Ci risiamo: la regina Vittoria non si diverte
Ci risiamo: la regina Vittoria non si diverte «Gilbert & Sullivan & Company», spettacolo «assemblato» da Crivelli e Brandon per il Teatro della Tosse Ci risiamo: la regina Vittoria non si diverte I tentativi di 10 strampalati comici perfar sorridere Sua Maestà GENOVA DAL NOSTRO INVIATO In «Gilbert & Sullivan & Company, Divertimento Musicale», gli autori o meglio assemblatori Filippo Crivelli (anche regista) e Nicholas Brandon (anche regista assistente e interprete) immaginano che dieci spigliati comici tentino di strappare un minimo di assenso a una arcigna regina Vittoria, mummificata in un fantoccio di Emanuele Luzzati e tetragona nel ripetere il suo noto slogan «Non ci divertiamo». L'ambiente, sempre inventato da Luzzati, è uno spazio lungo quanto il lunghissimo boccascena del Teatro della Tosse, e contiene un palco raggiungibile mediante gradini, dominato dalla suddetta sovrana, e una vasta porta-recesso occultabile con una tenda; il fondo è nero, molto ravvivato da manifesti d'epoca e da numerose e colorate sagome raffiguranti noti e meno noti beniamini della letteratura fantastica inglese ottocentesca, per esempio personaggi di Alice nel Paese delle Meraviglie. Il repertorio offerto, sempre con molto brio, all'idolo del piano di sopra, consiste soprattutto di brani tratti dalle operette dei non ancora Sir Gilbert e Sir Arthur (tali prometterà di farli Vittoria, un po' intenerita, alla fine delle due ore e mezzo di spettacolo, intervallo compreso), mischiati con pezzi talvolta anche brevissimi tratti da altri grandi intrattenitori coevi, come soprattutto Oscar Wilde e Lewis Carroll, ma anche Dickens, Rossetti ecc. I rischi di una iniziativa simile e anche i limiti dell'allestimento emergono tutti con molta evidenza nella prima parte della serata. Il primo, forse insormontabile, riguarda la traduzione delle parti cantate. Benché tuttora oggetto di culto in patria e spesso riproposte anche in altri Paesi anglofoni, le meravigliose operette di Gilbert e Sullivan non hanno infatti mai attecchito non dico in Italia, ma neanche in Francia o in Germania, perché l'incantevole musica di Sullivan com- menta argutamente la squisita ironia di Gilbert, ma questa ironia è spesso puramente verbale, e quando la si perde col passaggio in un'altra lingua anche il commento melodico perde allusività. Volendo introdurre il nostro pubblico a queste prelibatezze sarebbe comunque preferibile, forse, proporne una per intero (l'anno scorso si tentò a Paleimo col «Mikado», ma in una versione d'epoca assolutamente inadeguata) piuttosto che come qui, una serie di frammenti avulsi dal contesto e quindi praticamente incomprensibili. Tanto più che le musiche al Teatro della Tosse sono registrate, e che spesso gli attori sembrano cantare in playback. Qui confesso una mia avversione personale; ma se il teatro deve restare un fatto vivo, un pianoforte scordato sarà sempre preferibile ai Berliner Philarmoniker incisi su nastro. Inoltre la pioggia di brani delle prima parte esagera nella ricerca della citazione non banale, e gli spettatori, per cui il materiale è nuovissimo, faticano a raccapezzarsi. Quanti sanno che con Bunthorne, protagonista di un brano di «Patience», Gilbert e Sullivan vollero prendere in giro il nascente movimento estetico e le sue svenevolezze? Perfino l'unico pezzo solido e facilmente seguitile di questa zona, uno stupendo concertato di dame da «Una donna senza importanza» di Wilde, è sabotato dall'esecuzione affidata a quattro uomini travestiti, spostando quindi la carica satirica sul fatto del camuffamento. -Per fortuna le cose migliorano enormemente nella ripresa, che invece di essere sminuzzata in briciole poco afferrabili si impernia su tre blocchi, tratti dai tre capolavori del periodo, «The Mikado», «L'importanza di chiamarsi Ernesto» (l'incontro delle due ragazze, eccellenti qui Consuelo Bai-ilari e Francesca Corso), e «Alice» (un ispirato tè del Cappellaio Matto, con Pietro Fabbri, Veronica Rocca e Vanni Valenza: ottimi). C'è anche una lettera di Lewis Carroll, qui impropriamente chiamato «pastore», spiritosamente detta da Enrico Campanari con l'ausilio di una lavagna per illustrare i calembours dell'inglese. Il bilancio globale registra così un festoso successo con applausi per tutti; repliche fino al 5 maggio. Masollno d'Amico Vanni Valenza e Veronica Rocca
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