Due ascensioni
Due ascensioni Due ascensioni «Qui non sono ammessi i calcoli per l'avvenire» HI compie un'ascensione vive - dal momento in cui abbandona la sua base abituale - di un'esistenza tutta sua particolare, ben distinta da quella normale quotidiana, con interessi del tutto mutati, che di solito non vanno mai più in là della classica punta del naso, e si restringono man mano dalla preoccupazione di passare una discreta nottata sulla paglia a quella di prepararsi una decente colazione, poi a quella di non affaticarsi con un saccone mal fatto nella marcia d'approccio, finché si giunge via via a un felice momento in cui il supremo ideale di un uomo è di raggiungere con due dita un minuscolo risalto o una riga della roccia. Così ogni volta che si parte per la montagna dopo un lungo periodo di vita in città, la decisione è spesso combattuta, faticosa, incerta: si sentono cadere attorno a sé, come tanti fili spezzati, tutti i più o meno lungimiranti interessi della nostra esistenza cittadina, lo studio, il lavoro, il divertimento, gli amici, le affezioni: sono i vari legami della nostra persona sociale che cedono, prima di lasciarci soli e liberi di fronte alle necessità pratiche immediate di una nuova esistenza più o meno rischiosa, ma dove ad ogni modo non sono ammessi i calcoli per l'avvenire e tutto va risolto prontamente sul momento e sul posto. (...) Bene, volevo dire, semplicemente, che quando un capriccio della configurazione alpina ci sbalestra improvvisamente da questa nostra vita riservata di alpinisti a quella di tutti i giorni, ponendoci, per esempio, sotto gli occhi a 1700 metri di profondità l'albergo dove tutte le mattine pigliamo il caffè-latte assieme ai parenti o agli amici o alle amiche che in questo momento sono proprio laggiù a continuare la loro monotona esistenza, occorre sempre un certo sforzo mentale per convincersi che quel giocattolino in fondo valle è proprio il vostro albergo e dentro c'è magari vostra madre, e che quella, che sulle prime vi sembrava un innocuo particolare di paesaggio, del vostro pae¬ La Pyramide du Tacul (...) Portandosi sotto il salto da sinistra, per neve, si ritorna a destra per roccia con una breve e delicata traversata (chiodo), poi pochi metri di salita diretta conducono alla base di uno spesso lastrone, poco distaccato dal corpo della montagna e oppresso, circa mezzo metro più sopra, dal tetto sommitale. Ci si issa sul lastrone e, strisciando sotto il tetto verso destra, si esce sulla neve del versante opposto (Tacul), riprendendo il crestone sopra il tetto. Di qui sulla cresta, che va facendosi sempre meglio pronunciata per il convergere di altri grandiosi pilastri secondari, si superano tratti alterni di roccia e neve. Un tratto di neve ripida e malferma adduce ad una stretta fessura disagevole, dove conviene piantare la piccozza per lungo, seguita da placca abbastanza difficile (non mi ricordo più perché la battezzammo la «placca del soffio»). Poi altra neve e infine rocce facili, poi la «crestina della cavalcata», il cui nome dispensa da descrizioni, e la vetta. Le difficoltà saranno poco superiori a quelle d'un Requin, ma d'altro genere: meno aerea e meno ripida, la Pyramide, ma più infida e complessa. La punta è bellissima, piccola e aguzza che ci si arriva solo con la mano, un blocco di granito compatto. Naturalmente ci fu negata la soddisfazione di erigere il tradizionale ometto, ma supplimmo alla meglio con una scatola di marmellata strettamente legata alla punta. D'altronde, non potei gustare a fondo le inesprimibili gioie della mia prima punta vergine, perché, svanito il sogno di scendere a corda doppia sul colletto nevoso dall'altra parte, mi preoccupava l'idea dì ridiscendere dalla stessa strada con tutta quella neve infradiciata dal sole. Chabod aveva fatto certi suoi conti (rivelatisi poi sbagliati), per cui questa era nientemeno che la sua tredicesima prima ascensione. Io non dissi niente, ma «guarda un po' pensavo indispettito - proprio da me doveva farsi accompagnare per la tredicesima!». Massimo Mila [Dal «récit d'ascension» alla Pyramide du Tacul, m 3468, Catena del Monte Bianco, prima ascensione assoluta, in compagnia di Renato Chabod, 2 luglio 1934. Parte della relazione è tuttora riportata nel volume «Monte Bianco I» della «Guida dei Monti d'Italia» edita da Cai e Touring club].
Persone citate: Chabod, Massimo Mila, Renato Chabod
Luoghi citati: Italia
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