Un massacro stanza per stanza per la guerra di tre confessioni

Un massacro stanza per stanza per la guerra di tre confessioni N ALISI LE RADICI DELLA CRISI BALCANICA Un massacro stanza per stanza per la guerra di tre confessioni OUEL Murat Sabanovic che prima s'inerpica sul muraglione di una gigantesca diga sulla Drina, poi minaccia di sommergere sotto un'alluvione biblica il suo borgo natale di Vishegrad popolato da una maggioranza serba e intanto, per provare che non scherza, apre una chiusa da cui precipita a valle una massa d'acqua che travolge un ponte e allaga una ventina di case, è un personaggio che non dà l'impressione di rompere dal caso o dal nulla. La sua lucida follia è indigena e insieme letteraria nel più nobile senso della parola. E' la Bosnia più esacerbata, più masochista, addirittura vendicativa contro se stessa, che si esprime nell'estremismo del suo gesto apocalittico. Naufrago disperato di questa seconda guerra civile jugoslava, il musulmano Murat sembra venirci incontro, col suo volto allucinato, da certe pagine più sconvolgenti che il Nobel Ivo Andric dedicò alla Bosnia misteriosa e crudele, islamica, ortodossa, cattolica, nell'epico «Ponte sulla Drina» e in tanti racconti minori ma intensissimi che l'editore Adelphi ha cominciato da poco a tradurre in italiano. Violenze latenti come lava nel grembo di un vulcano in agguato, allucinazioni ancestrali, sorde tensioni religiose, torpori mistici e visionari: sono i materiali incandescenti che costituiscono, tuttora, il torbido retroterra antropologico e psicologico da cui «il Thomas Mann dei Balcani» traeva le sue narrazioni bosniache storicamente precise e, al tempo stesso, poeticamente leggendarie. E' su questo sfondo che una cronaca di sangue e di terrore, altrimenti incomprensibile, si spiega meglio. E' in questo mondo magico e di perturbazioni antiche che affondano le radici di Murat, il Sansone di Vishegrad, che vediamo con la sua furia olimpica incombere dalla vetta della diga su una Bosnia nuovamente insanguinata e disintegrata. E' stato detto che i Balcani, più che una penisola, sono un continente. L'intarsio di etnie, di religioni, di miti, di storie, di culture le più diverse e più contrastanti, danno in effetti alla penisola che s'allarga dall'Adriatico al Mar Nero, che scende dalla puszta magiara fino alle isole elleniche e si prolunga in modo naturale nell'Anatolia ottomana, un vasto af- flato continentale. Se l'immagine geoculturale è verosimile, allora la Bosnia e l'Erzegovina sono il cuore del continente balcanico, la Balcania dei Balcani, la miccia della famosa polveriera. E' qui il concentrato, oltremodo composito, di un retaggio che va da Roma a Bisanzio, da Venezia a Vienna, da Cirillo e Metodio all'Islam, da Nord a Sud, da Ovest a Est, dal mondo più evoluto al terzomondo indigente. A vederle dall'alto, la Bosnia e l'Erzegovina appaiono simili a un ammasso di pietre calve e aguzze, chiazzate qua e là da boscaglie cupe, nereggianti fra abissi e crepe montagnose. Nelle evocazioni popolari le due regioni sono descritte così: «Quando Dio creò il mondo, aveva due sacchi, uno colmo di terra e l'altro pieno di petrame. Mentre passava sopra la plaga che doveva diventare la Bosnia-Erzegovina, il sacco delle pietre si ruppe e tutte le pietre precipitarono in un colpo solo». Tra queste montagne brulle e scuoiate, da cui emana il bagliore livido di un ossame nudo, si è sviluppata come un cuneo in mezzo al cattolicesimo e l'ortodossia l'unica cospicua comunità islamica europea, isolata nel mondo cristiano: il quarantaquattro per cento della popolazione attuale, contro il trentatré per cento di ortodossi protesi verso la Serbia e un diciassette per cento di cattolici volti alla Croazia. Sono tutti però slavi, cioè serbi e croati o misti fra serbi e croati. Sbaglia, quindi, chi parla e scrive di «tre comunità etniche» poiché anche la maggioranza islamica è, in Bosnia e in Erzegovina, slava di sangue e di lingua. L'islamismo qui non è razziale ma confessionale. Un musulmano bosniaco può essere indifferentemente croato o serbo o serbocroato: spesso neppure lui lo sa con precisione. Si può dunque parlare al massimo di tre comunità religiose radicate su uno stesso ceppo etnico. Fra gli alberi genealogici bosniaci si può rintracciare qualche sporadico antenato turco, qualche pascià, qualche soldato, qualche funzionario della Porta; ma nulla di più. Dietro la travolgente conversione all'Islam, ovviamente favorita dalla