IL PRIMO PADRONE PER GRAMSCI FU IL PADRE

IL PRIMO PADRONE PER GRAMSCI FU IL PADRE Avent'anni Antonio Gramsci così scriveva da Torino il 15 novembre del 1911 al padre che si trovava a Ghilarza: «Un padre che veramente pensa ai figli, e io ne ho conosciuto e so che ora ne esistono di questi uomini, avrebbe provveduto subito a fare i documenti necessari, perché si sa, io ero ignaro di tutto e non potevo sapere tante cose, e i padri non son padri per nulla: ma si sa tu sei il padrone non il padre». Parole aspre che lasciano trasparire un'ostilità radicata e un avvilito risentimento e che illuminano zone d'ombra della personalità del fondatore del pei. Il passo è contenuto in una lettera inedita del nuovo epistolario gramsciano pubblicato da Einaudi nella Nue, Lettere 1908-1926 (pp. 568, L. 60.000), a cura di Antonio A. Santucci, ricercatore dell'Istituto Gramsci, che arriva in libreria quarantacinque anni dopo la storica e lettissima raccolta delle Lettere dal carcere, curata da Sergio Caprioglio ed Elsa Fubini sempre per la classica collana einaudiana. Il nuovo volume comprende circa duecento lettere, che si possono dividere in tre blocchi: quelle scritte da Cagliari e da Torino, fino al 1920; quelle datate Mosca e Vienna nel biennio 1923-24 e quelle da Roma, tra il 1924 e il '26, prima dell'arresto. Tutta questa documentazione è IL PRIMO PADRONE PER GRAMSCI FU IL PADRE Solitudine e povertà, nelle lettere inedite già nota ed edita, meno un gruppo di lettere inedite inviate alla famiglia negli anni degli studi, sia da Cagliari, dove Gramsci frequentò il liceo nel 1908-11, vivendo insieme al fratello Gennaro, sia da Torino, dove si trasferisce per frequentare l'università, con una borsa di studio del regio collegio Carlo Alberto. A quel concorso, ottobre 1911, partecipava anche Palmiro Togliatti: su trentanove ammessi, il Migliore fu secondo, Gramsci fu nono. E' questo gruppo di lettere inedite la novità del volume, perché mette in luce una durezza di contrasti famigliari che era ignorata in tale dimensione. I rimproveri di Gramsci di cui si aveva notizia erano stati interpretati come sfoghi dettati dalle ristrettezze in cui viveva. Ma nelle lettere rimaste finora inedite il giovane Gramsci usa spesso nei confronti del padre, e talvolta anche dell'intera famiglia, un tono violento, perfino sprezzante. Come si spiega? Bisogna tornare a una pagina della Vita di Antonio Gramsci, che Giuseppe Fiori pubblicò nel 1966, dove si parla di «incomprensioni, asprezze, lunghi silenzi» tra Gramsci e il padre, legati a un trauma degli anni dell'infanzia. Contrariamente a un'opinione molto diffusa, Gramsci non era di famiglia contadina. Il padre Francesco era figlio di un ufficiale dei carabinieri e aveva conseguito la licenza liceale; il Nella lettera da Torino citata all'inizio, l'ira di Gramsci investe padre, madre, sorelle: «E' inesplicabile il vostro modo di fare: più ci penso più ci perdo la testa. E lo stato di famiglia? e l'attestato dell'agenzia delle imposte? Tutto inutile, si capisce, oppure li staranno fabbricando: e poi che uno non scriva male parole!». Quindi di nuovo un giudizio di incapacità nei confronti del padre: «Tu ci rimetterai 100 lire tonde: e non dire che non è colpa tua perché io in una lettera ti ho specificato tutti i documenti che erano necessari per l'esenzione delle tasse». Infine: «Conosco che razza di gente siete (...) bisogna che vediate la rovina per convincervi a fare ciò che deve essere». I documenti, in realtà, erano stati spediti, come si apprende da una lettera di poco successiva. Erano semplicemente giunti in ritardo. Ma è anche vero che Gramsci incominciava a conoscere, in quel periodo, uno stato di esaurimento fisico e nervoso che accompagnerà i primi due anni di vita torinese. Soffriva di «convulsioni», soffriva di solitudine: «Mi sento solo, proprio solo». La famiglia a Ghilarza gli sembrava indifferente ai suoi problemi: «Che importa a voi di spezzarmi così? Purché non sia turbata la vostra imperturbabilità maomettana». Alberto Papuzzi Antonio Granisci come spiegare il tono delle lettere se non con la reciproca muta consapevolezza che all'origine delle difficoltà finanziarie c'era quella sventura paterna? In ogni lettera Antonio continuamente chiede soldi, oppure lamenta perfino con una specie di malanimo che non gliene si manda abbastanza. Questa presenza ossessiva del denaro tra padre e figlio, questo denaro richiesto, rifiutato, oggetto di contestazioni, calcolato al soldo in pignoli e pedanti elenchi di spese, è materia per lo psicoanalista, ma non è necessario essere degli psicoanalisti per capire che ritorna sempre un'accusa non detta per la colpa del padre. Ecco una lettera da Cagliari del giugno 1909. Gramsci risponde al padre in merito all'uso di 50 lire, pari a circa 250 mila lire di adesso. Gli rimprovera di aver saltato una mesata: «Certamente io m'aspettavo che tu facessi quel pasticcio che hai fatto (...) Ecco tutto il delitto. Tu non ti ricordavi ed era certamente comodo che per il mese di aprile non mi avevi dato nulla e così cancellavi quel mese dal calendario. E così non mi hai risposto, né ti sei curato di mandarmi altri soldi (...). Intanto spero che subito vorrai mandarmi quelle maledette 25 lire, e inoltre anche la mesata per giugno, a meno che non cancelli anche questo mese. E ora proprio che sto sotto gli esami ti prego di non farmi perdere nemmeno un minuto...». nonno della madre era esattore delle imposte e aveva una piccola proprietà. I guai vennero quando il padre, gerente dell'Ufficio del registro di Sórgono, nel 1897 a 38 anni, dopo un'ispezione, venne accusato di peculato, concussione e falsità in atti. Sospeso dall'impiego, un anno dopo fu condannato a cinque anni di carcere. La famiglia Gramsci, che contava allora sette figli, passò da uno stato di relativa agiatezza alla «miseria estrema», come scriveva Fiori. Al piccolo Antonio, sette anni, la cosa fu nascosta, ma venne a saperla «per vie traverse». Nelle sue lettere al «carissimo papà», Gramsci non allude mai all'episodio. L'umiliazione resta ostinatamente censurata. Ma