In scena un processo fantasma ai boss di Cosa Nostra di F. 1.1.

In scena un processo fantasma ai boss di Cosa Nostra Palermo, nell'aula bunker dell'Ucciardone si giudicano i responsabili dei delitti Reina, Mattarella e La Torre In scena un processo fantasma ai boss di Cosa Nostra Aperto il dibattimento sugli omicidi politici, ma gli imputati eccellenti lo snobbano PALERMO DAL NOSTRO INVIATO Processo immaginario a Cosa Nostra, capo d'imputazione: i cosiddetti omicidi politici. Prima udienza, surreale. L'astronave verde, così i palermitani vivono l'aula-bunker dell'Ucciardone, è praticamente vuota. All'angolo del cavalcavia non c'è l'autoblindo che negli anni della rivolta morale simboleggiò la presenza dello Stato contro la piovra. Vuoti gli spalti dei giornalisti. Un gruppetto affoga nello spazio riservato al pubblico: tutti funzionari del pds, tranne un uomo sulla trentina che incuriosisce persino gli addetti alla sicurezza. «Perché è venuto?». E lui, flemmatico: «Perché è proibito?». Vuote le gabbie: una lunga teoria di sbarre assolutamente inutili. No, gli imputati non ci sono. Rinunciano alla presenza. Dovrebbero essere 13 in quei gabbioni: un'edizione allargata della Cupola mafiosa con gli immancabili Greco, i Provenzano, i Riina, il cassiere di Cosa Nostra, Pippo Calò e due esecutori materiali: Giusva Fioravanti e Gilberto Cavallini, giovani terroristi secondo la ricostruzione dei magistrati - prestati a «mamma mafia», quando questa decise d'interrompere il clima di rinnovamento politico uccidendo Piersanti Mattarella, leader democristiano e presidente della Regione. Mancano anche Giuseppe Pellegriti e Angelo Izzo, pentiti, ieri nell'insolita veste di imputati di calunnia nei confronti di Salvo Lima e del cavaliere del lavoro Carmelo Costanzo. Uno smacco, l'assenza degli imputati? Una parola di conforto se la concede il presidente Gioachino Agnello, che ricorda non senza amarezza: «Nessun imputato è detenuto per questo processo». Già, c'è chi è latitante e chi sta in carcere, ma tutti per altri motivi. E come potrebbero essere detenuti per tre omicidi avvenuti dieci, dodici e tredici anni fa? Fu l'avvìo degli anni di piombo palermitani: prima Michele Reina, segretario provinciale de (9 marzo 1979), poi Piersanti Mattarella (6 gennaio 1980), e quindi Pio La Torre, segretario regionale del pei (30 aprile 1982). Partito di maggioranza, governo e opposizione spazzati via dalla stessa nano, come nella Bogotà del narcotraffico trionfante. Per questi tre morti che rappresentano - insieme col sacrifìcio di Dalla Chiesa e di tanti investigatori e giudici massacrati per le strade - il prezzo più alto pagato all'arroganza mafiosa e al suo innaturale abbraccio con la «malapolitica», non c'è neppure un movente. Dalle nebbie dei verbali riempiti con le dichiarazioni di politici smemorati o distratti, i giudici sono riusciti a ti¬ rar fuori un quadretto appena abbozzato. Un quadro che immagina le vittime della violenza abbattute perché «avevano recato o potuto recare pregiudizi ad una pluralità disomogenea di centri d'imputazione di interessi illeciti». Involuzione lessicale per dire che si erano trovati in posizione contrapposta al cosiddetto comitato d'affari. E sullo sfondo affiorano i fantasmi di una stagione politica che ancora fa discutere: da Salvo Lima, de e padrone delle tessere, a Rosario Nicoletti, tormentato mediatore all'interno di un partito lacerato da spinte contrapposte, a Giuseppe Insalaco, anch'egli democristiano, incostante moralizzatore e divenuto poi implacabile accusatore di Vito Ciancimino. Nessuno di questi tre personaggi potrà sedere sul banco dei testimoni dell'aula-bunker: Nicoletti ha ceduto alla tentazione suicida alimentata da una gravissima depressione, Insalaco è stato uc¬ ciso dalla mafia nell'88. La morte di Salvo Lima, poi, è cronaca recente. Di tutto ciò soffre il processo immaginario. Di un senso di frustrazione che ha portato i giudici ad ammettere di «non aver potuto fare di più». Eppure non tutti la pensano così. C'è anche chi lascia intendere che la verità non è stata cercata con convinzione. E' l'eterna polemica coi «giudici troppo docili col potere politico», per arrivare fino alle «carte nei cassetti della procura», cavallo di battaglia di Leoluca Orlando. Ieri, mentre si costituivano parte civile i famigliari di Mattarella e la vedova di Rosario Di Salvo, ucciso insieme con Pio La Torre, il pds ha presentato le sue controdeduzioni: una vera e propria controinchiesta. Con le conseguenti richieste di approfondimenti istruttori sul ruolo della massoneria, di Michele Sindona e dei Servizi segreti in quegli anni terribili. [f. 1.1.]

Luoghi citati: Bogotà, Palermo