Le ultime congiure di Kabul

Le ultime congiure di Kabul RESA DEI CONTI NELLA CAPITALE AFGHANA Oltre alle rivalità politiche tra il falco Gulbuddin e Masud riemergono odi tribali Le ultime congiure di Kabul Fragili accordi ma i mujaheddin avanzano KABUL DAL NOSTRO INVIATO La scadenza dell'ultimatum contro Kabul del leader fondamentalista Gulbuddin Hekmatiar si avvicina senza che i contendenti riescano a trovare il bandolo della matassa. Domenica notte ci sarà la prova della verità. Il rappresentante dell'Orni, Benon Sevan, è volato in Pakistan per convincere i capi dei partiti dei muj ah e deli n a «fermarsi dove sono». Il piano di pace delle Nazioni Unite è ormai crollato e fonti diplomatiche di Kabul lasciano trapelare che forse lo stesso segretario generale dell'Orni, Boutros Gali, si appresta a mettere in gioco tutta la sua autorità venendo a Kabul per trattare personalmente con i capi della guerriglia ormai padroni del campo. Ieri notizie confuse da Peshawar davano ormai per concluso un accordo tra mujaheddin per la formazione di un «Consiglio provvisorio» di 51 membri che ignorerebbe le residue autorità di Kabul. Patrocinatori dell'intesa sono il primo ministro pakistano Nawad Sharif e Sibghatullah Mo jadedi, capo del piccolo Fronte nazionale per la liberazione dell'Afghanistan. Mojadedi sarebbe il presidente provvisorio, Hekmatiar il primo ministro, Rabbani (leader del partito Jamiat-IIslami) il ministro della Difesa. Ma la consistenza,di questa intesa appare dubbia e inficiata da molti fattori. E non solo dal fatto che, ieri sera, Hekmatiar l'avrebbe seccamente smentita. Innanzitutto dal fatto che essa sembra riservare un ruolo scarso - se non addirittura nullo - a uno dei protagonisti indiscutibili della situazione, appunto Ahmad Shah Masud. La sua candidatura a ministro della Difesa sarebbe stata accantonata e il compromesso raggiunto - di affidare la carica a Rabbani, leader dello stesso partito di Masud - non risolve il problema. Infine, si dice qui, ciò che si firma a Peshawar conta meno di quello che accade attorno e dentro Kabul, dove ciascuno dei contendenti alle spoglie del potere sta muovendo segretamente le sue pedine sul terreno. Nella notte di giovedì - secondo le nostre fonti, vicine al ministro degli Esteri - un nugolo di uomini dello Jamiat-I-Islami, il partito di Masud, avrebbe occupato il ministero degli Interni senza colpo ferire. La notizia non è stata ufficialmente confermata fino al momento in cui scriviamo, ma è apparsa molto credibile ieri pomeriggio quando, per ordi- ne di Masud, le porte della prigione di Puli-Charki si sono aperte e hanno riversato in città non meno di duemila reclusi. Abbiamo potuto assistere direttamente all'evento. Diversi mezzi blindati e carri armati leggeri, carichi di mujaheddin e di soldati dell'esercito regolare, si sono mossi ad alta velocità lungo la strada per Jalalabad. Puli-Charki si trova al centro di un vasto pianoro desertico a una ventina di chilometri da Kabul. Poco dopo il mezzogiorno una lunga colonna di ex prigionieri ha cominciato a riversarsi sullo stradone principale: centinaia e centinaia, con le loro povere cose in grandi sacchi, valigie, fagotti, hanno cominciato la marcia verso Kabul. Molti venivano raccolti da autocarri di passaggio e sfilavano, in piedi sui cassoni, appesi ai predellini, inneggiando a «Masud il liberatore», tra due file di folla che si era radunata ai bordi della strada, nonostante la giornata festiva del venerdì. Il tam tam popolare aveva funzionato meglio dei media ufficiali. Il comandante Masud sarebbe dunque già in grado di dettare legge nel perimetro di Kabul e starebbe rapidamenente liquidando alla chetichella i generali dell'etnia Pashtun (Masud è Tagiko) che inclinano a un'alleanza con il Pashtun Hekmatiar. Fonti afghane qualificate invitavano ieri a non sottovalutare la forza di Hekmatiar. Il leader dello Hezb-I-Islami è, sul terreno, più debole di Masud, ma molti ritengono che, se la rottura tra i due non venisse composta in extremis, l'intera etnia Pashtun finirebbe con lo schierarsi con Hekmatiar. E occorre tenere conto che l'ufficialità dell'esercito afghano è, nella quasi totalità, Pashtun. Dunque, in caso di collasso definitivo del potere a Kabul, Hekmatiar potrebbe giovarsi, a sua volta, di un largo appoggio armato nella capitale. Con il fondamentaista islamico Hekmatiar, del resto, si sono ormai schierati uomini influenti del passato regime. Tutti Pashtun, molti dei quali appartenenti alla frazione «Khalq» (po¬ polo), la più dogmatica e estremista in senso marxista-leninista in seno al partito democratico del popolo afghano, il partito di Karma! e di Najibullah. Tra questi, oltre all'ex ministro della Difesa Tanai (che tentò il golpe contro Najibullah nella primavera del 1990), anche Gulabzoi, ex membro del politburo del pdpa e, fino a poco tempo fa, ambasciatore a Mosca. Sul piano dei rapporti di forza militari, Masud ha preso la base di Babgram, dov'è concentrata gran parte dell'aviazione afghana. Ma Hekmatiar ha conquistato le basi di Gardez e di Kunduz e dispone di divisioni corazzate, di armi e munizioni in abbondanza. D'altro canto un impiego dell'aviazione in una sitazione così intricata è difficile, non esistendo nette linee di demarcazione tra le parti. Per giunta, fonti afghane fanno notare che i piloti sono quasi tutti Pashtun e che le squadriglie di elicotteri posteggiate nell'aeroporto di Kabul sono immobilizzate al suolo per timore che possano «cambiare bandiera». Uno dei funzionari del governo (anche lui Pashtun, ma dice - «senza simpatie per Hekmatiar») ci ha confessato ieri che, in caso di rottura della tregua, anche per lui «non ci sarà scelta»: dovrà «stare con i suoi». E, per quanto riguarda Masud, «una sua vittoria è impossibile, perché mai i Pashtun potranno accettare di essere guidati da un Tagiko». E se Masud non troverà un compromesso con i Pashtun, «sarà ricacciato a Nord, molto a Nord, addirittura fuori dalla valle del Panshir» che ha dominato per oltre 13 anni nonostante l'Armata sovietica. Ieri infine, a completare il quadro della confusione, tre generali dell'esercito di Kabul - Olomi (uno dei membri del Consiglio militare), Bel Abi (comandante della guarnigione di Farga), Abdul Juni (comandante delle forze aeree) - si sono presentati ai giornalisti per dichiarare che loro «non stanno né con il governo né con i mujaheddin, ma con il popolo». Finita la disputa ideologica contro il comunismo invasore, in cui l'Islam fu usato come arma principale per sconfiggere gl'infedeli, rimasti sul terreno solo islamici di tutte le tendenze, emerge, ogni giorno di più, il fattore etnico. L'equilibrio delle forze, la loro dislocazione e il loro radicamento territoriale, fanno pensare che ristabilire un'autorità centrale sul Paese sarà altamente improbabile nei tempi a venire. La guerra in Afghanistan continuerà. Giuliette Chiesa Mujaheddin alle porte della capitale Sopra: Babajan un capo ribelle Il comandante Masud, capo del partito Jamiat-l-lslami [FOTOAI>J