Lo stile del professore fra penna e randello di Filippo Ceccarelli

Lo stile del professore fra penna e randello BERTOLDO Lo stile del professore fra penna e randello Em ROMA difficile intingere il randello nel calamaio ma al professor Bertoldo l'operazione riesce con una certa frequenza. Per ora Sandro Fontana, senatore e docente universitario, direttore del Popolo e storico contemporaneo, corsivista brutale con Io pseudonimo di Bertoldo e saggista accademico, ha risparmiato solo pittori e musicisti. Ieri, infatti, ha sistemato letterati e poeti. Ai suoi colleghi storici si è dedicato a febbraio-marzo. E per quello che riguarda i giornalisti potrebbe riempirci una strenna, ormai. «Certi uomini di cultura», «molti intellettuali» scrive Fontana. Eppure la definizione, un po' generica, non fa giustizia di un singolare fenomeno, di una sorta di intimo sdoppiamento che sembra coinvolgere sempre più il professore e Bertoldo. Da una parte la militanza giornalisticopartitica - miserie e splendori -, dall'altra la consapevolezza di essere anche lui «uomo di cultura» e «intellettuale». Con i vizi e le virtù, a volte anche con le civetterie che derivano da questa seconda appartenenza. Di qui un diluvio di citazioni («Facciamo nostra la metafora di Fernand Braudel...»), di riferimenti storici a eventi assai lontani («Le nuove "Signorie" di "Serenissima" memoria»), di richiami dotti («Una letteratura giornalistica che risale ai tempi di Depretis») e ammiccamenti da convegno («Il nostro vecchio amico Scoppola e altri non digiuni di storia patria»). Così, tra cattocomunisti e Ghibellini, Bossi e Masaniello tra Cattaneo, D'Annunzio e Santoro-Robespierre il professore sta prendendo il sopravvento sull'arguta malizia conI tadina dell'eroe popolare a no1 me Bertoldo. Finiscono in om¬ bra i bersagli politici-politici. Sempre più frequentemente punta, Fontana, agli intellettuali. E lo fa da addetto ai lavori, quasi preoccupato di non essere riconosciuto come tale. L'articolo di oggi è un po' il bis di un altro scritto all'inizio di gennaio. Anche allora si dava addosso alla «vocazione trasformistica e mondana dei nostri intellettuali». E anche allora si faceva presente, dal suo punto di vista, «una qualche nozione intorno alla recente, travagliata storia italiana». Ondeggiante tra superiorità culturale e primato politico, il professor Bertoldo sembra privilegiare la prima per quantità e intensità e il secondo per importanza e definitività. Con rischi di cortocircuito. A Massimo L. Salvadori, un collega eletto nel pds, ricorda «che già di per sé gli storici sono un tantino pericolosi. Voltaire diceva che essi si sentono detentori di un potere che è superiore a quello del Padre Eterno». Con Ernesto Galli della Loggia e Francesco Margiotta Broglio è addirittura risolutivo: «Chi riuscirà a salvarci dall'incursione, sempre più alluvionale, degli storici?». Come se poi, in definitiva, ne bastasse uno solo in politica. Uno che ha capito «l'esercizio faticoso e severo della democrazia». La quale implica «senso della misura e sorveglianza critica, una fede irriducibile nella libertà, molta tolleranza e, soprattutto, la ricerca paziente ed incessante del consenso». Su quel «soprattutto», per un letterato, per un poeta e forse anche per uno storico o un giornalista, si potrebbe discutere a lungo. Magari senza essere accusati dal professor Bertoldo di aver simpatizzato ieri con le Brigate rosse di Curcio e oggi con le Brigate rozze di Bossi. Filippo Ceccarelli elli |

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