La sconfitta del Khomeini afghano di Foto Reuter

La sconfitta del Khomeini afghano Il Pakistan riconosce subito il nuovo governo di cui vuole essere il grande protettore La sconfitta del Khomeini afghano Gulbuddin cacciato da Kabul KABUL DAL NOSTRO INVIATO Bruciando lo tappe e con un gesto di esplicito appoggio, il governo pakistano ha riconosciuto il potere islamico insediato a Kabul. Ieri, sfidando la minaccia dei razzi di Gulbuddin Hekmatiar (uno dei quali è infatti caduto sulla pista), una delegazione pakistana ad alto livello - comprendente il primo ministro Nawaz Sharif, il capo di stato maggiore dell'esercito, il reponsabile dei servizi segreti di Islamabad - è atterrata nell'aeroporto di Kabul presidiato da un impressionante dispiegamento di forze dei mujaheddin. Il nuovo presidente Sibighatullah Mojadedi si è recato di persona a ricevere gli ospiti, cui deve gran parte del suo potere, nella prima giornata del suo pieno insediamento. Islamabad sancisce, in questo modo, un protettorato sui generis su Kabul, e abbandona definitivamente Hekmatiar che fu, per molti anni, il suo pupillo preferito, colui al quale venivano date armi migliori, più rapidamente che agli altri, migliore appoggio logistico. E il secondo colpo a Hekmatiar è venuto dall'Arabia Saudita, che ha mandato un principe della casa reale a riconoscere il nuovo regime. Il leader fondamentalista appare ora più isolato che mai. Con il grosso delle forze relegato nella provincia di Logar, a Sud di Kabul, Hekmatiar non sembra in condizioni di insidiare il potere di Ahmad Shah Masud, il vero uomo forte della coalizione che domina Kabul. Ieri notte l'ultimo dei suoi avamposti all'interno della ca¬ pitale - quello che aveva occupato il ministero degli Interni è stato debellato e catturalo dopo un furioso assalto durato tre ore. Secondo i racconti dei mujaheddin che ieri mattina occupavano l'edificio, almeno cento uomini di Hekmatiar sarebbero stati fatti prigionieri. Almeno cinque i morti di parte Hezb (uno dei quali ancora giaceva a terra nel viale d'accesso all'edificio), e uno di parte Jamiat. Ma le tracce della battaglia fanno immaginare un bilancio più grave. La garitta all'ingresso - dove il giorno prima la milizia di Hekmatiar ci aveva sbarrato il passo - appare letteralmente tranciata dalle raffiche. I muri delle case circostanti crivellati di colpi. L'edificio principale è stato colpito dai bazooka e per metà è sventrato e annerito dall'incendio che lo ha distrutto. Vicino alla fontana dell'ingresso larghe chiazze di sangue bagnano il selciato. Una nera Mercedes blindata, una delle tante viste in questi giorni, giace semirovesciata in un fosso. Poco oltre una Volga bianca, forse pronta per la fuga, è rimasta di traverso nel viale, traforata dalle raffiche di Kalashnikov. Il piccolo cortile è occupato, quando arrivo, da una sessantina di uomini ancora evidentemente eccitati dalla battaglia notturna. Alcuni puliscono i fucili, altri rovistano nell'atrio diroccato. Scopro che sono delle milizie del generale Nodari. Ci sono anche quelli di Masud, ma il comando è evidentemente in mano al generale Atomir, quello che avevamo incontrato tre giorni fa e che aveva occupato il quartiere di Kahir Khana. Atomir sbu¬ ca infatti da una porta laterale, seguito dai suoi fidi in tenuta mimetica come lui. Giusto in tempo per cogliere uno dei miliziani che sta portando via due coperte e una stufa elettrica. Atomir in persona si incarica di riportare l'ordine. Lo afferra per i capelli, lo colpisce con estrema violenza, al capo, poi un calcio in piena faccia, mentre uno della scorta mena pesanti fendenti col calcio del fucile. L'uomo riesce a sottrarsi a fatica, implorando pietà col volto contratto dal dolore. Poco dopo la scena si ripete ancora più violenta. Un giovane col fucile a tracolla trascina una cassa di cianfrusaglie. All'intimazione di Atomir tenta la fuga. E questa volta i miliziani sparano. In alto. Il fuggiasco viene bloccato, massacrato di calci, privato del Kala- shnikov e portato via legato col suo stesso scialle. Così Atomir mantiene la disciplina delle sue milizie. Che, con quelle di Dostum, hanno fronteggiato lo scontro con lo Hezb, mentre Jamiat è parso defilato dalle battaglie più violente. I «puri» della guerra santa hanno lasciato fare il lavoro sporco a kagichi e uzbechi, lanzichenecchi senza paura che vanno tenuti a freno solo coi metodi di Atomir, il quale, del resto, è uno di loro. Masud non è ancora arrivato in città. Sembra che si trovi ancora a Chrikar. Ma ora che Kabul è stata ripulita, dallo Hezb, forse arriverà. Anche Dostum e Nodari hanno impartito finora ordini via radio, e sono attesi a Kabul. La città torna lentamente alla vita normale. Ma ieri gran parte dei negozi erano ancora chiusi. Bazar quasi deserto, chiuse le botteghe del cambio nero, rare bancarelle attorno alla moschea. E' la «normalità» della guerra, con l'intermittenza inesorabile delle raffiche di mitra. Manca la luce e l'acqua in tutta la città e tutti i collegamenti con l'esterno restano tagliati. La delegazione pakistana ha potuto ascoltare, mentre incontrava Mojadedi, il rombo lontano dei cannoni e il rauco ansimare delle salve di razzi che continuano, a intermittenza, ad abbattersi sulle coorti di Hekmatiar. Il Pakistan ha battuto in volata l'Iran nella corsa all'abbraccio con Kabul. Ma una soluzione politica ancora non c'è. La guerriglia - un po' meno «santa» di prima - sembra destinata a continuare. Giulietta Chiesa A Kabul è il momento delle vendette: un ufficiale della famigerata polizia politica sotto il regime di Naijbullah viene fucilato con una raffica di mitra dopo essere stato catturato dai mujaheddin di Masud [foto reuter]