Il copilota di Bonn

Il copilota di Bonn Il copilota di Bonn Al governo da ventitré anni ha tessuto la Ostpolitik BONN DAL NOSTRO CORRISPONDENTE Ancora otto anni e avrebbe battuto il record di Andrei Gromyko, che per 26 anni è rimasto alla guida del ministero degli Esteri sovietico. Ma Hans-Dietrich Genscher - che quasi certamente quel record avrebbe potuto eguagliare e battere - ha abbandonato la scena con un anticipo sorprendente, che ha provocato il secondo terremoto a Bonn in due settimane, un sisma politico e diplomatico questa volta. Con le sue dimissioni è infatti il governo Kohl a tremare, ma è anche una fase della storia tedesca a chiudersi: ministro ininterrottamente da 23 anni - la metà della vita della Repubblica federale - e responsabile degli Esteri dal 17 maggio del '74 dopo quattro anni ai permanenza agli Interni, Genscher ha avuto responsabilità diretta nelle principali vicende che hanno accompagnato la vita di una generazione, prima nei governi a guida socialdemocrati¬ ca di Willy Brandt e Helmut Schmidt, dei quali proseguì la politica di apertura all'Est; poi, dal 1982, con i democristiani di Helmut Kohl. Quale che sia la ragione dell'addio alla diplomazia, a 65 anni Genscher entra nella ristretta schiera dei politici che possono affermare di aver realizzato «il sogno di una vita». Il dossier più entusiasmante è stata l'unificazione tedesca: e per lui che è nato nella Ddr, a Reideburg vicino a Halle, e che nel '52 è fuggito all'Ovest dove è diventato avvocato, quel «sogno» valeva una vita e una carriera. Il 3 ottobre del 1990, quando la Germania è ritornata unita, l'uomo politico sempre in testa nei sondaggi è entrato anche nella storia. Quel giorno, il «genscherismo» - un termine colmo di disagio con il quale americani e inglesi hanno etichettato la «cooperazione volontaristica» con l'Est da lui auspicata e perseguita - è diventato il punto di riferimento della nuova geografia politica europea. Era stato Genscher, con un famoso discorso pronunciato a Davos nel febbraio dell'87, a sfidare lo scetticismo occidentale di fronte a Gorbaciov, e a puntare sul nuovo capo del Cremlino. Quel patrimonio di fiducia non si è mai incrinato e con le prime brecce al Muro, nell'autunno dell'89, ha favorito il balzo sorprendente verso l'unificazione. Dietro la «locomotiva» del Cancelliere, è stato Genscher a condurre i negoziati risolutivi che avrebbero por¬ tato alla Svolta, cancellando le' ultime incertezze dei Quattro Vincitori: anche per la sua sofisticata, abilità di mediatore, il trattato che rendeva la piena sovranità alla Germania è arrivato in tempo per le elezioni del dicembre 1990, stravinte da Kohl. Eppure, questo fenomeno della politica tedesca, come lo considerano tutti in patria, venne guardato con benevola sufficienza quando arrivò al vertice della diplomazia. Prima di allora non si era mai occupato di politica estera, sapeva una sola lingua straniera, l'inglese, e in modo approssimativo. Presto anche i più scettici si accorsero di averlo giudicato male: Genscher imparò in fretta, la sua «onnipresenza» è diventata proverbiale (quasi quanto i pullover gialli che indossa sempre). Grazie a lui, soprattutto, la nuova Germania ha mostrato un vigore straordinario, diventando il vero motore diplomatico d'Europa con le aperture verso il centro e l'Est, dalla Croazia alla Lituania, e ha rimesso in discussione l'immobilità postbellica: suscitando anche fra gli alleati tensioni e diffidenze. Di certo, fino a ieri Genscher rappresentava la vera costante della politica tedesca nel secondo dopoguerra. E non soltanto per la sua lunga permanenza nel governo. Come ha detto Oskar Lafontaine, l'avversario di Kohl alle ultime elezioni: «Era un copilota nato, dava l'impressione di essere lui a spingere l'autobus nel quale sedeva», [e. n.) Nato nella Ddr ha costruito iltrionfo dell'unificazione Hans Dietrich Genscher [fotoapj Irmgard Schwaetzer [foto ai>)

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