SIVIGLIA profezie del 2000

SIVIGLIA profezie del 2000L'ultimo grande evento del secolo: all'Expo il mondo «foga senza limiti la vocazione allo spettacolo SIVIGLIA profezie del 2000 DNEW YORK EVO dire subito che la mia è una Expo di Siviglia vista dall'America, i raccontata a New York dagli organizzatori che sono venuti qui a presentarla. Non ho dunque alcuna possibilità di verificare per conto del lettore il rapporto fra realtà e immaginazione. E inoltre mi stimola quello che - alla presentazione americana - ha detto il regista Maurizio Scaparro, che per Siviglia mette in scena un suo Don Chisciotte: «I nostri strumenti - ha detto - sono la fantasia e l'illusione. Meglio vivere di sogni». L'Expo di Siviglia ha voluto dare un suo esempio di quello che intende fare. Ha presentato il Don Chisciotte di Scaparro al Civic Center di New York, un teatro immenso e affollato del tempo in cui davvero New York era la città dello spettacolo. Era una messa in scena bella e malinconica. I critici si sono accorti della bellezza, ma hanno trascurato la malinconia, un messaggio delicatamente ripetuto scena., per scena sulla necessità di sognare. E sul rapporto infelice fra il sogno e la vita. Ma senza questo messaggio non si capisce niente, ho paura, dell'Expo di Siviglia. O almeno dell'Expo così come è stata raccontata a New York. L'idea è di far vincere il sogno. State a sentire. Ci saranno 55 mila spettacoli. Sono listati in un libro di 102 pagine, comprendono tutti i grandi nomi del mondo, e moltissimi altri nomi, «alti e bassi», come dice il comunicato stampa, europei e africani, dall'India al Giappone, dal jazz e rock celebri al jazz e rock sconosciuti. Ci saranno cantanti, danzatori, direttori d'orchestra. Ci saranno «performing artists» dei generi meno tradizionali (come Laurie Anderson) e della più impeccabile tradizione, come il Martha Graham Ballet. Canteranno Placido Domingo e Whitney Houston, William Burroughs leggerà dai suoi libri. Gassman, Zeffirelli, Muti, Metha, Montserrat Caballé, Dizzy Gillespie faranno musica e teatro. Non ho finito. Ci saranno 20 mila artisti. Le ore di spettacolo? Diciannove al giorno, dall'alba alla notte. Ma neppure questo basta a dare un'idea. L'Expo di Siviglia ha previsto, ci dicono, venti luoghi diversi in cui chi vuole viene e fa il suo spettacolo, improvvisatori, narratori di fiabe, comici, clown, mimi, tenori senza scrittura, bande di rock senza un pubblico. Come alla vigilia di un estremo viaggio, gli organizzatori dell'Expo ammoniscono: è l'ultimo evento del secolo. Questo evento deve comprendere tutti coloro che conosciamo, amiamo, ammiriamo. Ma sarà anche il luogo di esibizione di chi desidera essere parte dell'immenso spettacolo, o come spettatore o come protagonista. Ecco perché parlo dell'Expo di Siviglia. Non solo perché annuncia di avere arruolato tanto talento, e non solo per la grandiosità con cui questo evento si annuncia. Ma per avere fatto qualcosa che era nell'aria. Ma nessuno aveva ancora osato fare: sfogare senza limiti e senza frontiere la nuova vocazione del mondo, fare spettacolo in una gigantesca versione democratica che comincia dall'alto, ma non finisce mai. Realizzare una valle di Josafath, un giudizio universale di tutto ciò che è «entertainment». Offrire una grande anticipazione dell'industria pesante del prossimo secolo: lo spettacolo, attivo e passivo, goduto e partecipato, «alto e basso», come dice il coraggioso comunicato stampa degli organizzatori di Siviglia. Con le telecamere e senza telecamere. Infatti anche questo è un moltiplicatore che l'Expo promette di realizzare. Un evento potrà essere unico, e dunque scatenare quella particolare frenesia che ha reso celebre Salisburgo più della bellezza dei suoi programmi. Avere i biglietti. Esserci. Oppure potrà essere multiplo, con tante repliche. O multiplo perché lo stesso spettacolo sarà realizzato da artisti diversi. Oppure sarà aperto a tutti, chi viene prima si siede. Oppure ancora sarà registrato e replicato infinite volte. Sarà venduto in cassetta perché lo vuole il pubblico. O sarà donato in cassetta perché lo vogliono l'attore e l'autore, che altrimenti si troverebbero senza una via di comunicazione. O sarà pura chance: se ti trovi a passare per caso, alle undici della notte, in una certa piazzetta dell'Expo dove niente era stato annunciato, potresti goderti la misteriosa anteprima dell'arte che non è ancora arte e che sta per venire col secolo. Ecco, io credo, i due colpi di bravura di chi ha messo le mani nel programma di Siviglia. Il primo è l'avere gettato su un evento che di solito ha un carattere commerciale e che si raccomanda fra i percorsi turistici, un che di drammatico, l'aria della fine del secolo e del millennio. O adesso o mai. O qui o niente. , L'altra idea è di avere riconosciuto ciò che