I due rivali di Domenico Quirico

I due rivali I due rivali Massud, l'eroe dei moderati contro il Khomeini di Kabul Il futuro dell'Afghanistan è scritto sulla punta dei kalashnikov dei loro guerrieri: protagonisti della guerra prossima ventura saranno il leone del Panshir e un Khomeini di Kabul. Distrutto con tredici anni di sofferenze il mondo di ieri, Ahmad Massud e Gulbuddin Hekmatyar affilano le armi per un nuovo capitolo di quella infinita rissa civile che è la storia afghana. E' una rivalità scritta, prima che nelle ideologie, nella loro anagrafe etnica: appartengono a due «tribù» diverse, e questo tra le montagne dell'Hindukush è un destino impossibile da dimenticare. Hekmatyar è un par sthun, sei milioni di guerrieri implacabili e feroci, protagonisti del «grande gioco» che per secoli ha visto Russia e impero britannico sempre perdenti nella partita che aveva come premio il controllo di questo crocevia del mondo. Le loro virtù militari sono state la giustificazione per detenere il monopolio del potere, poi rarrivo dei russi ha fatto saltare le complicate regole della partita. Massud invece è un tagiko, la più grande delle minoranze del Paese, protagonista in prima linea della guerra contro i russi, e che reclama una fetta di potere. IL LEONE DEL PANSHIR. Il suo motto è semplice: «Credo in Dio e combatto». Figlio di un colonnello dell'esercito reale, studente di architettura, Massud ha lasciato i libri (e l'amato biliardo) per imbracciare il fucile appena un golpe familiare rovesciò re Zaher. Studiando con attenzione due grandi maestri, Clausewitz e Sun Tze, ha imparato in frétta Tabe della guerriglia. Per catturarlo, i russi hanno scatenato nella sua valle a Nord di Kabul ventimila uomini con licenza di fare terra bruciata. Risultato: Massud ha avuto una citazione da star nel film afghano di Rambo, e adesso marcia sulla capitale per raccogliere il potere. Intelligente, pragmatico, sempre in polemica con le risse dei ((politici» di Peshawar, ha arricchito il mito stile Kipling dimostrando nei territori sotto il suo controllo di non essere solo un soldato. Ha costruito scuole e ospedali e, cosa rara in un Paese dove la vendetta è un dovere prima ancora che un diritto, non ha mai tradito un decalogo di moderazione e misura. E' la speranza neppure tanto segreta di chi, un po' ingenuamente, sogna il ritorno a un Afghanistan pacificato sotto la saggezza degli anziani, e soprattutto di Washington. Curioso destino, dal momento che per anni la Cia lo ha apertamente ignorato, regalando cortesie e armi sofisticate al suo nemico Hekmatyar. TL KHOMEINI DI KABUL. Ci tiene ad essere chiamato ingegnere, anche se era soltanto studente del Politecnico, veste con eleganza, gira su una lucente jeep giapponese. Se non fosse per il rosario islamico che sgrana in continuazione e la barba «regolamentare», pochi crederebbero che Gulbuddin è un pe¬ ricoloso fanatico di Allah per cui è meglio un deserto che una terra di eretici. Eppure i ventimila pretoriani del suo partito-esercito, Hezb-i-islami, giurano che trsformeranno Kabul in un nuovo avamposto del Profeta. Il fondamentalismo non gli ha impedito una diplomazia mefistofelica, arricchita da ottimi rapporti con i servizi segreti afghani e con il grande Satana americano. La filosofia afghana della Cia era: più i mujaheddin sono arrabbiati, più daranno fastidio ai russi; e così hanno depositato per anni negli arsenali di Gulbuddin tutti i gioielli della loro tecnologia militare. Un pessimo investimento: i micidiali missili Stinger sono finiti a Teheran. Gulbuddin ha usato con i «fratelli» gli stessi metodi impiegati contro gli odiati «russki». Trentasei alti ufficiali di Massud ad esempio sono stati eliminati in una feroce imboscata. La rivincita sarà a Kabul. Domenico Quirico