Maso chiede aiuto: pregate per me di Giuliano Marchesini

Muso chiede aiuto: pregate per me Lettera dal carcere al vescovo di Vicenza. «Voglio soffrire per papà e mamma» Muso chiede aiuto: pregate per me Il presule lo crede sincero egli scrive «Cambi idea chi ti giudica un mito» VICENZA DAL NOSTRO INVIATO Dialogo a distanza tra Pietro Maso, il ragazzo di Montecchia di Crosara che ha ucciso i genitori, e Pietro Nonis, vescovo di Vicenza. Maso, condannato a trent'anni, ha scritto una lettera al presule, dal carcere veronese del Campone: «Mi sia vicino con le sue sante preghiere al fine che io possa, dopo aver sofferto ed essermi veramente pentito, arrivare a una nuova vita, al fine di essere umile e servitore della parola di Dio». Rapida trasformazione di Pietro Maso. Appariva lontano dai sentimenti, davanti ai giudici della corte d'assise di Verona, accanto ai suoi complici Giorgio Carbognin e Paolo Cavazza. Tornò in carcere, dopo la sentenza, sènza che il suo volto mostrasse il segno di un'emozione. Gelido com era stato durante l'interrogatorio, nel descrivere nei particolari il massacro di suo padre e di sua madre. Adesso il carcere ci presenta un altro Maso, che parla di pentimento e umiltà. Pietro si è rivolto al vescovo di Vicenza perché Montecchia di Crosara, il suo paese, fa parte della diocesi vicentina. E Pietro Nonis risponde con una lettera aperta pubblicata su «L'Arena» di Verona e sul «Giornale di Vicenza». Le parole di Maso, «a pensarci bene», il presule le considera «un dono di Pasqua». «La lettera che alcuni giorni or sono mi hai scritto non l'aspettavo. Non avevo fatto nulla per sollecitarla. Pensavo, anzi, che tu mi considerassi fra coloro che non avevano capito nulla di te, se non il fatto che stai espiando secondo alcuni con un'immeritata decurtazione - un delitto di parricidio e matricidio del quale si sta ancora parlando in mezza Italia. Io ti domando perdono, Pietro, perché non ti pensavo così presto capace di, o disposto a, chiedere al tuo vescovo, cioè al padre della Chiesa di cui fai parte, di pregare per i tuoi genitori e per te». Anche molti altri non credevano che Maso fosse capace, in così breve tempo, di simili rivolgimenti d'animo. Ora Pietro arriva a definire «meravigliosa» la celebrazione dei funerali di Antonio e Maria Rosa Maso, i suoi genitori. C'era tutto il paese, in chiesa, sul sagrato e in mezzo alla strada. E avrebbe voluto esserci anche lui, Pietro, «per portare un mazzo di fiori a mamma e papà». Non c'era perché il magistrato gli aveva negato il permesso. Il vescovo gli rammenta il dolore di quel giorno: «Per tutti, a cominciare da Nadia e Laura, le tue sorelle, e dal tuo parroco, don Agostino, che non sa darsi pace perché ha l'impressione che valutazione gravemente ingiusta si stia commettendo nei confronti di tutta la comunità di Montecchia, della quale tu e i tuoi due amici sareste stati tipici esponenti secondo chi trova comodo giudicare in blocco paesi interi e generalizzare casi indubbiamente patologici, ma grazie a Dio singolarmente rari». Quei funerali furono celebrati da Pietro Nonis. Il vescovo disse: «Più bisogno di Antonio e Maria Rosa, hanno della nostra preghiera Pietro, Paolo, Giorgio». Parlò di «questi poveri ra- gazzi, i più miseri e disgraziati fra quanti voi, padri e madri presenti, avete messo a questo mondo nella bella valle dell'Alpone». Al processo, Pietro Maso e i suoi complici, nel raccontare di un delitto atroce, parevano figli di una tèrra àrida, dominata da quel «dio denaro» cui lo psichiatra Vittorino Andreoli aveva accennato nella sua perizia. E restava, nell'animo di Pietro, un freddo che metteva i brividi. Invano Nadia e Laura aspettavano di vedere un segno di pentimento. Poi, quella lettera di Maso al¬ le sorelle, incerta è confusa, forse troppo vaga per essere presa sul serio. Adesso è il vescovo che parla di pentimento: «Per quello che di te possdidire, non ritengo, anche sulla base del dono che mi hai fatto, che la tua confessione sia priva di umiltà,e illùò pentimento di sincerità». Ma c'é ancora un'attesa,-netìa risposta del presule: «Non posso che augurarmi e augurarti che tu giunga al pentimento totale, definitivo, irreversibile». Che Pietro esca anche da una sorta di «mito» orrendo: «Pregheremo anche per coloro che in buona o malafede ti hanno preso - a quanto diceva certa stampa - come modello da imitare ed hanno usato (spero proprio indebitamente, e di sicuro a sproposito) il tuo nome, e ciò che esso rievoca di funesto ed atroce fino a quando il tuo nuovo, desiderabile stato d'animo non sarà debitamente reso noto». Pietro Maso, intanto, s'aggrappa alla veste del vescovo. «Non mi pare - commenta il presule - una ricerca di benevolenza in vista di ulteriori fasi processuali. Sarebbe davvero diabolico se questa fosse tutta una manovra». Per ora c'è questo dialogo epistolare tra un vescovo e un ragazzo che ha massacrato i genitori. «Io - dice Pietro Nonis - Maso non lo conosco, non l'ho mai visto. E per il momento non andrò a fargli visita, a meno che non me lo chieda lui per motivi particolari. Bisogna che lui-dica: Io non sono un mostro, sono molto pentito. Non siamo ancora proprio a questo». Il vescovo sospira: «Ci vuole pazienza». Giuliano Marchesini «Caro Pietro, devi fare di più. Forse un giorno verrò a trovarti» Pietro Maso durante il processo di Verona. A sinistra il vescovo di Vicenza Pietro Nonis e a destra le sorelle di Maso che hanno chiesto al ragazzo di trovare la forza del pentimento