«Appalti pubblici, chi tocca muore»

«Appalti pubblici, chi tocca muore» «Appalti pubblici, chi tocca muore» Costruttori in rivolta: lavorare è ormai impossibile BUSTARELLE NEL CANTIERE AMILANO MAREZZA? Senz'altro sì. Stupore no. E, tutto sommato, può esser l'occasione giusta per voltar pagina. C'è aria di maretta nella Milano del mattone. Domani ci sarà un vertice tra i signori dei cantieri, il primo dopo lo scandalo. E voleranno, magari, parole grosse tra chi ai pubblici appalti ha rinunciato da tempo e chi si è adattato ai sistemi di moda. Tra chi può concedersi il lusso di andare all'estero, di lavorare nel settore privato e chi difende il suo spazio, magari rischioso, nel mare agitato dei pubblici appalti. «Il degrado c'è, è evidente e già avevamo cercato di intervenire». Parla così Claudio De Albertis, presidente dei costruttori milanesi, vicepresidente dell'Ance, la Confindustria dell'edilizia, un ruolo difficile dopo che sono scattate le manette ai polsi degli imprenditori. «Mazzalveri lo conosco bene - continua - un amico nonostante la differenza d'età. E pure Rovati lo conosco bene. Sono nomi noti, aziende solide, inserite nella tradizione milanese». Non si può parlare, quindi, di un semplice incidente di percorso. Del resto c'è chi, come il costruttore Beltrami Gadola, afferma di aver lasciato da tempo la strada dei lavori con la pubblica amministrazione. «E non solo lui - conferma il presidente molti di noi si sono stancati delle procedure, delle attese, dell'incertezza, di una situazione assurda». Salteranno fuori dall'inchiesta i nomi di maggior presti¬ gio, gli imprenditori eccellenti? «Non credo. E mi ostino a credere che la situazione dell'edilizia non sia solo quella che emerge dall'indagine della magistratura». Ma l'inchiesta tocca il cuore del sistema, i capitoli-chiave della Milano del Duemila: aeroporti, stadi, non solo ospedali. «Cose che leggo sui giornali - replica De Albertis -. Certo, la cifra di 150 miliardi di tangenti mi sembra assurda, fuori da ogni logica di impresa». Ma le regole del gioco sono viziate, fatte apposta per favorire le deviazioni. «Certo, è un fatto che ci vuole più trasparenza e più autonomia e responsabilità per gli amministratori. Ciascuno ha le sue colpe, ma sia chiaro che da questa situazione non si esce con norme inefficaci, tipo quelle antimafia». Ma insomma, è tutta colpa dei politici? «No, adesso tocca a noi fare l'autocritica. Dobbiamo guardarci negli occhi. Vede, diciamo così; in questi anni si è guardato poco all'aumento dei costi. Si è badato troppo ai ricavi». E che vuol dire? «Basta dare un'occhiata ai bilanci. Troppe aziende hanno perso efficienza e si sono specializzate, anche in senso buono, verso l'analisi di mercato. Del resto oggi alla pubblica amministrazione interessa solo il prezzo, non c'è alcuna attenzione alla qualità». É da noi, invece, troppo spesso si privilegia le buone amicizie all'efficienza. De Albertis lo dice in maniera elegante ma il concetto da lui espresso è crudo lo stesso: peggiorano i bilanci perché si investe poco in efficienza e, magari, perché sul passivo gravano «costi impropri», tipo le tangenti. Tanto, alla fine, almeno per qualcuno i conti tornano. «Se vogliamo cambiar strada spiega il presidente - il primo passaggio è la progettazione. Spesso e volentieri l'attività progettuale delle opere pubbliche è lacunosa. Si favoriscono così offerte iniziali bassissime e la pratica dei rilanci successivi che fanno lievitare i costi delle opere». E la situazione sembra fatta apposta per favorire il caos: punteggi per le singole voci dell'appalto, stralci, regolamenti complicati e tante varianti da stravolgere il meccanismo della gara. «Quel che è venuto meno conferma De Albertis - è un rapporto corretto con il mercato. Non c'è più spazio per valutazioni corrette, nemmeno per il rischio di impresa. E adesso cade questa tegola. No, non so quantificare i danni economici di questo scandalo. Ma saranno enormi». Infuria la bufera nella Milano dell'edilizia, i mille imprenditori riuniti nell'associazione più importante d'Italia, l'orgoglioso contraltare allo strapotere romano nelle opere pubbliche, nella grande edilizia: 6 mila miliardi di affari all'anno, e un quarto di questa cifra legata agli appalti pubblici, ai rapporti con la pubblica amministrazione. Una bella torta, anche se rischiosa. E otto di questi imprenditori (ma altri sono nella lista degli inquirenti) lo hanno appreso a loro spese. Ma lavorare pur si deve e così diventa di moda la «concussione ambientale». In parole povere, l'imprenditore, per lavorare è stato obbligato a sottostare a certe regole, a compiere certi delitti. Va capito, se non assolto, secondo alcuni. O no? «Io credo che questo degrado sia un dato di fatto. La situazione è più che allarmante ma nessuno, noi per primi, possiamo permetterci l'indulgenza». Ugo Bertone Gabriele Agostino Mazzalveri (sopra) e Clemente Rovati (di fianco), due degli otto imprenditori coinvolti nello scandalo delle tangenti, arrestati e poi rimessi in libertà

Persone citate: Beltrami Gadola, Claudio De Albertis, De Albertis, Rovati, Ugo Bertone Gabriele Agostino

Luoghi citati: Italia, Milano