Ma la lira ha già vinto la battaglia dei cambi

Ma la lira ha già vinto la battaglia dei cambi r I NOSTRE SOLDI Ma la lira ha già vinto la battaglia dei cambi ON passa giorno, si può dire, senza che almeno una volta si senta parlare dei nostri impegni nei confronti dell'Europa: quella presente e più ancora quella di domani, quando entreranno in vigore (si dice così?) gli accordi di Maastricht, questa piccola città olandese, a pochi passi, però, dal Belgio e dalla Germania, quasi a significare che il vero cuore del Continente è pur sempre lassù. La rotta per arrivare a Maastricht, anche per questo motivo, è lunga e irta di scogli. Ci vorrebbe, pertanto, un nocchiero particolarmente esperto. Il rivolgimento in corso, a tutti i livelli, ce ne offre l'occasione, visto che, come si dice, dobbiamo anche passare dalla prima alla seconda Repubblica. Il primo della prima, che ci salvò dall'inflazione, fu Luigi Einaudi, ex Governatore della Banca d'Italia. Che ne direbbe se a portarci in Europa dovesse essere Carlo A. Ciampi, attuale Governatore della Banca d'Italia? Mi sentirei più tranquillo anche per i nostri soldi». Vorrei rispondere con due esempi al lettore G.M. (lettera firmata), che scrive da Modena. Il 1991 si è chiuso con il nostro Paese al terz'ultimo posto tra i 12 della Comunità europea, nella classifica dell'inflazione, con un tasso medio del 6,4 per cento, seguito solo dal Portogallo (11,4) e dalla Grecia (18,9), e preceduto da tutti gli altri, con una media complessiva del 3,5 per cento. Invece, per quanto riguarda il comportamento della lira sui mercati dei cambi, il discorso, cioè la classifica, è assai diverso, al punto da diventare quasi positivo. Consideriamo, infatti, le sei più importanti monete del mondo (dollaro Usa, sterlina inglese, franco svizzero, marco tedesco, franco francese, yen giapponese), più l'Ecu (European currency unit), e il loro rispettivo rapporto di cambio con la lira italiana, alla fine del 1988 e oggi, più di tre anni dopo. Il confronto darà un risultato che potrebbe costituire una sorpresa per molti. Troveremo, cioè, che a fine '88 occorrevano più di 7000 lire - e precisamente 7027 - per acquistare tutto il pacchetto di valute, mentre oggi (fine aprile '92) ne bastano 6795. Questo perché la lira ha guadagnato (nel senso che ne occorrono meno per cambiarsi con esse) su quattro di quelle valute: il dollaro è passato nel periodo da 1305 a 1241 ; la sterlina è scesa da 2364 a 2214; il franco svizzero da 867 a 812; lo yen da oltre 10 a poco più di 9 lire. Il cambio è peggiorato, ma non di molto, con l'Ecu (da 1530 a 1543), con il marco tedesco (da 735 a 753) e con il franco francese (da 216 a I tede I il fr quasi 223). In definitiva, in tre anni e quattro mesi, la lira ha guadagnato sui mercati dei cambi, nei confronti di queste sette valute, il 3,30 per cento. Niente male per una moneta che, sui mercati interni, ha perso, invece, nel periodo, il 18 per cento. E allora? potrà chiedermi il nostro lettore di Modena, in attesa del mio parere sul suo candidato al Quirinale. Allora il potere d'acquisto della lira sui mercati interni è guidato, per così dire, dal governo, responsabile, alla resa dei conti, degli aumenti del costo del lavoro, dell'andamento della domanda interna, delle tariffe amministrate, delle spese pubbliche e via dicendo. (Mentre non può accusare, certamente, in questo stesso periodo, i fattori esterni, tipo i costi per l'importazione di energia, per la quale siamo arrivati a spendere oltre 46 mila miliardi di lire nel 1985, pari a quasi 70 mila miliardi del 1991, quando ne abbiamo spesi, invece, meno di 30 mila). Il potere d'acquisto della lira sui mercati dei cambi è guidato dalla Banca d'Italia. Mi sembra, dunque, che se si deve scegliere un nocchiero, in questo difficile momento, per la barca Italia, non dovrebbero esserci incertezze sul candidato. Il quale, senza dubbio, saprebbe farsi rispettare, nel suo compito di «timoniere», più di quanto sia riuscito a farsi rispettare un altro ex Governatore, nel suo recente ruolo di ministro del Tesoro. Una lettera da Melbourne «Sono un emigrante degli Anni 50 in Australia. Nel 1970 ricevetti da un mio fratello, allora professore e preside a Settimo Torinese, la richiesta di una procura per la cessione dei beni lasciati in eredità da nostro padre», mi scrive Oreste Anselma da Melbourne («dove "La Stampa" arriva puntualmente»), raccontandomi, in una lunga lettera, che suo fratello cedette la sua (di Oreste) parte di eredità per un milione. In questi giorni, durante una visita in Italia, il fratello voleva dargli tre milioni, con la richiesta di firmare una ricevuta (per «sistemare definitivamente il debito»), firma che Oreste ha rifiutato. Ha fatto bene, perché 1 milione del 1970 corrisponde ad almeno 10 milioni e mezzo di oggi Mario Salvatorelli Bili |

Persone citate: Carlo A. Ciampi, Luigi Einaudi, Mario Salvatorelli Bili, Oreste Anselma