Gli indios occupano Quito in costume di guerra

Gli indios occupano Quito in costume di guerra ECUADOR Sono accampati a cento metri dal Parlamento, non si fidano delle promesse del Presidente Gli indios occupano Quito in costume di guerra Dopo una marcia di240 km, chiedono la restituzione della terra SAN PAOLO NOSTRO SERVIZIO Per reclamare i loro diritti sulla «pachamama», la «madre terra» dei loro avi, migliaia di indios dell'Ecuador vestiti con i costumi di guerra hanno marciato fino a Quito, la capitale, e si sono accampati in un parco nel cuore della città. Non se ne andranno dicono - fin quando il governo non concederà loro tutti i diritti sul territorio della provincia di Pastaza, un'area di 20 mila km in piena Amazzonia, quasi ai confini con il Perù. La marcia per la terra era partita il 10 aprile scorso da Puyo, il capoluogo della provincia contesa. Tredici giorni di cammino, 240 km a piedi, prima nel fitto della foresta e poi per le mulattiere e le ripide strade che risalgono la Cordigliera delle Ande fino a Quito, a 2800 metri sul livello del mare. Un percorso durissimo. Aprivano il cammino i «caci- que» (capi), i «pajé» (sciamani) ed i guerrieri, armati con archi e frecce, i volti dipinti coi colori di guerra e i paramenti adatti per l'occasione: penne di uccelli multicolori e pelli di giaguaro, l'animale che incarna il potere dello spirito della foresta. Dietro di loro, si snodava una lunga colonna, molti anziani e donne con i figli di pochi mesi al collo. In tutto, almeno 2500 indios. «Siamo qui perché i nostri avi facevano lo stesso, camminavano per difendere i loro territori», ripetevano, riferendosi ai tanti pellegrinaggi a Quito realizzate dagli indios agli inizi del secolo per cercare di convincere il governo a rispettare i loro diritti. Ma a differenza del passato, sembra proprio che questa volta gli indios riusciranno ad ottenere ciò che vogliono. Poche ore dopo l'arrivo dei 2500 a Quito, il presidente della Repubblica Rodrigo Borja ha incontrato una loro delegazione e si è impegna¬ to a far dichiarare la provincia di Pastaza «territorio indigeno» nel più breve tempo possibile. Nel 1990, i nove diversi popoli indigeni che vivono in Ecuador circa tre milioni di persone in tutto, un terzo degli abitanti hanno cominciato una dura lotta per la legalizzazione dei diritti di proprietà delle terre tradizionali. Con un gesto clamoroso, nel maggio dello scorso anno un centinaio di indios occuparono simbolicamente il palazzo del Parlamento a Quito, intonando canti di guerra e inscenando le danze tradizionali intorno ai banchi dei deputati. I grandi latifondisti reagirono accusando gli indios di essere «terroristi» e di attentare al «sacro diritto della proprietà». Le forze armate arrivarono a sostenere che dietro le richieste si nasconderebbero gli interessi di «giuppi internazionali» interessati «a dividere il Paese». Il problema, in realtà, è essen¬ zialmente economico: in Amazzonia il sottosuolo dei territori indigeni è ricco di petrolio, la cui esportazione rappresenta oggi una delle principali voci dell'economia dell'Ecuador, ma la cui estrazione è distruttiva per l'ambiente e quindi per le condizioni di vita indigene. La fortuna dei centomila indios Shuar, Shiwiar e Quichua che vivono nella provincia di Pastaza è che in quest'area, almeno per ora, si estrae pochissimo petrolio. Con un occhio ai voti degli indios per le elezioni del 17 maggio, il Presidente ha quindi deciso di appoggiare le loro richieste. Ma, con cinque secoli di amara esperienza alle spalle, gli indios non si fidano più delle promesse dei bianchi, e rimarranno accampati nel parco di Ejido - a cento metri dal Parlamento - fin quando il decreto non verrà firmato. Gianluca Bevilacqua

Persone citate: Gianluca Bevilacqua, Rodrigo Borja

Luoghi citati: Perù, Quito, San Paolo