Le nevi di MILA

Le nevi di MILA Il musicologo maestro anche in montagna, fra passione e ironia: le grandi scalate, le sfide, gli amici Le nevi di MILA L A montagna diventa più vicina: la montagna come avventura, sentimento e simbolo dell'esistenza. Einaudi pubblica gli Scritti di montagna di Massimo Mila, in un bel volume degli «Struzzi» di 450 pagine a cura di Anna Mila Giubertoni, facendo luce sul tratto forse più suggestivo, ed anche enigmatico, della personalità del grande musicologo torinese, critico della Stampa per vent'anni, dal 1967 fino alla morte nel 1988. Come scrive Gianni Vattimo nella «Presentazione» del libro, la montagna ha contribuito in modo determinante a creare un'aura di mito intorno alla figura di Mila. Che l'autore dell'Esperienza musicale e l'estetica (1950) e dell'amatissima Breve storia della musica (1963), oltre ad essere un intellettuale antifascista, figura di spicco della resistenza azionista, fosse anche il protagonista di severe imprese alpinistiche e lo scrittore sagace e delizioso degli Eroi del Chomolungma (1954), lo faceva accostare con un'ammirazione che, per Vattimo, «non aveva paragone nel modo di considerare altre figure di intellettuali della sua epoca». Ma questa mescolanza rappresentava anche un piccolo enigma. Tutti coloro che lo conoscevano o che lo leggevano avevano una curiosità speciale da soddisfare: che cosa rappresentava la montagna per Mila e come conviveva con la musica e la politica? Che cosa avevano in comune gli studi su Verdi o Strawinsky e le prime ascensioni nel Bianco? La montagna era per Mila «il più affascinante dei passatempi». Una passione la cui genesi è narrata in un divertentissimo brano («Capitolo primo e ultimo di un'autobiografia alpina» del 1975). Racconta come avesse imparato Tabe della scalata prima scarpinando con la madre durante la villeggiatura estiva, quindi seguendo «la signorina Paganone, famosa alpinista del Club Alpino, una che aveva fatto il Castore in gita sociale», finché non incontrò Renato Chabod, grande alpinista degli Anni Trenta, che lo addestrava sui massi, «imponendomi passaggi decisamente superiori alle mie capacità»; quando Mila crollava sull'erba, Chabod lo guardava dall'alto del suo metro e novanta «e sporgendo il labbrone mi diceva con disprezzo: "Te me smìe 'n sac 'd merda"» (Mi sembri un sacco di merda). Nel volume è pubblicato anche un curriculum, probabilmente redatto quando Mila venne ammesso al Club alpino accademico. Ne viene fuori un alpinista classico di eccellente tempra, che in una stessa stagione, il 1933 a 23 anni, mette insieme sei salite nel Monte Bianco, tutte da capocordata, la traversata del Cervino, la Torre Winkler, la Torre Piaz e la Punta Fiammes con Giusto Gervasutti, detto «il Fortissimo», nelle Dolomiti orientali, e numerose gite sci-alpinistiche. Subito dopo la guerra Mila divenne istruttore della Scuola Boccalatte, nella prima metà degli Anni Cinquanta arrampicava ancora a ottimi livelli. L'addio alla roccia lo diede sol- tanto a settantanni: un giorno si recò alla Sbarua, una frequentata palestra del Pinerolese, si fermò sotto alla via normale, ci pensò un po' e tornò a casa. Ma il Mila alpinista non esisterebbe senza il Mila scrittore. L'esperienza alpinistica non costituirebbe un aspetto così significativo della sua personalità se egli non fosse anche uno straordinario scrittore di montagna, forse il maggiore in Italia insieme a Dino Buzzati. Per natura e per educazione non poteva che prediligere uno stile ironico, che rifuggisse la retorica, sul modello di Scrambles amongst the Alps di Whymper o, da noi, degli Alpinisti ciabattoni di Cagna. Al convegno torinese «Montagna e letteratura», dieci anni fa, egli spiegava: «Sono rimasto affezionato a quei vecchi racconti di montagna umoristici e sottovalutatoli dell'impresa e quando io ho scritto di montagna sempre ho scritto in quello stile; ma si capisce, io dovevo far scusare la scarsissima validità alpinistica delle mie imprese». In realtà, i suoi racconti di montagna e di alpinismo, i ritratti di personaggi come Boccalatte, Gervasutti, Messner, le pagine dedicate alle canzoni di montagna o al «Brahms dei ghiacciai», la commemorazione di Livio Bianco, il ricordo di Guido Rossa, i brillanti articoli sull'Everest, sul K2, sul sesto grado, si stagliano nel panorama della letteratura alpinistica come monoliti di roccia che si alzano so¬ pra le morene, perché erano anch'essi, come le scalate, un'esplorazione della montagna. Rispecchiano l'idea che «l'alpinismo è una delle forme di conoscenza dove più inestricabilmente si uniscono il conoscere e il fare» («Perché si va in montagna» nella Rivista mensile del Cai del 1949). Questa dichiarazione è anche la risposta alle domande sul rapporto tra il Mila musicologo e il Mila alpinista. Ascoltare un concerto o scalare una montagna erano in Mila due momenti di una stessa concezione dell'esistenza che si riassumeva nel conoscere e nel fare. nella classica unità di teoria e prassi. Che era essenzialmente una concezione politica. Perciò egli poteva dire, nell'ultima intervista, che la politica era l'aspetto più importante dell'intera sua vita. Ecco le ragioni che fanno degli Scritti di montagna di Mila (di cui pubblichiamo due brani) una lettura emozionante. Finita la quale, restiamo in attesa che si diano alle stampe anche i taccuini in cui Mila registrava le sue imprese. Qui ne appare soltanto qualche seducente frammento. Alberto Papuzzi Le nevi di MILA Massimo Mila sullo sfondo dei suoi monti. Sotto, con gli sci in spalla da giovane. Sopra, l'amico Gervasutti. In alto a sinistra Renato Chabod, che lo addestrava sui massi; a destra Dino Buzzati, l'altro grande scrittore di montagna saggio, è anche lei centro d'una realtà di vita, d'un'altra vita, legittima quanto la vostra di questo momento. [Dal «récit d'ascension» alla Punta Fiorio in Valpelline, in compagnia di Vittorio Franzinetti, 3 agosto 1929].

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