L'ex regina: Uccidete Umberto I di Pierluigi Battista

L'ex regina: Uccidete Umberto I Dietro il regicidio di Monza le manovre dell'ultima sovrana di Napoli L'ex regina: Uccidete Umberto I Maria Sofia, l'anarchica per vendetta "7T1 ROMA ■ I UELLA Signora è stata 11 in relazione con noi e ci 11 ha fornito i mezzi». La Y 1 «Signora» in questione è \. Maria Sofia di Baviera, moglie del Borbone Francesco II, re delle Due Sicilie. Curioso che, in una lettera del 1901, a scrivere di lei come di una compagna prodiga, attiva, generosa dispensatrice di non specificati «mezzi» sia nientemeno che Errico Malatesta, stella dell'anarchismo italiano ed europeo, rivoluzionario sempre presente, in Sicilia come nella Lunigiana, in Belgio come in Spagna, ovunque un incendio insurrezionale venisse a diffondere il sacro ideale dell'Anarchia e della Rivolta. Ancor più curioso è che quel singolare connubio tra una regina spodestata e un apostolo della rivoluzione avesse come scopo la liberazione di Gaetano Bresci, l'anarchico che un anno prima, il 29 luglio 1900, aveva ucciso Umberto I, il monarca che fu subito ribattezzato dagli agiografi «il Re buono». La lettera di Malatesta, sinora inedita, compare in un volume di Arrigo Petacco che Mondadori manderà in libreria alla fine della prossima settimana con il titolo La regina del Sud. E' proprio lei, Maria Sofia, la protagonista del libro di Petacco. L'autore, però, è andato a spulciare presso l'Archivio di Stato i rapporti che gli agenti dell'allora ministro dell'Interno Giovanni Giolitti inviavano al capo del dicastero sul conto della singolare corte che in quegli anni si stringeva attorno all'ex regina delle Due Sicilie, esule a Neuilly-sur-Seine, elegante sobborgo di Parigi. E in quei rapporti la dimora francese di Maria Sofìa appare come un autentico covo eversivo dove legittimisti e anarchici, nostalgici del dominio borbonico e rivoluzionari di professione saldano i loro sforzi finalizzati al rovesciamento dei Savoia: gli uni per infliggere un colpo mortale al sistema, gli altri per alimentare i loro sogni di restaurazione. Al centro di questa trama che raggiungerà il suo culmine con gli spari di Bresci contro Umberto I, è l'inquieta coniuge di Franceschiello, l'«eroina di Gaeta» che adesso, tra i bagliori incendiari di un regicidio andato a segno, ritrova se stessa in una seconda giovinezza. Le irrequietezze e le bizzarre frequentazioni di Maria Sofia, sorella minore dell'imperatrice Sissi, avevano già colpito l'immaginazione degli storici. Benedetto Croce, e dopo di lui Giovanni Ansaldo e Giovanni Artieri, si era soffermato su questa ambigua e stravagante figura di regina che sopperì con il suo temperamento sanguigno e avventuroso alle lacune di un marito timido, introverso e assalito dai dubbi. Nel 1860 fu lei, Maria Sofìa, ad incitare il Borbone alla sfortunata ma dignitosa difesa di Gaeta assediata da Garibaldi. E quando la partita si chiuse definitivamente per il trono dei Borboni, la regina del Sud non esitò a fomentare ed anche a foraggiare quella parte del brigantaggio che nel Mezzogiorno rendeva irto di difficoltà il cammino del nuovo Regno unitario. Ora, nel suo esilio parigino, «gli anarchici ebbero il merito di farla improvvisamente ringiovanire - scrive Petacco -. D'altronde, lei era sempre stata affascinata dagli uomini d'azione rotti a tutte le avventure». Frequentandoli, probabilmente ritrovò quelle forti emozioni che provava recandosi in abiti maschili a convegno coi briganti nei retrobottega di «Campo de' Fiori» durante il suo esilio romano. Così la donna che un giornale parigino giunse a definire la «reine aux anarchistes», finì per trasformare la sua dimora di Neuilly in un centro cospirativo