Bonn due ministri degli Esteri in 48 ore
Le dimissioni vere e quelle all'italiana IL CASO Le dimissioni vere e quelle all'italiana DROMA ICEVA Alcide De Gasperi, nato pur sempre sotto gli Asburgo, che le dimissioni non si preannunciano ma si danno. Come ha fatto Genscher. E come invece non fanno i politici italiani. Che coltivano massimamente il gusto dèi finto abbandono, della rinuncia fasulla, dell'addio che non pregiudica il futuro. Neanche quello più prossimo. Fino a destare il sospetto che, in definitiva, il preannuncio di improbabilissimi ritiri non sia solo un irresistibile capriccio politico-esistenziale ma addirittura una premessa per la conquista (o il mantenimento) del potere. Andreotti, Cossiga, De Mita, Forlani, Occhetto: a dar retta ai vari preavvisi, già da tempo la nomenklatura sarebbe azzerata. Al contrario, la tecnica, forse anche l'arte delle dimissioni all'italiana è così diffusa da offrire parecchi spunti e perfino un'ampia casistica. Sia Andreotti che Martinazzoli, per cominciare, avevano promesso di mollare a 60 anni. Rinuncia del tipo anagrafico-climaterico. «Poi • ha spiegato il primo mi sono preso una proroga»: durante la quale ha occupato la Farnesina e Palazzo Chigi. Mentre il secondo, che ha confermato il proposito almeno tre-quattro volte dal 1990, eletto senatore il 5 aprile, risulta attualmente in (sofferta) corsa per la segreteria de. E pensare che due mesi fa, per scongiurare l'addio di Martinazzoli alla politica, Forlani se n'era uscito con una frase quasi canzonatoria: «Gli suoneremo lo zufolo». Bene, il bello è che poco dopo la musichetta l'ha modulata il Consiglio nazionale de proprio per lui, Forlani, che il martedì s'era presentato dimissionario e il mercoledì sera ci ha ripensato. «Dopo"di me il diluvio»: questa, di norma, l'ispirazione degli auto-esoneri fanfaniani. Così clamorosi, nel 1959, da far ritenere che il leader aretino fosse pronto perfino ad entrare nell'ordine dei monaci camaldolesi. Nel 1960 era presidente del Consiglio. Così come De Mita, nel 1982, cioè ^rie^ poco prima di occupare per sette anni Piazza del Gesù e poi anche Palazzo Chigi, s'era detto pronto a ritornare a Nusco e aveva già fatto i calcoli della pensione. A metà strada fra la «sindrome di Cincinnato» e lo sdegno da stemperare in convento si colloca l'«adesso vi trovate un altro segretario!» pronunciato da Occhetto in partenza per Caparbio dopo la bocciatura del congresso di Rimini. Abbandono del genere «qui lo dico e qui lo sdico», con l'attenuante del crollo nervoso. Ancora a De Mita si devono dimissioni-blitz - durata effettiva: otto ore - in occasione di uno psicodrammatico Consiglio nazionale agostano. Mentre il record di «rinuncia prolungata e apparente» se lo sono conquistato quella dozzina di sottosegretari della sinistra de che mollarono solo formalmente le poltrone nel penultimo governo, rimanendo a bagnomaria per diversi mesi. Modello per certi versi speculare a quello, piuttosto abusato di recente da Cossiga ma anche da Andreotti e Gava, delle «dimissioni del periodo ipotetico»: se voi ritenete che io sia di.troppo,,, ditelo pure che non c'è problema. E dice addio pure Ciccioli na, che poi concorre al Senato. Dice addio, disgustato da una politica «fatta solo di affari e potere», il giovane deputato de Scarlato: ed eccolo, l'altro giorno, «tornare in campo per la riforma». «Pulicenella se ne va» annuncia il socialista Franco Piro. Rieletto con un ottimo risultato. Ti alla fine, per trovare qualcuno che abbia deragliato dalla via italiana alle dimissioni - cioè che l'abbia fatto sul serio - bisogna risalire a Dossetti, a Corbino, a Silvio Gava, a Cossiga dopo il caso Moro. E sono eventi che nella cronaca e nei ricordi dei protagonisti si tramandano come straordinari, memorabili, ultraterreni. «Le dimissioni spiegava serio l'ex ministro dell'Interno Antonio Gava me le ha richieste Nostro Signore...». Filippo Ceccarelli Bili j
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