I missili a Cuba? Un disastro di Emanuele Novazio

I missili a Cuba? Un disastro Le memorie del generale Gribkov sulla crisi del '62 I missili a Cuba? Un disastro Sulle navi russe cibi avariati e soldati morti BONN DAL NOSTRO CORRISPONDENTE Per trasportare a Cuba i missili capaci di colpire le città principali degli Stati Uniti, Nikita Krusciov aveva mobilitato una flotta di ottanta unità civili, nell'autunno del 1962. Ma la più grande operazione navale della storia sovietica fu organizzata in modo approssimativo e dilettantesco: lo rivela un protagonista della crisi che portò il mondo sulla soglia della guerra nucleare, quando Washington scoprì il vero carico dei pescherecci e delle navi da crociera e rispose con il blocco dell'isola. I Ricordi del generale Anatoli Ivanovic Gribkov, che appaiono a puntate sullo Spiegel, sono «l'altra faccia dell'operazione Anadyr», dalla sua ideazione al «ritiro», quando Krusciov rinunciò a consegnare i missili. Una «faccia» inedita e crudele: come riassume Gribkov - allora uomo chiave dello Stato maggiore sovietico e nei giorni di massima tensione rappresentante personale a Cuba del ministro della Difesa Rodion Malinowski - a preparare e a guidare la spedizione «furono persone totalmente incompetenti». Gli alti ufficiali che erano a bordo delle navi «maledissero più di una volta l'amministrazione centrale», e molti soldati probabilmente fecero di peggio. Le condizioni di viaggio erano disastrose. Per quasi un mese «gli uomini rimasero stipati come aringhe sotto il sole cocente». Sui ponti inferiori la temperatura arrivava d'abitudine ai cinquanta gradi e sul ponte scoperto potevano salire, a turno, soltanto pochissimi soldati: quando si arrivò in vista delle Bahamas, dove c'era rischio di incontrare qualche vedetta americana, nessuno' potè salire in coperta. Molti si ammalarono, molti morirono e «furono sepolti come marinai, buttati in acqua dentro un telo». Le provviste, in teoria sufficienti per due mesi, si avariarono presto per il caldo: «Il burro nelle casse si sciolse», capitava di vedere «scatoloni vuoti galleggiare in un lago giallastro». Perché le riserve non si esaurissero del tutto, il cibo ve¬ niva distribuito soltanto due volte al giorno. Ma in alcune navi si dovette regolamentare anche l'uso delle toilette, nonostante la metà dei soldati soffrisse costantemente il mal di mare: qualche volta, ricordano gli ufficiali interrogati da Gribkov, li aiutò un poco attingere alle riserve di cetrioli sotto aceto. Tutto era cominciato nel segreto più rigoroso. Alla metà di maggio del '62, quando il generale Semion Pavlovic Ivanov, numero due allo Stato maggiore, consegnò a Gribkov i primi ordini per l'operazione Anadyr (il nome di un fiume e di una città della Siberia), pochissime persone al di fuori del Cremlino, forse neanche una decina, erano a conoscenza del progetto. Questo numero non aumentò nei mesi successivi, quando il piano fu confermato dal ministero della Difesa, il 4 luglio, e cominciò la preparazione. Nel timore di una fuga di notizie non si ricorse mai alle dattilografe del governo: l'operazione «nacque a mano», con la calligrafia elegante di un assistente di Gribkov, il colonnel¬ lo Kotov. Per ragioni di sicurezza non si fecero mai copie del manoscritto. Anche durante l'imbarco dei «materiali» le disposizioni erano severe. Nessun soldato fu autorizzato a lasciare, neppure temporaneamente, la zona di carico, sorvegliata da unità speciali. «Ogni contatto con il mondo esterno fu troncato. Non si potevano scrivere lettere né telegrammi, non si poteva telefonare. E tutto questo valeva sia per le truppe sia per gli equipaggi delle navi». A conoscere in dettaglio l'operazione, a bordo delle unità salpate dai porti del Baltico e del Mar Nero, era soltanto il comandante operativo, generale Issa Alexandrovic Pliev, che quando ricevette un passaporto falso col nome di Ivan Alexandrovic Pavlov si irritò moltissimo: «A un famoso comandante della grande guerra patriottica non piaceva cambiare identità». Ai soldati, che sempre più incuriositi e tesi chiedevano qual era la destinazione del misterioso carico, si parlava genericamente di esercitazioni. Ma nessuno ci credeva, e perfino le cucine da campo camuffate, sul ponte, facevano discutere gli uomini, che avrebbero conosciuto la destinazione soltanto in alto mare. Prima della partenza, i capitani delle navi e i comandanti militari dei cinque reggimenti imbarcati avevano ricevuto una grande busta sigillata: dentro c'era una busta più piccola, «da aprirsi soltanto in Atlantico» e sotto la sorveglianza di un agente speciale del Kgb. La destinazione e la rotta verso l'isola di Fidel Castro si sarebbero conosciute soltanto allora. Fino all'ultimo nessuno sospettò, in Unione Sovietica e nel mondo, che i passeggeri di tanti pescherecci e navi da crociera fossero soldati di scorta a missili e rampe di lancio. Ma che la meta fossero i Caraibi qualcuno lo aveva intuito. Quando il transatlantico <cAdmiral Nakimov» salpò dal Baltico con duemila militari a bordo, il giornale Sana Vostoka scrisse: «Per la prima volta su questa nave viaggiano turisti diretti a Cuba». Emanuele Novazio «Organizzata da dilettanti l'operazione segretissima che portò il mondo sull'orlo della guerra nucleare» Fidel Castro e a sinistra sottomarini sovietici al largo di Cuba. A destra, l'incontro tra Kennedy e Krusciov

Luoghi citati: Bahamas, Cuba, Siberia, Stati Uniti, Unione Sovietica, Washington