Nasce la terza, piccola Jugoslavia

Nasce la terza, piccola Jugoslavia Serbia e Montenegro creano la nuova Federazione, la cerimonia boicottata da Cee e Usa Nasce la terza, piccola Jugoslavia Dalla bandiera nazionale è scomparsa la stella rossa Washington avverte: non aggredite le altre Repubbliche ZAGABRIA NOSTRO SERVIZIO La Jugoslavia è morta. Viva la Jugoslavia. Alle 14 di lunedi 27 aprile del 1992 ha definitivamente cessato di vivere la Jugoslavia di Tito. Il Paese socialista sorto dalle ceneri della Seconda guerra mondiale è stato seppellito dopo una lunga e tragica agonia. Ma con una cerimonia solenne nel palazzo dell'ex Parlamento federale, di Belgrado, Serbia e Montenegro hanno proclamato la nuova Costituzione jugoslava e la nascita di un nuovo Stato, che hanno chiamato Repubblica Federale Jugoslava. Oltre al nome e al vecchio inno nazionale, infatti la nuova creatura non ha nulla da spartire con 10 Stato jugoslavo che oramai fa parte della storia. Persino la vecchia bandiera tricolore è stata defraudata della stella rossa che spiccava al suo centro. Paradossalmente è stato tolto anche 11 nominativo di socialista. Eppure la Serbia di Slobodan Milosevic e il Montenegro di Momir Bulatovic sono gli unici due regimi in Europa sopravvissuti al crollo del comunismo. Sotto le spoglie socialiste sono rimasti al potere anche in seguito alle prime elezioni pluripartitiche in queste due Repubbliche. La cosiddetta Terza Jugoslavia è dunque frutto della tradizionale alleanza serbo-montenegrina, ma soprattutto degli in¬ teressi politici del leader serbo che vuole a tutti i costi mantenere l'eredità giuridico-amministrativa della Jugoslavia, ovvero il suo riconoscimento internazionale. «Si tratta di un atto storico», ha dichiarato Milosevic al termine della breve cerimonia ufficiale. «Noi non possiamo essere servi di nessuno, con questo abbiamo dimostrato che possiamo resistere a tutte le pressioni esterne». Malgrado la presen_ di alti funzionari serbi e montenegrini dell'ex Stato federale, del patriarca della Chiesa ortodossa e di un certo numero di diplomatici, per lo più dei Paesi non allineati, tutti gli ambasciatori dei Paesi della Cee hanno disertato la cerimonia. Assente anche l'ambasciatore americano, a differenza del suo collega russo che ha raccolto l'invito (da Washington è arrivato un monito: «Le nostre relazioni saranno determinate dall'atteggiamento che terranno nei confronti dell'integrità territoriale delle altre Repubbliche e dei diritti delle minoranze etniche», ha dichiarato la portavoce del dipartimento di Stato Margaret Tutwiler). Anche la città, semideserta per via del lunedì della Pasqua ortodossa, ha ignorato la celebrazione. Non più di un centinaio di persone si sono riunite di fronte al Parlamento. Qualche applauso, ma soprattutto fischi. Il passaggio di Milosevic e dei suoi fedeli è stato scandito col grido «banda rossa». Con quest'ultima mossa, giocata alla vigilia della riunione della Csce in cui si deciderà l'eventuale espulsione della Jugoslavia per via dell'aggressione contro la Bosnia, Milosevic vuole raggirare la politica internazionale, presentandosi sotto la veste «pulita» di un nuovo Stato. Nella dichiarazione adottata ieri la «sua» Repubblica Federale Jugoslava si dice infatti pronta a rispettare in assoluto i diritti e gli interessi delle ex Repubbliche jugoslave che hanno proclamato l'indipendenza. Non solo, ma la cosiddetta Terza Jugoslavia auspica buoni rapporti con tutti e un'equa divisione dei beni comuni. Infine il nuovo Stato dichiara di non avere nessuna pretesa territoriale nei confronti dei suoi vicini. Ma nella stessa dichiarazione viene sottolineato che il riconoscimento delle ex Repubbliche jugoslave avverrà soltanto quando verranno risolte le questioni tuttora in sospeso in seno alla Conferenza di pace sulla Jugoslavia. Per onorare gli impegni presi dalla ex Jugoslavia nei confronti dei territori delle cosiddette Krajine, che sono sotto la protezione dell'Orni, il nuovo Stato ha già varato la somma di 22 miliardi di dinari per finanziare in queste regioni la polizia, la magistratura, l'am¬ ministrazione nonché scuola e sanità. Trattandosi delle regioni attualmente occupate dall'esercito federale è più che ovvio che Milosevic non intende rinunciare al suo progetto della Grande Serbia. Lo dimostra ancora una volta l'esercito di Belgrado che anche ieri ha continuato a bombardare con l'artiglieria pesante Mostar, Bosanski Brod e Zvornik in Bosnia, nonché quelle slavone in Croazia. Ma la Presidenza della Bosnia Erzegovina ha deciso ieri sera che la cosiddetta Armata popolare jugoslava deve ritirarsi dal territorio della sua Repubblica. Due gli elementi chiave della de¬ cisione: il riconoscimento internazionale della Bosnia, ma soprattutto la costituzione della nuova Jugoslavia. Per Belgrado comincia infatti l'effetto boomerang: assumendo ufficialmente la responsabilità dell'esercito federale, da ieri riconosce indirettamente che nelle altre Repubbliche il suo è un esercito di occupazione. D'altra parte il comandante supremo dell'esercito, il generale Adzic, ha riconfermato che i militari non se ne andranno così facilmente dalla Bosnia. Il dramma jugoslavo non sembra ancora vicino alla fine. Ingrìd Badurina Il leader serbo Milosevic (a sinistra) e il presidente del Montenegro Bulatovic applaudono alla nascita della «nuova» Jugoslavia. A fianco civili in fuga durante i combattimenti in Bosnia-Erzegovina (fotoapj