INTELLETTUALI D'EUROPA Randagio è l'eroe

INTELLETTUALI D'EUROPA Randagio è l'eroe Ascesa e caduta di una categoria: la metamorfosi viene dall'Est. Un saggio di Lepenies fa discutere INTELLETTUALI D'EUROPA Randagio è l'eroe CRIVE Carlo Di Linneo, studioso di botanica nato in Svezia nel 1707, che l'Homo Europeus ha tre proprietà: è lieve, arguto, inventore. E siccome Linneo frequentava i vocabolari delle piante, la definizione è formulata in latino: levis, argutus, inventor. Non conosco il testo di Linneo, e non so cosa significasse per lui l'aggettivo «levis» - leggero - che per i moderni è spesso una virtù e per i classici latini non raramente un vizio. «Levis auctor» è autore poco attendibile, in Livio. «Leves iudices» sono giudici senza coscienza, in Cicerone. E chi ha letto L'insostenibile leggerezza dell'essere sa che anche in Kundera la levità è un fardello, tutt'altro che facile da portare anche quando conferisce all'individuo agilità nonché arguzia. L'idea stessa di classificare gli europei (per generi, o generazioni) non mi convince del tutto. Preferisco pensarli come individui inclassificabili, e non come specie botanica. Preferisco vederli alla maniera di Kierkegaard: non «dal punto di vista di una storia universale prefigurabile», non «confondendo una generazione con un banco di aringhe» (briciole di filosofia). Tuttavia l'abitudine a classificare è ricorrente, e se serve poco o nulla a capire gli europei serve di contro a capire chi ha classificato, e pensato l'Europa. Serve a capire le speranze, le illusioni, le disillusioni dei suoi intellettuali. Oggi, per esempio, sembra esser epoca di disincanto. Dunque di lievità, di arguzia, di invenzioni postdogmatiche. E' quel che sostiene il sociologo tedesco Wolf Lepenies, nel suo breve saggio intitolato Ascesa e caduta degli intellettuali europei (Laterza) e i tre attributi di Linneo compaiono più volte nel suo testo: come professione di fede. Caduti i muri che separavano le due Europe, gli intellettuali, devono oggi ricostruire con i frammenti di rovine che hanno in mano. La fine della Storia li minaccia ma almeno la mente è di nuovo libera, resa fertile dai tanti errori commessi. Lepenies non è indulgente con gli intellettuali che hanno servito i due totalitarismi, ma giudica inopportuno erigere tribunali. Le dispute tedesche attorno alle colpe degli intellettuali della Germania Est, per esempio, gli sembrano incongrue: d'accordo, l'intellighenzia in Ddr è stata più vigliacca che in altri Paesi comunisti; ma chi sono i tedeschi occidentali, per giudicare? «L'ex Repubblica federale non è stata la migliore - osserva Lepenies ma semplicemente la più fortunata delle due Germanie, e i favori della geografia non attribuiscono a nessuno, a Ovest dell'Elba, il diritto di atteggiarsi ad apostoli della moralità». Constatazione parecchio ingiusta - a me pare - perché i tedeschi occidentali hanno mostrato di meritare la fortuna che è loro capitata, praticando la democrazia per oltre quarant'anni. Ma per Lepenies non è di giudici che ha bisogno l'Europa, ma di nuovi intel- lettuali: più precisamente, dell'intellettuale post-ideologico, lieve, moralista-scettico, che nel 1989 è stato protagonista della rivoluzione democratica in Europa Centrale. Assai poco entusiasta verso l'intellighenzia tedesco-orientale, l'autore lo è decisamente, e senza alcuna riserva, nei confronti dei letterati polacchi, cecoslovacchi, ungheresi, che hanno «permesso la vittoria della cultura sul potere statale», e sono adesso classe dirigente. E' grazie a loro che «il ventunesimo secolo sarà sottratto a Giappone e America, e diverrà saeculum dell'Europa». E' grazie a loro che «si assiste a una rilegittimazione dell'intellettuale, al ritorno dell'eroe sulla scena politica». E' grazie alla cultura del Centro Europa, «più letteraria che scientifica», che il futuro degli europei sarà forse meno grigio del previsto: sarà, annuncia Lepenies, «più legato alle visioni degli intellettuali che ai calcoli dei manager», e risulterà dallo «scontro - finalmente possibile fra cultura politica degli esperti (occidentali) e cultura politica dei moralisti (orientali)». Non gli scienziati con la loro «coscienza tranquilla» ma la «classe dolente», come la chiama Lepenies gli uomini di lettere alla Havel, gli artisti, i