Bnl-Iraq, Roma sapeva di Flavia Amabile

Bnl-Iraq, Roma sapeva Consegnato a Spadolini il dossier della commissione Carta Bnl-Iraq, Roma sapeva Sotto accusa i vertici e ifunzionari «Perplessità» sulla Banca d'Italia ROMA. Nerio Nesi e Giacomo Pedde sapevano. L'atteggiamento della Banca d'Italia suscita quantomeno «perplessità». Di questo la commissione Bnl è convinta e lo ha scritto nella relazione consegnata ieri al presidente del Senato, Giovanni Spadolini. Ottantaquattro pagine per descrivere il lavoro svolto in quasi due anni di indagine su uno dei più grossi scandali finanziari degli ultimi anni. E per individuare le responsabilità «che non si fermano al presidente e al direttore generale, ma si diramano nei vari settori di competenza». I commissari chiedono un intervento delle autorità competenti, Bnl, Tesoro, Bankitalia e giudici, per «assumere le opportune iniziative al riguardo, evitando che l'accertamento delle responsabilità si fermi solo a livello di funzionari subordinati, deboli e privi di tutela». Tutti coinvolti, dunque, da Roma agli Stati Uniti. D'altra parte il meccanismo era di dimensioni tali da rendere la Bnl, attraverso la sua filiale di Atlanta e il direttore Christopher Drogoul, una centrale finanziaria da cui sono arrivati, fino a un anno prima dell'intervento Usa nel Golfo, poco meno di 4 mila mibardi di lire a Saddam Hussein. Soldi utilizzati per finanziare «esportazioni di vario genere», vale a dire il mercato delle armi. «Un'importante operazione di politica internazionale progettata e condotta per lo più clandestinamente», l'hanno definita i commissari. «Un nuovo Watergate», ha precisato il presidente della commissione, Gianuario Carta, mentre si diffondeva la notizia che negli Stati Uniti le inchieste possono essere riunite sotto la giurisdizione di un organo supremo, il Government Operations Committee, per indagare sul ruolo dei consiglieri della Casa Bianca. Tutto ciò, comunque, non vuol dire allontanare dall'Italia responsabilità che, anzi, affondano in pieno nel cuore di Roma. I parlamentari non hanno dubbi: «Di queste scelte sono pienamente responsabili presidente e direttore generale: il primo al vertice ininterrottamente per 11 anni; il secondo, titolare per statuto di precisi poteri decisionali». Ancora: «E' logico, per rispetto della verità, oltre che dell'intelligenza comune, ricono¬ scere che essi (Nesi e Pedde, ndr) avevano quanto meno tollerato l'esercizio da parte dell'Istituto di un ruolo certamente non ortodosso rispetto ai fini istituzionali assegnati dall'ordinamento». D'altra parte «il dott. Nesi riteneva l'Iraq un buon cliente della Bnl, mentre gli organismi internazionali lo consideravano un Paese a rischio». Sistemati così i vertici di via Veneto, i commissari sono passati all'attacco di via Nazionale: «Suscita perplessità la condotta della Banca d'Italia, che avendo formulato opportuni e fondati rilievi nella relazione del 1986, non ha poi tratto le pur logiche conseguenze. Già allora, in contrasto con gli ambiziosi disegni di sviluppo internazionale, era dato rilevare la sofferenza e l'affanno di un Istituto, che non era al passo con i tempi e perseguiva una confusa politica di reclutamento del personale, alternando fasi di indiscriminate assunzioni con altre di ricorso a pensionamenti anticipati, ignorando inoltre le esigenze di un'organica informatizzazione dei Servizi». Flavia Amabile Nelle foto da sinistra Nerio Nesi, ex presidente Bnl e Gianuario Carta, presidente della Commissione Atlanta