Kabul, viaggio nella tana di Gulbuddin il Terribile di Foto Af

Kabul, viaggio nella tana di Gulbuddin il Terribile Il leader ultra: pronto a entrare in un Consiglio dei Mujaheddin. Ma rinnova gli ultimatum Kabul, viaggio nella tana di Gulbuddin il Terribile RESA DEI CONTI NELLA CAPITALE AFGHANA KABUL DAL NOSTRO INVIATO La strada per Charikar è la stessa che conduce alla grande base militare di Baghram, circa 60 km dal centro di Kabul. Quando i sovietici ancora credevano di costruire qui il socialismo, fecero la strada e la asfaltarono bene, perché sapevano che molti carri armati l'avrebbero percorsa. Oggi è diventata la via per raggiungere il mitico Ahmad Shah Masood, il vincitore accampato alle porte della capitale. La percorro a bordo di un taxi sgangherato, una vecchia Moskvitch, con un collega italiano. Il lungo nastro sembra un serpente nero, immobile nell'altopiano incredibilmente spoglio, color ocra come i villaggi di fango: coriandoli sparsi ai bordi di questo immenso, incredibile cratere lunare contornato da picchi scintillanti di neve. Non c'è un albero, non un arbusto. Sul filo dell'orizzonte si stagliano le tende dei pastori nomadi e le greggi di pecore e capre che pascolano nell'erba rada, asini arruffati e dromedari pelosi. Se non ci fosse Besmullah che guida la Moskvitch, potremmo essere almeno cinque secoli indietro, molto lontano da questa guerra che ci viene incontro subito, al primo posto di blocco. Due carri armati stazionano con i cannoni puntati verso la valle e, attorno, qualche decina di uomini armati, ma non in divisa. Sono le milizie del generale Dostum, arrivate da Mazar-iSharif. Stavano col governo, ma ora da che parte stanno? «Brava gente», sentenzia l'autista Besmullah. Qualche chilometro oltre, dopo una collinetta irta di cannoni puntati verso il cielo, altri carri armati pesanti: esercito regolare, «governativi». La regola, comunque, è salutare tutti con grandi gesti della mano. Loro rispondono sorridendo, sbirciano dentro la macchina e fanno segno di prosegui- re. Ancora un chilometro e la strada s'infittisce di Kalashnikov in mano a uomini dalle lunghe barbe, dai copricapi rotondi dei Pashtun. Sono - ed è una sorpresa - i Mujaheddin di Gulbuddin Hekmatyar, dello Hezb-iIslami. Uno, due, tre posti di blocco li passiamo indenni. Siamo a Nord di Kabul. Hekmatyar è annunciato a Sud. Invece le sue truppe presidiano la strada che conduce al santuario del nemico principale. Stanno arrivando da ogni parte. La loro cintura stringe d'assedio le altre cinture. Poco oltre ancora soldati, a un un tiro di schioppo dai loro «mortali avversari», che chiacchierano tranquilli. E il mosaico diventa ancora più intricato al 20° km. Questi sono gli uomini dello Jamiat-iIslami, tagiki in gran parte. Scambio di saluti. Siamo ormai nel territorio del «leone del Panshir»? Niente affatto. Laggiù, bene in vista nel pianoro assolato, altri drappelli s'infittiscono chilometro dopo chilometro. «Gente cattiva», commenta l'autista, sempre più nervoso: sono di nuovo quelli dello Hezb. Hanno appena fermato una corriera stracarica. Fermano anche noi, e questa volta senza sorrisi. Veniamo circondati, scrutati, vogliono sapere chi siamo, dove andiamo. L'essenziale è dimenticare ogni parola di russo, aver lasciato a casa documenti in cirillico, sventolare un passaporto italiano. Besmullah traduce, ma si vede che ha paura, come noi, del resto. Alla fine il ghiaccio si rompe nel modo giusto. Viene avanti il capo e si presenta: Aimas Khan: sui quaranta, capo scoperto, barba curata. Guida 600 uomini, sparsi a bivaccare nel pianoro. Attaccherete Kabul? Si volta verso Sud: «Hekmatyar ci ha detto di fermarci qui. Aspettiamo gli ordini». Sono un esercito bene armato. Su un'altura vicina un giovanotto avvolto nello scialle marrone grida nel radiotelefono. Nel gruppo si vedono bazooka e granate anticarro. Ripartiamo con un sospiro di sollievo. Charikar s'intravede ormai all'orizzonte. Ma l'ultimo posto di blocco, prima del bivio che separa Charikar da Baghram, si rivela il più pericoloso della serie. E insuperabile. Ancora uomini di Hekmatyar, tanti e incattiviti. Dalla Bbc hanno sentito che i giornalisti occidentali vanno a parlare con Masood e la cosa non gli garba. Adesso la strada è la loro. Ci costringono a scendere, strattonano l'autista, puntano i mitra. Uno chiede dollari e si placa solo alla vista del colore verde che non è quello del profeta. Ma non servono a lasciarci passare. Se non fossimo in guerra sarebbe una rapina. Comunque l'ordine è perentorio: marcia indietro per tutti. E nessuno ha in mente di fare obiezioni. Masood, chissà, lo troveremo a Kabul, tra qualche giorno. Gli uomini del suo posto di blocco, sulla via del ritorno, scuotono la testa villosa: «Qui siamo in 800. Se cercano di muovere verso Kabul h" fermeremo noi». A sera veniamo a sapere - da una fonte governativa - che Masood ha perso la pazienza e ha ordinato ai capi dello Hezb di sgomberare la strada, la «sua» strada, «altrimenti li spazzerà via». Attorno a Kabul, in una morsa sempre più stretta, è un intrecciarsi di ultimatum reciproci. Per ora non si spara. La verità la conoscono solo quelli che trattano sulle teste di questi poveri mercenari senza speranza. Tornati in città corriamo al ministero degli Esteri. Il vicepresidente dell'ormai fanto¬ matica repubblica" di Afghanistan, Mohammad Rafi, comunica di essere andato a parlamentare con «lo stimato fratello islamico, Ingegner Hekmatyar». L'incontro è avvenuto a Logar, sede del comando dello Hezb-iIslami, in «un'atmosfera di grande sincerità». «Lo stimato fratello Hekmatyar - recita Rafi - è consapevole della necessità di un regolamento pacifico». Si sarebbero accordati su due proposte concrete: un consiglio dei Mujaheddin «che comprenda tutte personalità accettabili da tutte le forze della Jihad (guerra santa)», e che veda rappresentate «proporzionalmente» tutte le fazioni in lotta. Tra un anno elezioni democratiche. Mohammad Rafi si dice «ottimista». Ma Hekmatyar, proprio ieri sera, ha rinnovato il suo ultimatum a Kabul. Chi dice la verità? Probabilmente nessuno. L'offensiva in grande stile su Kabul non ci sarà. Almeno per ora. Ma la guerra appare destinata a continuare, sotto altre forme. L'islamico Masood contro l'islamico Hekmatyar contro gl'islamici di Kabul. Di una cosa sola nessuno parla, che è poi la più importante: della linea di demarcazione tra le etnie e le tribù. E del problema di chi comanderà davvero. Forse siamo all'inizio della fine dell'Afghanistan come Paese unito. Giuliette- Chiesa MasiaaasldsFH Mujaheddin accampati sulle montagne intorno alla capitale afghana: aspettano soltanto l'ordine di marciare su Kabul. Foto piccola: Hekmatyar [FOTO Af]