Il suo libro è folle. Lo pubblico

Il suo libro è folle. Lo pubblico Kurt Wolff, il più grande editore del '900. Rifiuti e scelte di un genio Il suo libro è folle. Lo pubblico // no a Joyce, il sì al Golem, la scoperta di Kafka NBELL'INVERNO del 1913 bussò alla porta dell'editore tedesco Kurt Wolff un gentiluomo dalle ma I niere impeccabili, he zoppicava leggermente. Disse di aver l'onore di proporre il suo primo romanzo, che aveva registrato con un dittafono. L'unica parte trascritta consisteva nel primo capitolo, che Gustav Meyrink porse con la richiesta di 10 mila marchi per tutti i diritti. Poteva, l'editore, usargli la cortesia di una risposta immediata? Il giovane Kurt Wolff cominciò a credere di trovarsi di fronte a un pazzo, ma tuttavia, colto così di sorpresa, si sentì costretto a rispondere con un sì o con un no. «Mi piacevano le pagine che avevo davanti, ma del libro non sapevo nulla e 10 mila marchi erano una somma enorme. Trovai la situazione assurda e volli mostrarmi all'altezza - dissi di sì». Era il Golem, un successo da centinaia di migliaia di copie. Wolff viene oggi celebrato in America come il più grande editore di cultura di questo secolo; e lo conferma l'affascinante libro appena uscito col titolo Kurt Wolff, a portrait in essays and letters (Chicago University Press). Ma se avesse rifiutato il libro di Meyrink, questo non sarebbe comunque stato né il primo, né il più clamoroso dei suoi rifiuti. Lo stesso Wolff, scomparso in un incidente d'auto nel '63, racconta il fastidio con cui reagì alla lettera di «un professore idiota», che da Trieste gli proponeva in un «pessimo tedesco» un suo romanzo. Wolff rifiutò a scatola chiusa quello che molti anni dopo capì essere l'Ulisse e allo stesso modo rispedì al mittente II tramonto dell'Occidente di Oswald Spengler senza averlo nemmeno let-', to, perché gli era dispiaciuta «la sua calligrafia così banale». Ce- ; stinò anche la Storia di San Michele di Axel Munthe, uno dei più grandi best seller di questo secolo, giudicandolo «trito, vanesio e imbarazzante». Ma se dei primi due rifiuti si sarebbe rammaricato per tutta la vita, dell'ultimo no: l'ultimo, come raccontava alla radio americana passati i settantanni, gli diede sempre ragione di orgoglio. A quell'epoca - si parla degli Anni 60 Kurt Wolff era ormai una leggenda. Era nato a Bonn nel 1887 da madre ebrea e padre professore di musica cattolico e nel 1913, quando aveva solo 26 anni, aveva fondato nella Kurt Wolff Verlag la fucina della letteratura espressionista, rischiando a pubblicare autori come Kafka, Roth e Werfel, che sarebbero diventati famosi solo dopo decenni. Creò con successo una mezza dozzina di altre case editrici internazionali, tra cui la Hyperion e la Pantheon di Firenze, ma la spaventosa inflazione che Escenegldovla m colp^ la Germania negli Anni 20 lo fece «sanguinare a morte». Nel '29 Wolff, rifiutando di dichiarare bancarotta, pagò i debiti fino all'ultimo centesimo e perse tutto ciò che aveva costruito (su questo punto riuscì a mantenere la fredda ironia di quel comico di Weimar che, quando occorrevano 5 miliardi di marchi per comprare un dollaro, disse: «Beh, è tutto quel che vale il dollaro»). Ci metterà 12 anni a ricominciare, fondando nella sua casa di Washington Square a New York la leggendaria Pantheon Books, in società con l'esule francese Jacques Schiffrin. Un'avventura «finita», si dice oggi, nella grande concentrazione editoriale del gruppo Random House. Ma perché tanto interesse, perché proprio ora tanto entu¬ siasmo per il pensiero di quest'uomo che Casorati ha ritratto nel 1925 nitido ed elegante come la sua scrittura? Perché la sua voce va dritta contro la corrente. Perché Wolff nega che un editore da più di cento libri l'anno possa scoprire grandi autori. Perché parole di buon senso come queste suonano staffilate verso i modi della nuova editoria: «Non si può pensare di sedurre un autore con un buon pranzo, un ricevimento mondano e un buon anticipo. Quello che cerca è un essere umano, in cui trovare un'eco e un sentimento di fratellanza; qualcuno che presti attenzione al suo