA STAMPA Numero 510. Mercoledì 22 Aprile 1992 •• / tuttoscien

Persone citate: Alain Bonneville, David Pieri, Franco Bàrberi, Lori Glaze, Michael Abrams, Rambo, Zafferana

Luoghi citati: California, Catania, Matera, Zaire