Genio dei mostri di Mario Ciriello

Genio dei mostri Il pittore britannico è morto a Madrid: aveva 82 anni, è stato uno dei grandi maestri del secolo Genio dei mostri DLONDRA ICEVA di preferire la vita: all'arte, anche se poi «della vita nulla resta», men Jtre l'arte «talvolta perdu-. ra». L'enunciava spesso, questa sua filosofia, il pittore anglo-irlandese Francis Bacon, morto a Madrid a 82 anni. Sì, riuscì a vi- ' vere e a dipingere come volle, senza tradire mai il suo estro umano e artistico. E con successo. «Forse perché non mi prendo troppo sul serio - spiegava di recente - o perché non mi interessano né i soldi né la gloria». Era «simpatico». Senza vanità, né presunzione, né prosopopea, conquistava l'ospite con humor, cortesia, vivacità, con un torrente di parole che scorreva, spesso in tutte le direzioni tranne l'arte. Alla domanda: «Quali sono i suoi pittori preferiti?», ripeteva Velàzquez e Rembrandt: ed aggiungeva: «La pittura è la lingua della pittura. Se se ne parla, diventa una mediocre traduzione». A chi insisteva per sapere cosa ispirasse le sue opere, citava la frase della Pavlova: «Se sapessi perché ballo, non ballerei». Questo è l'uomo che molti giudicano il più grande artista inglese dopo Turner e altri condannano perché non scorgono nelle sue tele che «oscenità», e non soltanto le oscenità del sesso ma anche della violenza. Al secondo gruppo apparteneva Margaret Thatcher che, in un'occasione, pur senza nominare l'autore, denunciò, arcigna, «colui che dipinge quegli orribili quadri». Bacon protestava sorridendo: «La mia pittura non può essere spaventosa. E' una forma di vita». Era onesto, così vedeva la vita. Un breve intervallo, tra la nascita e la morte; un maelstròm che divora gli uomini con le loro passioni e disperazioni. La sua pittura è come l'arte dei «poeti maledetti». «Io tento di dipingere - spiegò una volta - la traccia lasciata dalle creature umane, la bava lasciata dalle lumache». Ma non v'era nulla di «maledetto» nel Bacon uomo. Genio e sregolatezza, sì, ma la sua bohème era quella di chi ama la vita, di chi, dinanzi alla tragedia universale, abbraccia la commedia. Era una specie di Falstaff e, tre anni fa, aveva annunciato: «Spero di continuare a dipingere fino alla fine. Un giorno, dopo una bella bevuta e una partita di poker, stramazzerò a terra, durante il lavoro». Irresistibile era in lui l'amour de la boue, l'amor del fango, un miscuglio di romanticismo, esotismo e senso d'avventura, un'irrequietezza che lo portava, per lunghi periodi, ai porti del Mediterraneo e dell'Africa. Francis Bacon era anglo-irlandese solo per l'anagrafe, era in realtà inglesissimo, nel carattere, nel tratto, nelle mille eccentricità. Nacque in Irlanda nel 1909, perché il padre, un ex militare britannico, vi si era trasferito dopo aver lasciato l'esercito e aveva investito i soldi della moglie in un allevamento di cavalli, fi genitore, un altro eccentrico, considerava la scuola una perdita di tempo e il piccolo Francis, che soffriva d'asma, abbracciò con entusiasmo la sua filosofìa. «Fra malattie, viaggi e altri stratagemmi, io ricevetti un solo anno di istruzione formale, a Cheltenham, in Inghilterra, dove mio padre era tornato», ricordava il pittore: e sosteneva che, nel Terzo Mondo, i bambini, abbandonati a se stessi, in libertà assoluta, «crescono saggi, accorti e senza inibizioni». A16 anni, con il consenso della famiglia, Francis Bacon si trasferisce a Londra, dove fa un po' di tutto. Comincia a dipingere tardi, a 30 anni, è interamentejautodidatta. Già nel dopoguerra, i suoi quadri ricevono critiche favorevoli, ma il successo arriva verso la fine degli Anni 50. L'anno passato, uno dei trittici di Bacon è stato venduto a New York per quasi 9 miliardi di lire. Il danaro lo lascia indifferente. «Mi serve soltanto a finanziare la mia passione per il gioco e lo champagne». Giocava, perché la tensione dell'azzardo lo eccitava. Negli Anni 60, a Montecarlo, vinse una fortuna e la perse. Francis Bacon deludeva chi cercava in lui le stesse «folate di male» (la frase è di un critico) che esalavano sovente dalle sue opere. Il salon artistico che lo invita- va nella speranza di provare un brivido scopriva che Bacon era un uomo cortese e gentile, che beveva troppo ma raramente perdeva la sua dignità. Negli Anni Settanta, fu arrestato a Londra, nella sua casa di Chelsea, per possesso di stupefacenti, ma si difese sostenendo che da tempo cercava di lenire con la morfi¬ na le pene della sua caparbia asma. Un tipo bizzarro, non c'è dubbio, un uomo che non è stato a scuola, che non s'è sposato, che non ha fatto il militare, che ha sempre evitato di legarsi a una comunità, che è vissuto in molti Paesi. Un grande artista. Mario Ciriello Amava la vita: «Con la mia arte mi pago il gioco e lo champagne» «Papa Innocenzo X», un celebre studio di Francis Bacon In alto, l'artista accanto a tre autoritratti Picasso, davanti ai suoi quadri, si sentiva ancora «uno scolaro»

Luoghi citati: Africa, Inghilterra, Irlanda, Londra, Madrid, Montecarlo, New York