«Mamma era la mia gioia anche da morta»

«Mamma era la mia gioia, anche da morta» Livorno, per tre anni ha tenuto in casa il cadavere della madre e nessuno se n'è accorto «Mamma era la mia gioia, anche da morta» Ogni giorno le preparava da mangiare Nemmeno la zia sospettava di nulla LIVORNO DAL NOSTRO INVIATO Adesso tutti dicono che Maria era diventata matta. Maria è Maria Grazia Mellano Gorlato, ma qui si lavora e non si può sprecare tempo con tanti nomi. Maria è «diventata matta» quando ha capito che non ce la faceva più a vivere come prima, quando ha sentito che il passato era un mondo lontano che si poteva solo conservare nella memoria, ma che non sarebbe tornato più, che tutto quello che aveva avuto era sparito, lentamente, inesorabilmente. Eppure, è davvero strana la storia di Maria la matta, una brava insegnante di pianoforte, figlia nubile di un ufficiale di marina. «Ho 52 anni, sono vergine e sto bene. Andate via», ha gridato ai vigili del fuoco che bussavano increduli alla porta di ciliegio, davanti al giardino in disordine e alle finestre sigillate con il nastro adesivo, nella via assolata. Dentro, nel fitto velo di polvere e ragnatele, seduta sulla stessa poltrona dov'era morta 3 anni prima, stava sua madre, Maria Gorlato, il corpo ormai mummificato in quella stanza trasformata in sepolcro. Nessuno se n'era mai accorto: non se n'erano accorti i vigili urbani, gli assistenti sociali, la zia Rita che vive a Genova, e non se n'erano accorti neppure i vicini che la incontravano tutti i giorni. Nel pomeriggio di venerdì, i vigili hanno cercato di accompagnare fuori Maria Mellano, tenendola per le braccia, ma lei s'è messa a urlare: ((Aiuto, aiuto...». «Non le fate male», dicevano i vich.i, affacciati alle finestre, fra le siepi delle ville intorno, tutte così linde e piene di decoro. Alla fine, l'hanno dovuta portare via legata, su una barella, Maria la matta, ammutolita dallo spavento. Chissà quale mistero nasconde questa storia, quale tragedia abbia scoperchiato l'irruzione dei vigili. Adesso, Augusta Nesti, che abita nella bella casa di fronte con le margherite sul palmo di prato, si chiede come sia potuto succedere: «La prima nostra reazione è stata di rabbia. Com'è possibile, ci siamo chiesti, che nessuno se ne sia mai accorto?». E c'è davvero qualcosa di assurdo, di incredibile. Sembra quasi una storia americana, di follia e disperata solitudine. Ma qui, nella luce vespertina, nel silenzio rassicurante di questa stradina che va verso l'Aurelia, sono lontane la New York del cosmopolitismo etnico e le metropoli dei ricatti quotidiani tessuti di potere, soldi e sesso, qui non c'è la violenza dei poveri, e non c'è neppure la violenza della dispersa e tragica periferia urbana. L'America di Maria è la terra di Livorno, dove in questi giorni si aprono le case della villeggiatura e il sole splende sul mare riempito dalle barche. E Maria è una signora che vive in una casa vera, anche se nascosta dagli alberi non curati, dalle fronde che si posano disordinatamente sul tetto, in fondo a via Ulvi Liegi, in una villetta in mezzo a tante villette, tutte con il giardino, i cespugli, l'edera sui muri, il praticello e i pini, «in un quartiere dove i rapporti sociali non mancano di certo», come ripetono i vigili urbani della Circoscrizione numero 5, dove la gente ci nasce, ci cresce e diventa grande, e passa dalle partite di pallone ai primi baci sul marciapiede. Eppure, in questo microcosmo di pace, si muore e s'impazzisce di sohtudine. Anche Cate¬ rina Nesti, una vicina, ricorda che «mamma e figlia vivevano qui da dieci anni. E qui ci conosciamo tutti, sappiamo tutto di tutti, ci parliamo sempre. Magari possiamo odiarci, ma ignorarci no. Quando noi eravamo bambini, la signora ci sembrava un po' scorbutica, perché si arrabbiava sempre se gioivamo al pallone nella strada, e ci insultava. E' difficile da spiegare, ma lei era una di noi, faceva parte del nostro mondo. Loro stavano chiusi, negli ultimi tempi lei aveva addirittura sigillato le finestre, le aveva tappate con le lamiere, con i chiodi, ma per noi era quasi normale. Era una donna un po' fuori di cervello, questo pensavamo». La stessa cosa che ripete Rita Gorlato, la zia: «Sapevo che mia nipote era malata di nervi, ma non ho mai avuto il coraggio di andare in fondo al problema. Non fa male a nessuno, mi dicevo, e non volevo dividerla da mia sorella». Così, Maria la matta continuava a uscire di casa nel tiepido sole con la madre a braccetto, un tailleurino turchese addosso e un cappellino con il velo in testa. Raccontano, i vicini, che «la madre le stringeva la vita con il braccio raggrinzito dei suoi 82 anni e la avvicinava a sé, come se volesse ancora proteggerla dall'aggressione del mondo. Soffriva di un complesso di persecuzione e l'ha attaccato alla figlia». Da due anni e mezzo, però, Maria usciva da sola, per fare la spesa. Franco Lorini, che abita lì accanto, al numero 24, le chiedeva: «Come sta la mamma?» Lei rispondeva: «E' seduta lì, sulla poltrona, ogni tanto le dò da mangiare». E i vigili che sono entrati in quella casa trasformata in un tenebroso sepolcro dico- no d'aver trovato il tavolo della sala apparecchiato per due. Intorno, in questa sentina degli orrori, ora si diffonde l'odore putrido della morte, ma anche un senso di tristezza infinita che si raccoglie nelle fotografie di una grande famiglia appese dappertutto sui muri, nei volti felici e negli arredi sontuosi. La madre era mummificata sulla poltrona, in quella casa che conservava disperatamente il tempo andato. Marcello Ermini, il medico legale, rinvia ogni certezza, ogni risposta a martedì, il giorno dell'autopsia: «L'unica cosa sicura che possiamo dire è che è morta proprio lì, che non è stata portata da un'altra stanza su quella poltrona». L'altro dato certo è che solo dopo 3 anni la comunità di via Liegi ha informato le autorità. «Noi avevamo avvertito i vigili», dice Augusta Nesti. «Dovete andare dagli assistenti sociali, chiedergli che ci stanno a fare». Al comando dei vigili, invece, mostrano un foglio. E' l'esposto dei vicini. E porta la data del 9 aprile. «Ci siamo mossi solo allora, perché prima non potevamo fare niente», ripete il tenente Cigi. Eppure, di tutto questo avvenimento incredibile, di tutte le parole che abbiamo sentito nella piccola strada, niente è sembrato più imbarazzante, più difficile da accettare di questa sohtudine profonda nel cuore di un microcosmo così tranquillo, così perbene. E mentre Augusta Nesti la ricorda, «quando usciva di casa per la spesa, con il vestito buono», sembra quasi di vederla, Maria la matta, con le sue memorie, con il suo tailleurino turchese e la madre che non capiva, ma che se la teneva ben stretta. Pierangelo Sa pegno La solitudine ha fatto impazzire l'ex insegnante. Quando sono arrivati i vigili del fuoco la donna non voleva aprire la porta «Stiamo bene qui» La stanza dove Maria Mellano ha «assistito» per due anni e mezzo la madre morta

Luoghi citati: America, Genova, Livorno