poeti - avrebbero vinto il comunismo per divenire gli eroi dei nostri tempi. Vorrei soffermarmi su questo punto, sul quale nutro un certo numero di dubbi. E non solo perché non condivido la distinzione tra scienziati e letterati: uno scienziato che si rispetti, come Karl Popper insegna, non avrà mai una «coscienza tranquilla», sapendo che le sue ipotesi sono refutabili, all'infinito. I dubbi più forti riguardano il concetto di eroe politico, che Lepenies riprende da Carlyle, e che mi sembra mal adattarsi agli eventi dell'89. Innanzitutto, l'ascesa al potere dell'intellighenzia letteraria, a Est, mi pare indicare non tanto una speciale forza o maturità, quanto una debolezza, uno stato di privazione drammatica creato dal comunismo: parlo della privazione di una «élite» vera e propria, che è cosa ben diversa dall'elite intellettuale, o dall'estabUshment. Le élite sono state estirpate in maniera ben più radicale di quanto sia avvenuto nella Germania nazista o nella Spagna franchista, e il dramma odierno consiste nell'estrema difficoltà di creare, dal nulla, i quadri, i direttori d'azienda, i mestieri che le compongono. La verità è che l'unica élite esistente, nei regimi comunisti, era ed è stata sempre quella degli intellettuali: non c'è dunque da stupirsi se son stati loro, più naturalmente, a entrare nelle stanze del potere il giorno in cui i comunisti le hanno disertate. E' il motivo per cui non riesco a vedere, negli intellettuali oggi regnanti a Est, gli eroi che Lepenies propone a modello per l'Europa: e questo nonostante l'eroismo dell'epoca del dissenso. Per Carlyle, l'eroe moderno era l'Uomo di lettere, e Lepenies è convinto che la sua profezia infine si è realizzata: «Io prevedo - così scriveva lo storico inglese - che il mondo ritornerà sincero, ritornerà un mondo credibile, e sarà un mondo con molti eroi, un mondo eroico». Non so se Carlyle - che adorava in special modo il letterato romàntico dell'idealismo tedesco - avrebbe profetizzato con lo stesso entusiasmo, se avesse potuto vedere le catastrofi e i genocidi su cui è sfociato il bisogno romantico di sincerità eroica, in Germania. Ma sicuramente la politicizzazione dell'intellettuale in Europa centrale costituisce oggi un ostacolo più che un vantaggio; e non di rilegittimazione o ritorno dell'intelli¬ ghenzia converrebbe forse parlare, ma di un residuo - tragicamente grottesco - deìl'ancien regime. Lepenies d'altronde ne è consapevole, quando parla del ruolo degli intellettuali nella Germania comunista: «Quasi tutti - a esclusione di chi scelse l'esilio hanno goduto dei servizi sociali e dei sussidi concessi da un regime autoritario a umanisti e scienziati». Negli altri Paesi fu diverso: in Polonia per via dell'esistenza di un contropotere di fatto, detenuto dalla Chiesa cattolica; in Ungheria e Cecoslovacchia per via delle rivoluzioni fallite del '56 e '68, che hanno separato più nettamente gli intellettuali dal potere. Ma non per questo si può dire che la figura dell'intellettuale sia stata marginale. Per sua natura, il comunismo tende anzi a privilegiare la figura dell'intellettuale, ne fa il perno di una società dislocata, appiattita e distrutta, lo fa campeggiare sulle rovine delle élite. Le stesse rivoluzioni comuniste sono state fatte dagli eroi descritti da Carlyle: da uomini di lettere che «diventano influenti dopo essere stati sottoprivilegiati socialmente». I più sinceri fra gli intellettuali lo sanno, a Est. Sanno che la loro ascesa al potere è stata frutto di un compromesso con i comunisti, che l'assenza di processi.e di una rottura netta col passato è dovuta a tale compromesso. Lo sa Havel, che parla del dissenso come di un «paradiso perduto dell'innocenza», e spiega che non è facile come credeva all'inizio, «vivere nella verità». Che predica l'umiltà assai più dell'eroismo: «La presenza di intellettuali ai vertici dello Stato non è garanzia di buon governo. La ragione e l'intelletto sono insufficienti, se non si aggiunge l'onestà». La virtù più richiesta non è l'eroii smo, per Havel, ma «la decenza, il decoro, e il buon gusto». Altri intellettuali, a Est, sono meno umili, e forse anche meno democratici. Alcuni sono diventati dittatori, come Gamsakhurdia in Georgia: a nulla è servito che fosse un traduttore di Baudelaire. Altri, come