secolare dominazione ottomana, ci fu la molla di un'atavica ribellione bosniaca ai cristianesimi ufficiali: l'eresia dei bogomili, dei «prediletti di Dio», molto simili agli scismatici catari della Provenza. Non si capisce la Bosnia, non si capiscono in genere gli slavi meridionali, se non si scruta più a fondo in questo loro antichissimo humus mistico. Fra il decimo e il tredicesimo secolo, epoca in cui i crociati e i soldati dell'impero bizantino trapiantavano dall'Asia Minore in Europa diverse forme di eresie gnostiche e manichee, i rudi slavi bosniaci, stanchi delle incomprensibili dispute teologiche tra le Chiese d'Oriente e d'Occidente, accolsero con slancio liberatorio le idee semplici e severe dei nuovi credi eterodossi. Nacquero così i bogomili. Si organizzarono in comunità tribali, si abbandonarono, con l'impeto fanatico proprio alle eresie, ad una fede intransigente, autopunitiva, pessimi¬ stica. La loro carica di religiosità integrale, con punte di masochismo, li apparenta ai raskolniki russi, agli albigesi provenzali, agli hussiti boemi. Rifiutano il mondo in quanto tale: ripudiano la carne al punto da considerare peccato mortale la procreazione, espellono dalle chiese santi e reliquie e, nel furore iconoclastico, maledicono perfino la parola, cioè rinnegano la stessa predicazione apostolica. Di quel loro rigorismo folle, che li opponeva alla società religiosa e secolare del tempo, il grande scrittore croato Miroslav Krleza ha scritto: «La setta dei bogomili resta un fatto capitale nel nostro passato medioevale. Il loro scacco significò la fine, sul nostro territorio, di una vita nazionale indipendente». Si è voluto vedere addirittura, nella rivolta eretica dei bogomili contro Roma e Bisanzio, il precedente storico dell'eresia titoista contro Mosca. Braccati, sterminati dalle crociate punitive organizzate sia dalla Chiesa romana che da quella serba ortodossa, i bogomili bosniaci, piuttosto che piegarsi all'imposizione di un Cristo che ritengono falsificato dai cristiani, scelgono in massa Maometto. «Meglio il turbante del turco che la tiara del papa», è il loro motto. Combinano il Corano con il Vecchio Testamento che non ripudiano, e si consegnano al sultano. Come gli albanesi, ne diverranno, dal XVII secolo in poi, i migliori funzionari, soldati e giannizzeri. Tutti questi elementi arcaici, anacronistici, mistici, irrazionali, riemergono ora dalle viscere della Bosnia sconvolta dall'ennesima guerra civile e dalla nuova crociata serba, che impone ai musulmani il battesimo ortodosso con la baionetta e la bottiglia d'acqua minerale. Ancora una volta i «bosniaci col fez» si vedono costretti, dalla pressione espansionistica e religiosa della Serbia, a fare blocco con la minoranza cattolica ovvero croata. E' questo il momento cruciale nella sanguinosa disputa fra le repubbliche e le comunità della ex Jugoslavia. I serbi, riaccendendo la miccia nel cuore del ginepraio bosniaco, stanno dando una prova inconsueta di scarsa cultura balcanica e di scarsissima sensibilità balcanica: si sono avventatamente spinti nel bulbo dell'atomo e ora lo stanno facendo esplodere in una reazione a catena di massacri, di vendette, di tribali epidemie di sangue. Nessuno riesce più a intrawedere la fine e lo sbocco di una tragedia che è appena cominciata. Il comunista Milosevic, il cetnik Arkan, i generali serbi e i prelati ortodossi hanno risvegliato nei fìtti cimiteri di Sarajevo e di Mostar gli spettri, che non si chiamano solo Gavrilo Princip e Francesco Ferdinando; che più recentemente si sono chiamati cetnici e ustascia e, più anticamente, bogomili ed Islam. Perfino gli Stati Uniti, che fino a ieri avevano dato una mano ai serbi, si sono spaventati e hanno fatto brusca marcia indietro: quello che temono è soprattutto lo scoppio di un tumore fondamentalista islamico nel centro d'Europa. Intanto la guerra fratricida continua in una regione in cui spesso, in uno stesso edificio, coabitano spalla a spalla serbi e croati e musulmani che non sanno se sono serbi o croati. L'orribile guerra innescata da Belgrado, guerra che si potrebbe definire familiare piuttosto che civile, non si sta combattendo casa per casa ma stanza per stanza. Enzo Bettiza Non ci sono tre etnie Anche gli islamici sono slavi di sangue e lingua E dietro a tutto rispunta la vecchia anima eretica Un gruppo di profughi bosniaci e, a fianco, Lord Carrington che ha mediato l'accordo sulla tregua. In basso il leader serbo Slobodan Milosevic [FOTO AP)