A Kabul la parola torna al cannone

A Kabul la parola torna al cannoneGià guerra nella città appena liberata, moderati e fondamentalisti si affrontano casa per casa A Kabul la parola torna al cannone Le milizie del leader moderato Masud controllano gran parte della capitale RESA DEI CONTI TRA LE FAZIONI AFGHANE KABUL DAL NOSTRO INVIATO La battaglia di Kabul è cominciata alle prime luci dell'alba. Gli infedeli comunisti, gli invasori rossi non ci sono più da tempo, il governo di Najibullah nemmeno. Il partito Watan è sparito lasciando letteralmente deserti gli uffici. Ma i vincitori si scannano fraternamente tra di loro, dopo le festose luminarie della sera prima. La città impaurita si è fermata: serrande abbassate, bazar deserto, traffico azzerato. Solo le auto e i camion delle fazioni scorazzano sventolando vessilli verdi dell'Islam. Mujaheddin, milizie, posti di blocco: sono decine di migliaia di bocche da fuoco. Raffiche si alzano da ogni parte senza che si possa capire chi spara, perché, contro chi. L'unica cosa certa è che la coalizione di gruppi guidata da Ahmad Shah Masud controlla gran parte della capitale. Lo Jamiat è appoggiato dallo Harakat-i-Islami dalle milizie tagike e uzbeke del generale Dostum, da quelle di Nodari, da Abdul Haq. Sabato sera il figlio del leader islamico moderato Mojadedi, che si chiama - ironia del destino - anche lui Najibullah, è apparso in tv per annunciare che Masud è stato nominato alla testa di un consiglio incaricato di governare la città. Poco dopo lo speaker della tv controllata da Jamiat ha informato che Masud diventava ministro della Difesa. Il consiglio di Peshawar sembra avallare queste decisioni, ma non risulta che tutti i suoi 51 membri siano ancora arrivati a Kabul. Nel frattempo il «leone del Panshir» ha preso l'iniziativa, cercando di sloggiare le milizie di Hekmatyar annidate in città. A sua volta il leader dello Hezb-i-Islami ha tentato l'affondo cercando di impossessarsi del forte di Balaa-Hissarr, che domina i sobborghi a Sud-Est della capitale e che non a caso - era stato scelto dai sovietici come sede dello stato maggiore dell'armata d'invasione. L'attacco - cui hanno preso parte anche quattro carri armati - è stato respinto dagli uomini di Dostum coadiuvati da Jamiat. Quando sono arrivato sul posto, le squadre di Gulbuddin Hekmatyar erano già state ricacciate all'indietro di circa un chilometro, ma sparatorie violente continuavano. L'intera parte Est della città è in mano allo Hezb. Il terreno del forte di BjlaaHissar era coperto da un tappeto di bossoli. Il comandante del forte, Mohammad Ajubb, vantava la sua vittoria «difensiva» dopo tre ore di combattimenti. Gli ho chiesto quanti morti aveva dovuto contare dalla sua parte. Ha risposto: «nessuno». All'uscita del bunker, in una cunetta, c'era il cadavere sommariamente avvolto in una coperta intrisa di sangue: qui non c'è nessuno che dica la verità, come accade in ogni guerra che si rispetti. Al ministero dell'Informazione - affidato al controllo della frazione Harakatti-Islami - il comandante Sajed Ahbersada afferma con sicurezza che Masud ha il pieno controllo della città e perfino che «le relazioni tra i partiti islamici sono buone, incluso lo Hezb di Hekmatyar». . Le raffiche di mitra, in strada, coprono a tratti la sua voce. Poco prima un'altra battaglia furibonda era stata combattuta attorno al palazzo presidenziale - a colpi di bazooka - per scacciare un commando dello Hezb che insidiava gli uomini di Masud. E fino a sera tutte le strade attorno all'Hotel Kabul erano impercorribili per la violenza delle sparatorie. Una rapida visita pomeridiana mi aveva permesso di accertare che gli uomini dello «stimato fratello» Gulbuddin Hekmatyar erano ancora asserragliati sulla collina di Tahimani. E, andando alla ricerca di notizie sulle vittime, scopro che l'ospedale militare, a meno di due chilometri dall'aeroporto, a meno di un chilometro dalla tv occupata da quelli di Jamiatt, è in mano a quelli dello Hezb. Cortesi ma irremovibili, rifiutano di rispondere a qualsiasi domanda. Dicono solo che Masud è alleato con quelli del Watan di Najibullah e sbarrano la porta. Voci incontrollabili parlano di decine di morti, molti dei quali tra la popolazione civile. Secondo i dati della Croce Rossa Internazionale, tra sabato notte e domenica si sarebbero registrati almeno 240 feriti. E il rombo lontano dei cannoni conferma che una battaglia di vaste proporzioni si sta svolgendo alle porte meridionali della città, dove Hekmatyar starebbe cercando di entrare in forze. Nel pomerig- gio tre salve di razzi sono partite dai pressi dell'aeroporto, ad «alzo» molto basso, dirette sui sobborghi a Sud-Est, dove lo Hezb sembra aver concentrato centinaia di uomini e una decina di carri armati. Il fumo degli incendi si alza da diverse zone del centro: dagli edifici che circondano il palazzo presidenziale, dalla collina di Nadir Khan, nei pressi della grande moschea, da Baia Hissar. Il consiglio provvisorio islamico formato a Peshawar dovrebbe arrivare di ora in ora. Ma Hekmatyar disporrebbe di missili terra-aria, piazzati sempre a Est. E gli aerei non atterrano e non partono. Il segretario generale dell'Orni, Butros Ghali, fa appello al cessate il fuoco immediato. Le uniche zone di Kabul non in mano alle fazioni sono le ambasciate e gli uffici dell'Orni e della Croce Rossa. Il che dovrebbe significare che Najibullah è ancora vivo. Giuliette Chiesa Offensiva dei mujaheddin fdoiraniani di Hekmatyar Respinto l'assalto degli integralisti all'ex fortezza dell'Armata Rossa Per ora risparmiati gli uffici Onu fi presidente Najib è ancora vivo Le milizie del leader moderato Masud controllano gran parte della capitale Battaglia al palazzo presidenziale. A sinistra, mujaheddin percuotono un militante di una fazione rivale. Il segretario Onu Boutros Ghali.

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