dove potevano incontrarsi un ultra del legittimismo borbonico come Angelo Insogna «cui la polizia italiana die- de inutilmente la caccia per decenni» e anarchici dichiarati come Malatesta e il giornalista francese Charles Malato. E' questo ambiente che, secondo la ricostruzione di Petacco, viene preso di mira dalle «fonti informative» di Giolitti. Si scatenano gli agenti più abili dei servizi legati al ministero dell'Interno che si travestono con i più fantasiosi nomi in codice: «Virgilio» o «Dante» oppure «A 113». Si infiltrano, come è consuetudine, nei circoli anarchici in esilio e raccolgono pazientemente le loro informazioni che poi distribuiscono con zelo ai prefetti. Le loro note sono custodite nell'Archivio di Stato: qui Petacco ritrova un dispaccio del prefetto Guiccioli di Torino che contiene l'accusa più pesante nei confronti della «nota Signora», ossia Maria Sofia, a proposito del «complotto di Monza» (l'assassinio di Umberto I): «la regina Maria Sofia ne fu l'ispiratrice e la mandante e procurò i mezzi finanziari per attuarlo. Nei contatti con Errico Malatesta fu prestabilita la chiamata di un agente anarchico adatto allo scopo, proveniente dal numeroso gruppo di anarchici di Paterson (Usa)». Sospetti, come si dice, non suffragati da fatti. E tuttavia i rapporti degli agenti di Giolitti danno conto di un particolare attivismo di Maria Sofìa nei progetti di evasione dell'anarchico Bresci, condannato all'ergastolo per regicidio. (Per una macabra ironia della sorte il processo si svolse proprio nell'aula della corte d'assise di Milano che aveva sede in piazza Fontana: lo stesso palazzo in cui, il 12 dicembre 1969, sarebbe esplosa la bomba della Banca nazionale dell'agricoltura). «Tutte queste precauzioni rivelano che nella villa di Neuilly si trama qualcosa», si dice in un dispaccio elaborato dagli informatori. La polizia italiana è messa in allarme. I nomi più citati tra quelli che starebbero architettando la fuga di Bresci sono proprio Errico Malatesta e Angelo Insogna, figure diversissime tra loro, ma entrambi sono assidui frequentatori del salotto di villa Hamilton, residenza di Maria Sofia. In questa atmosfera si colloca la lettera inedita di Malate- j sta ritrovata da Arrigo Petacco in cui si allude alla «Signora». Nella missiva si parla di «molte cose che interessano la nostra intrapresa» e si fanno i nomi di Insogna e di Malato. «Quando avverrà la rivoluzione in Italia vi saranno certamente, specie nel Mezzogiorno, dei tentativi reazionari: ma essi non saranno più importanti e non avranno maggiore probabilità di riuscita per il fatto che quella Signora è stata in relazione con noi e ci ha fornito i mezzi. Ciò sarebbe il caso se noi ci facessimo imporre da lei, o da chi per lei, una qualsiasi direzione». E', avant-lettre, la teoria leninista dei «compagni di strada», commenta Petacco. Ossia l'utilizzazione cosciente dei rancori vendicativi di una reazionaria avventurosa ai fini di un'ipotetica rivoluzione nel Mezzogiorno italiano. E quale figura più malleabile di una «Signora» accesa dal sacro fuoco legittimista che vedeva negli anarchici gli angeli vendicatori capaci di ristabilire la giustizia usurpata dagli odiati Savoia? Con Bresci, spiega Petacco, Maria Sofia è in sintonia pressoché totale, anche a prescindere dalla partecipazione diretta^ della «regina del Sud» ai disegni per far evadere il regicida. «Questo momento impiccossi inferriata mediante asciugamano detenuto Bresci», si legge però nel telegramma recapitato a Giolitti il 22 maggio del 1901. La «Signora» aveva perduto. Per l'ennesima volta. Pierluigi Battista In un libro di Arrigo Petacco, una lettera inedita di Errico Malatesta: «Quella signora è con noi»