succede nel mondo: il lavoro (la prof duzione, la fatica,' l'impegno quotidiano, dalla routine all'invenzione, dal condurre all'eseguire) sta sotto, in una specie di cantina mentale, nella parte in ombra del mondo. Il tempo libero sta sopra, è la zona di luce, la parte da svegli, quella in cui facciamo la nostra comparsa in compagnia di coloro che amiamo, seguiti da chi desidera stare con noi. E in cui ci interessa essere intrattenuti, assistere all'unica cosa che vale la pena di gettare in mezzo allo scorrere del tempo: lo spettacolo. Tanto che - per non morire di noia e di routine - abbiamo trasformato in spettacolo le notizie, il giornalismo, la politica, e persino la scienza e la malattia. A Siviglia, come nel mondo di Don Chisciotte, che vede il pas- sato e va nel futuro, e si ostina a interpretare a suo modo ogni segno, lontano dalla realtà ma con un suo gusto di vivere inventando, tutto è spettacolo. E nessuno ci chiede di metterlo in ordine secondo le gerarchie critiche e il valore tradizionale. Anzi, se capisco bene le intenzioni e il modo in cui è stato fatto l'annuncio, vogliono che ci innamoriamo dell'idea (19 ore di spettacolo al giorno, 55 mila spettacoli, 20 mila attori e performer) non del valore tecnico delle cose, e non solo della bellezza di alcune di esse. Mi sembra un'intuizione straordinaria. E' davvero la frontiera della fine del secolo, la cerniera tra ciò che finisce e ciò che comincia. E' la rappresentazione dello stato del mondo. Vorrei essere sicuro di non lasciar trapelare un giudizio moralistico in quello che dico. Sono ammirato per la trovata della Expo di Siviglia, perché ci mette in condizione di sapere con esattezza che cosa stiamo facendo. E dal momento che la trovata consiste nello spingere tutto a un eccesso, mi sembra che si debba essere grati per la grandiosa riflessione alla quale l'Expo di Siviglia ci obbliga. Posso provare a ricostruire così il percorso dei realizzatori. Devono essersi domandati: che cosa facciamo vedere? Nella scienza siamo a mezza strada fra il tutto e il niente. Non solo ci siamo fermati, in salita, di fronte a barriere che non riusciamo a sfondare. Non solo lo spettro minaccioso dell'Aids pattuglia la frontiera del prossimo secolo. Ma siamo anche incerti e contraddittori su quello che potremmo fare con gli strumenti straordinari già disponibili. Toccare i feti? Preparare un altro ti- po di eredità genetica? Fabbricare i bambini? Fermarli? Liberare tutti gli animali, anche le mucche da latte e i cani dei ciechi, e far saltare i laboratori dove si fanno, con gatti e con topi, sia creme per signora sia vaccini anticancro? Nel lavoro, abbiamo francamente bisogno di più danaro e di più tempo libero. Per decenni siamo stati schiacciati fra due soli modelli. Uno paga relativamente bene e chiede moltissimo. L'altro chiede tutto e non paga. Adesso si affaccia la terza grande prospettiva. Si intravede un mondo «part-time», un universo a orario flessibile. Naturalmente riguarda piccole minoranze. Ma è un preannuncio. L'unico, in ogni caso, di cui disponiamo, per immaginare un futuro che non sia solo un ticchettio di computer. Se quello è il mondo (almeno quella parte di mondo che avrà un biglietto di viaggio per andare a Siviglia) allora resta un enorme spazio (e una grande industria) del tempo libero. In quell'industria coloro che adesso sono giovani lavoreranno giorno e notte, come una volta si lavorava nelle miniere. E allora, a Siviglia, hanno pensato di realizzarne il modello vivente. I 55 mila spettacoli stanno al mondo nascente del nuovo secolo come il frenetico ottimismo del «Ballo Excelsior» stava all'entusiasmo industriale del Ventesimo Secolo. In quel caso, nel bene e nel male, la profezia era risultata giusta. Non c'è ragione di immaginare che non lo sia anche questa volta. Ciò non vuol dire che l'Expo di Siviglia non sarà anche una grande rassegna di tutto, costruzioni, tendenze, oggetti, disegno industriale, tecnologia, piccole e grandi invenzioni, aspetti e modi di vita. Ma quest'aria di consuntivo del secolo che finisce affacciandosi allo spettacolo mi sembra il grande e geniale sigillo, il marchio di identità. Chi lo ha fatto, si è accorto che sono immaginari i governi, i programmi, gli accordi internazionali, le analisi sulle condizioni del mondo. E persino le guerre. Si è accorto che l'espressività spettacolare è l'unico strumento intatto che ci è rimasto in mano, il solo con cui sappiamo dire - sia pure con qualche sforzo di mutazione gioia e dolore, entusiasmo, speranza e altri sentimenti buoni o cattivi. Pensavamo di arrivare alla fine del secolo con le mani piene di oggetti nuovi e utili. Invece arriviamo carichi di effimero, di allegria, di tristezza e di speranza immaginaria. Cercheremo di dire tutto in 55 mila ore di spettacolo strutturato e