Adam Michnik in Polonia, hanno conservato non pochi tic dell'intellettuale organico comunista. Quando Michnik consiglia di leggere i libri di Stalin e Hitler a gente che per mezzo secolo non ha letto altro che Stalin e Lenin {La Stampa, 30 marzo 1992) è il tono dell'agitprop che impiega: alle confuse opinioni post-comuniste non ricorda i tanti libri censurati che oggi potrebbero illuminare, ma ancora una volta - ordina, da vera avanguardia. Così anche recentemente, alla televisione francese, quando si è presentato in compagnia del suo vecchio aguzzino, il generale Jaruzelski, e si è poi offeso grandemente con il giornalista che gli chiedeva il perché di questo abbraccio, di questo perdono concesso al dittatore. Umbratile, irrispettoso verso il pubblico, Michnik si è rifiutato di rispondere; ha giudicato «troppo parigine» le dispute sul perdono che travagliano sinceramente la Francia, all'indomani dell'assoluzione di Touvier, capo della milizia di Vichy. «Che vi importa cosa penso nell'intimo della mia coscienza? Nell'intimo posso anche essere un bandito; ma se in pubblico sono un I onest'ùomo, solo questo conta». L'intellettualeeroe esce malconcio da simili prove: gli manca il decoro, il buon gusto di Havel, l'aspirazione alla verità. La malattia mortale che lo minaccia non è la metamorfosi in esperto, come teme Lepenies, ma la tendenza a scimmiottare - snobisticamente - quel che l'Occidente offre di peggiore: lo scetticismo ironico, al limite del cinico. Lo scetticismo è salutare, osserva Lepenies, e citando Kant conclude che è «virtù dei nomadi». Ma per Kant non era necessariamente una virtù: era un mezzo - pericoloso - per reagire al dispotismo dei dogmatici. Era un nomadismo che «ha in orrore qualsiasi dimora stabile sul suolo», che «rompe i legami sociali». Che con tranquilla coscienza considera del tutto normale, nonché innocuo, essere un bandito nel cuore, e un onesf uomo in pubblico. ■-■ Barbara Spinelli Il sociologo tedesco: «Ricostruirle con le rovine senza giudicare» «Grazie alla cultura di Polonia, Ungheria, Cecoslovacchia, [ più letteraria che scientifica, I il ventunesimo secolo sarà sottratto I al Giappone e agli Stati Uniti» Lo scrittore cecoslovacco Milan Kundera, autore della «Insostenibile' leggerezza dell'essere». Per lui la levità è un fardello tutt'altro che facile da portare Il sociologo tedesco Wolf Lepenies, autore del saggio sugli intellettuali. Sostiene che la fine della Storia li minaccia, . ma la mente è di nuovo libera aduti i muri ue Europe, no oggi riconti di rovine La fine della a almeno la ra, resa ferno servito i ma giudica ribunali. Le rno alle col della Gerpio, gli semccordo, l'instata più viesi comuni i tedeschi icare? «L'ex non è stata Lepenies a più fortuanie, e i faon attribuivest dell'Eleggiarsi ad tà». Constaiusta - a me chi occidendi meritare ro capitata, razia per olon è di giuEutel- eroi dei nostri tempi. Vorrei soffermarmi su questo punto, sul quale nutro sono state estirpate in maniera sti, che lassenza di processi.e di una rottura netta col passato è dovuta a tale compromesso. Lo Qui accanto: ' lo scrittore Adam Michnik. Sopra: Vaclav Havel e (a destra) il generale Jaruzelski «Grazie alla cultura di Polonia, Ungheria, Cecoslovacchia, [ più letteraria che scientifica, I il ventunesimo secolo sarà sottratto I al Giappone e agli Stati Uniti» I georgiano Gamsakhurdia. Sopra: Popper timo posso anche essere un dito; ma se in pubblico sonI onest'ùomo, solo questo contL'intellettuaeroe esce malcio da simili ve: gli mancdecoro, il buon gustHavel, l'aspirazione verità. La malattia mtale che lo minaccia nla metamorfosi in esto, come teme Lepema la tendenza a smiottare - snobismente - quel che l'Odente offre di peggiorscetticismo ironico, amite del cinico. Lo sccismo è salutare, osserva Lnies, e citando Kant concche è «virtù dei nomadi». MaKant non era necessariamuna virtù: era un mezzo - peloso - per reagire al dispotdei dogmatici. Era un nomsmo che «ha in orrore qualdimora stabile sul suolo», «rompe i legami sociali». Chetranquilla coscienza considel tutto normale, nonché icuo, essere un bandito nel cue un onesf uomo in pubblicoBarbara Spin/ ss* I georgiano Gamsakhurdia. Sopra: Popper Qui accanto: ' lo scrittore Adam Michnik. Sopra: Vaclav Havel e (a destra) il generale Jaruzelski