lavoro, le cui parole di encomio o di critica abbiano un peso; qualcuno il cui interesse genuino per il futuro creativo dell'autore (e i suoi bisogni materiali presenti) si faccia sentire». Per che creòappSe così non fosse stato, sarebbe riuscito Kurt Wolff a «sedurre» il timidissimo, vulnerabile e taciturno Franz Kafka, che Max Brod gli presentò con l'imbarazzante entusiasmo di un imbonitore che ha scoperto una merce rara e preziosa? «Le sarò sempre più grato se mi rimanderà i miei manoscritti che se li pubblicherà», disse a Wolff il giovane impiegato delle assicurazioni accomiatandosi. Ma non bastò né questo, a frenare il suo entusiasmo, né il fatto che il primo libro, Meditazione, vendette soltanto 102 copie. «Ogni suo testo che vorrà inviarci sarà da noi pubblicato con amorevole cura», continuava a scrivergli l'editore. Kurt Wolff non fu soltanto un grande scopritore di talenti, ma anche uno strano, coraggio- so innovatore. Fu il primo in Germania a realizzare edizioni di qualità a basso prezzo con grandi tirature e chiassose copertine di artisti d'avanguardia come Kubin, Klee e Grosz. E fu il primo a introdurre in America la qualità della tradizione editoriale tedesca. Certo, se in questi scritti si vuole cercare la formula del buon editore, si leggerà: gusto, passione, sensibilità letteraria. Una ricetta modesta se Wolff non aggiungesse che occorre avere anche la generosità di un amante «che non chiede nulla e perdona in anticipo ogni mancanza e ogni tradimento dell'autore». E in una lettera a Boris Pasternak sulla musica e la filosofìa rivela che ci vuole di più, molto di più, per fare con dignità questo mestiere. Un buon editore deve essere come «un sismografo che registra tutte le scosse della terra», cercava di spiegare a Karl Kraus, quando questo lo investiva con la forza della sua polemica scrivendogli: «Se pubblicassi i miei libri con lei sarei circondato dalle peggiori mele marce della cultura tedesca». Wolff non si fece scoraggiare e creò un marchio soltanto per i suoi libri, che riuscì a pubblicare dal 1914 al 1922. Tra i saggi di questa raccolta il migliore appare proprio quello sulle visioni apocalittiche di Kraus e sul fanatismo dei suoi amici e dei suoi nemici. Ma hanno la stessa intimità e una delicata profondità narrativa anche i suoi ricordi di Kafka, dello sventato e giovane Franz Werfel e di Lou Andreas Salomé che a cinquantanni lo strega con i suoi passionali ricordi. Le lettere, invece (a Rilke, tra gli altri, Grass, Hesse, i fratelli Mann), sono legate a doppio filo da quella scintillante integrità di giudizio che le attraversa tutte, dalle veementi proteste a Thomas Mann per avergli inviato uno scrittore «repellente», alle parole traboccanti di entusiasmo per l'opera di Pasternak. «Lei ha cambiato il mondo», esultava Wolff, invitandolo a sperare in un incontro in Svezia per il Nobel del 1958. «Quello che mi scrive di Stoccolma non accadrà mai - gli rispose Pasternak - perché il mio governo non mi permetterà mai di accettare nessun premio». Cosa sapeva Pasternak del suo editore «americano»? Sapeva forse che trent'anni prima aveva perduto tutto nel disastro economico e politico della Germania, quando aggiungeva: «Sono prove diffìcili e tristi... Ma d'altro canto sono proprio queste insormontabili barriere imposte dal destino a dare alle nostre vite energia e peso e profondità, e a renderle assolutamente straordinarie gloriose, magiche e vere»? Non si incontrarono mai, ma continuarono a scambiarsi idee e reciproca gratitudine. Solo una volta Wolff ebbe un moto' di ribellione: «Trovo la sua idea assurda - le chiedo scusa». Pasternak gli aveva scritto che in fondo il Nobel sarebbe dovuto andare a Moravia. Livia Manera Esce una biografia negli Stati Uniti, dove inventò la mitica «Pantheon» Pasternak gli scrisse «A Stoccolma no. Il Nobel tocca a Moravia» Risposta: «La sua idea è assurda» Per convincere Kraus che gli diceva di no creò un marchio apposta per lui A fianco Franz Kafka, sotto, da sinistra, Boris Pasternak e James Joyce. Nell'immagine grande Kurt Wolff: fondò la sua prima casa editrice nel 1913