volontario, d'autore e di dilettanti. E poi saremo pronti per il nuovo millennio. Furio Colombo de evento del secolo: all'Expo il mondo «foga senza limiti la vocazione o ., o o i i i , , l i o m i , , e 0 ? a o i , i , i k i . e e Ecco perché parlo dell'Expo di Siviglia. Non solo perché annuncia di avere arruolato tanto talento, e non solo per la grandiosità con cui questo evento si annuncia. Ma per avere fatto qualcosa che era nell'aria. Ma nessuno aveva ancora osato fare: sfogare senza limiti e senza frontiere la nuova vocazione del mondo, fare spettacolo in una gigantesca versione democratica che comincia dall'alto, ma non finisce mai. Realizzare una valle di Josafath, un giudizio universale di tutto ciò che è «entertainment». Offrire una grande anticipazione dell'industria pesante del prossimo secolo: lo spettacolo, attivo e passivo, goduto e partecipato, «alto e basso», come dice il coraggioso comunicato stampa degli organizzatori di Siviglia. Con le telecamere e senza telecamere. Infatti anche questo è un moltiplicatore che l'Expo promette di realizzare. Un evento potrà essere unico, e dunque scatenare quella particolare frenesia che ha reso celebre Salisburgo più della bellezza dei suoi programmi. Avere i biglietti. Esserci. Oppure potrà essere multiplo, con tante repliche. O multiplo perché lo stesso spettacolo sarà realizzato da artisti diversi. Oppure sarà aperto a tutti, chi viene prima si siede. Oppure ancora sarà registrato e replicato infinite volte. Sarà venduto in cassetta perché lo vuole il pubblico. O sarà donato in cassetta perché lo vogliono l'attore e l'autore, che altrimenti si troverebbero senza una via di comunicazione. O sarà pura chance: se ti trovi a passare per caso, alle undici della notte, in una certa piazzetta dell'Expo dove niente era stato annunciato, potresti goderti la misteriosa anteprima dell'arte che non è ancora arte e che sta MI per venire col secolo. Ecco, io credo, i due colpi di bravura di chi ha messo le mani nel programma di Siviglia. Il primo è l'avere gettato su un evento che di solito ha un carattere commerciale e che si raccomanda fra i percorsi turistici, un che di drammatico, l'aria della fine del secolo e del millennio. O adesso o mai. O qui o niente. , L'altra idea è di avere riconosciuto ciò che succede nel mondo: il lavoro (la prof duzione, la fatica,' l'impegno quotidiano, dalla routine all'invenzione, dal condurre all'eseguire) sta sotto, in una specie di cantina mentale, nella parte in ombra del mondo. Il tempo libero sta sopra, è la zona di luce, la parte da svegli, quella in cui facciamo la nostra comparsa in compagnia di coloro che amiamo, seguiti da chi desidera stare con noi. E in cui ci interessa essere intrattenuti, assistere all'unica cosa che vale la pena di gettare in mezzo allo scorrere del tempo: lo spettacolo. Tanto che - per non morire di noia e di routine - abbiamo trasformato in spettacolo le notizie, il giornalismo, la politica, e persino la scienza e la malattia. A Siviglia, come nel mondo di Don Chisciotte, che vede il pas- Riccardo Muti e a lato Placido Domingo, fra i i protagonisti di i Expo Siviglia hl Whitney Huston e, sopra, Gassman sato e va nel futuro, e si ostina interpretare a suo modo ogni segno, lontano dalla realtà ma coun suo gusto di vivere inventando, tutto è spettacolo. E nessunci chiede di metterlo in ordinsecondo le gerarchie critiche e ivalore tradizionale. Anzi, se capisco bene le intenzioni e il modo in cui è stato fatto l'annunciovogliono che ci innamoriamdell'idea (19 ore di spettacolo agiorno, 55 mila spettacoli, 2mila attori e performer) non devalore tecnico delle cose, e non solo della bellezza di alcune desse. Mi sembra un'intuizionstraordinaria. E' davvero lfrontiera della fine del secolo, lcerniera tra ciò che finisce e ciche comincia. E' la rappresentazione dello stato del mondo. Vorrei essere sicuro di non lasciar trapelare un giudizio moralistico in quello che dico. Sonammirato per la trovata dellExpo di Siviglia, perché ci mettin condizione di sapere con esattezza che cosa stiamo facendo. E dal momento che la trovata consiste nello spingere tutto a un eccesso, mi sembra che si debbessere grati per la grandiosa riflessione alla quale l'Expo di Siviglia ci obbliga. Posso provare a ricostruircosì il percorso dei realizzatoriDevono essersi domandati: chcosa facciamo vedere? Nellscienza siamo a mezza stradfra il tutto e il niente. Non solo csiamo fermati, in salita, di fronte a barriere che non riusciama sfondare. Non solo lo spettrminaccioso dell'Aids pattuglia lfrontiera del prossimo secoloMa siamo anche incerti e contraddittori su quello che potremmo fare con gli strumentstraordinari già disponibili. Toccare i feti? Preparare un altro tiSopra, il regista Franco Zeffirelli, altro ospite della kermesse SIVIGLIA profezie del 2000