A San Quintino si prepara già il bis

A San Quintino si prepara già il bis Il N.Y. Times: c'è fretta di uccidere. Clinton: il Paese è violento, la pena è giusta A San Quintino si prepara già il bis Nei bracci della morte terrore dell'effetto valanga NEW YORK NOSTRO SERVIZIO Alla camera a gas dell'altro ieri in California, potrebbe rispondere un'iniezione letale in Texas oggi. Billy Wayne White, 34 anni, condannato nel 1976 per avere ucciso una negoziante di Houston durante una rapina che gli fruttò poco meno di 300 dollari, ha esaurito anche lui tutta la trafila dei rinvìi e secondo i piani questa mattina si trasformerà nel quinto giustiziato dall'inizio di quest'anno in Texas. Inoltre martedì prossimo, proprio nella stessa camera a gas di San Quintino dove l'altro ieri Robert Alton Harris ha fatto i suoi due ingressi, è previsto che entri un altro condannato. Il timore che il «cedimento» della California provocasse esecuzioni a catena sembra insomma avverarsi, e coloro che si battono per l'abolizione della pena di morte negli Usa guardano con un fremito di orrore ai circa tremila condannati che si trovano in attesa nei bracci della morte. Del resto, l'idea che quegli affollati luoghi vadano «ripuliti» e che le lunghe attese e i grotteschi giochi dei rinvìi e delle sospensioni siano una perdita di tempo, di energia e di pubblico denaro è molto diffusa nell'opinione pubblica. Tempo fa quella convinzione comune trovò un interprete autorevole nientemeno che nel presidente della Corte Suprema, William Rehnquist, ed è proprio a quella sua uscita che si riferisce ieri il «New York Times», nel mettere in luce il modo insolito in cui la Corte Suprema ha operato nel caso di Harris. E' noto che fra San Francisco e il palazzo tutto marmi di Washington in cui la Corte Suprema ha la sua sede, la notte che ha preceduto l'esecuzione le linee telefoniche sono state intaSàti&un'è'.'fic; 6 arichè' notò che a porre fine alla caotica vicenda dei «sì» e dei «no» e a fare che il secondo ingresso diHMris*nella camera a gas fosse quello «giusto», ha provveduto a un certo punto una dichiarazione del massimo organo giudiziario in cui si diceva che «nessuna ulteriore richiesta di sospensione deve essere più presentata alle Corti Federali, se non dietro ordine di questa Corte». Insomma i nove custodi della Costituzione a un certo punto hanno detto «basta». E questa, dice il «New York Times», è una cosa senza precedenti, perché in pratica la Corte Suprema ha impedito di presentare ulteriori richieste senza conoscere, ovviamente, le argomentazioni che in esse sarebbero state contenute. Quindi ha deciso in nome della «fretta di uccidere», non in base all'eventuale inconsistenza di quelle argomentazioni, che invece costituisce il suo compito essenziale. Conclusione: «La pena capitale e il programma del presidente Rehnquist di amministrarla in un modo più celere hanno portato ancora una volta la Corte Suprema fuori del suo campo». Parole durissime, che ancora una volta ripropongono il senso tutto «politico» che circonda il problema delle esecuzioni capitali, confermato del resto anche dalla reazione del candidato democratico alla presidenza, Bill Clinton. «Viviamo in un Paese molto violento e in tempi molto violenti, con la criminalità in aumento - ha detto Clinton parlando ieri a Filadelfia - e io credo che la pena di morte faccia parte della strategia per combattere questo stato di cose». E' la stessa opinione di Bush, ma Clinton ha voluto comunque distinguersi dal Presidente, accusandolo di basarsi sulla pena di morte per «coprire» il suo scarso impegno nella lotta contro la criminalità. Quasi in previsione di questa scontata (e mai dimostrata) idea che la pena di morte «previene» la gente dal commettere i crimini, lo stesso editoriale del «New York Times» diceva: «Se le esecuzioni prevengono gli assassini!, quella di Harris, la prima in California dopo 25 anni, dovrebbe portare un'ondata di pace. E se quello Stato è davvero intenzionato a giustiziare i 330 uomini e donne che aspettano nei suoi bracci della morte, si prospetta allora un millennio di tranquillità. Ma la cosa più probabile è che la violenza di stato generi altra violenza». In sostanza, le possibilità che l'esecuzione di Harris porti a un ri- pensamento sull'esistenza stessa della pena di morte in questo Paese appaiono decisamente scarse, nonostante l'Aclu, l'associazione per i diritti costituzionali, abbia già annunciato di proseguire la sua battaglia, trovando un alleato nell'Ordine degli avvocati, il cui presidente proprio ieri ha esortato gli aderenti a fornire alcune ore di lavoro volontario nell'attività per l'abolizione della pena capitale. Un discorso che invece sembra destinato a proseguire è quello del «come» infliggere la morte. Sul dibattito riguardante il carattere «insolito e crudele» della camera a gas è infatti destinato a inserirsi nientemeno che un videotape girato l'altro ieri a San Quintino, mentre Harris moriva sotto l'urto del gas al cianuro. A disporre che venisse girato è stato il giudice di San Francisco Marilyn Patel, e in questo momento si trova sotto la sua custodia, con l'assoluto divieto di mostrarlo e di riprodurlo. Ma già ieri alcuni giornali sostenevano che i racconti dei testimoni non bastano e che affinché il pubblico si faccia un'idea concreta di che cosa voglia dire morire nella camera a gas è necessario che il video venga mostrato al maggior numero di persone possibile. Quella per la «liberazione» di quel documento sembra destinata a essere la prossima battaglia, nella guerra contro la pena di morte. Franco Pania relli Robert Harris nel carcere di San Quintino dove è stata eseguita la condanna a morte (FOTO AP]