Zapata, i baffi del mito

Zapata, i baffi del mito Un inedito dello scrittore americano: il protagonista della rivoluzione messicana era diventato il suo eroe Zapata, i baffi del mito N1EL 1952 John Steinbeck scrisse la sceneggiatura di Viva Zapata!, il film diretto da Elia Kazan e in Iterpretato da Marion Brando e Anthony Quinn. A 40 anni esatti di distanza, il copione del futuro Premio Nobel per la Letteratura, messo a disposizione dalla Twentieth Century Fox, viene finalmente pubblicato in volume, assieme a un'ampia e analitica introduzione di una quarantina di pagine ritrovata negli archivi deU Università di California a Los Angeles. L'introduzione (che è il primo inedito di Steinbeck pubblicato da 25 anni a questa parte e di cui riproduciamo qui integralmente il quinto paragrafo) è un documento di estremo interesse, che aiuta a comprendere il rapporto del narratore con il cinema, l'attenzione ai diseredati e, soprattutto, l'amore per il Messico. Emiliano Zapata, puro «indiano» azteco come Benito Juarez (amico personale di Abraham Lincoln e ammiratore della Costituzione americana), guidò le rivolte degli indios fra il 1911 e il 1917 contro i dittatori Porfirio Diaz e Huerta. Le sue truppe spesso combatterono a fianco dei «peones» di Pancho Villa, si spinsero in varie occasioni fino a Città del Messico. Fu assassinato nel 1919, ma la sua opera influenzò profondamente la Costituzione del '17 che diede l'avvio alla rivoluzione agraria. Viene presentato in queste pagine come il Piccolo Grande Uomo nemico del «porfirismo», come un Robin Hood dell'America Latina: un personaggio storico «locale» destinato a dar vita a una leggenda che può insegnare qualcosa anche a noi contemporanei. Ruggero Bianchi L A storia di Emiliano Zapata è una delle più strane in cui mi sia mai imbattuto. Strana perché, persino nel modo nel è stata vissuta, possiede squisitamente La sua quale caratteristiche letterarie e folcloristiche, vita ha avuto un inizio, uno sviluppo centrale e una conclusione, cioè qualcosa che di rado si verifica nel mondo reale. Persino la sua morte ha avuto un significato: un significato di cui, stando alle sue parole, lui stesso era consapevole. Una vita, la sua, svoltasi quasi interamente nella regione meridionale del Messico. Ancor oggi, la sua è una presenza vitale e forte in tutti i territori di Morelos, di Puebla, di Michoacàn e del Sud. Vivono ancora molte persone che l'hanno conosciuto e servito, ed è un'autentica fortuna che la nostra ricerca si sia svolta adesso e non qualche anno più tardi, quando queste persone saranno ormai morte. Ho avuto infatti la possibilità di cogliere talune caratteristiche fisiche che andranno inevitabilmente perdute, allorché tutti i suoi amici e nemici superstiti saranno morti. Era amatissimo dagli uni e odiatissimo dagli altri; ma, con il trascorrere del tempo, l'odio tende a spegnersi e l'amore ad aumentare. Persino quelli che l'hanno detestato, e i loro figli, devono prender atto che l'odio tende a spegnersi e l'amore ad aumentare. E' più che probabile che, con il passare degli anni, Emiliano Zapata finisca per imporsi come il puro e grande uomo del Messico, occupando un posto analogo e parallelo a quello della Vergine di Guadalupe, cioè di patrono umano della libertà messicana. Benché sia morto da poco tempo, la sua vita possiede ormai tutte le qualità del mito popolare. Non vi è in pratica nessun aspetto della sua esistenza che non offra qualche spunto al riguardo. Non che la sua esistenza si sia trasformata in se stessa in fatto folcloristico; ma ogni minimo aspetto di essa tende rapidamente ad assumere toni e tratti che rimandano al mito. Zapata sta diventando un miscuglio di padre, simbolo, portavoce e proiezione reale del suo popolo e già comincia ad attuarsi una sorta di semplificazione della sua vita. Gli indios non credono che sia morto. Sono convinti che sia ancora vivo e che esista ancora in carne e ossa; e chiunque si rechi nei territori dove egli compì le sue imprese e dove la sua forza è ancora intensa, può rendersi conto immediatamente che qualcosa di lui esiste ancora e mantiene un'intensa carica vitale. Orbene, siccome tutto questo è vero e siccome Zapata finirà per diventare un mito popolare ancor più di quanto già sia adesso, mi sono convinto che la mia sceneggiatura debba possedere questa specie di qualità mitica fin dall'inizio. (...) Vorrei farne un uomo autentico in carne e ossa e stabilire tra lui e gli altri rapporti caldi e cordiali; ma, al tempo stesso, vorrei elevarlo al di sopra della realtà e dell'esattezza, giacché è in questo modo che egli viene considerato adesso nel suo stesso Paese. Pur essendo il «Piccolo Uomo», s'innalzò, esclusivamente grazie alla propria abilità, al di sopra di ogni altro e, al tempo stesso, innalzò tutti gli altri assieme a se stesso. Dal momento che è davvero il simbolo di quanto di meglio vi è in un indio, non c'è ragione perché egli non appaia tale nel film che dobbiamo fare. Sappiamo che, nella vita reale, era molto coraggioso. Stando alle sue stesse parole, non seppe mai che cosa fosse la paura. Eccelleva nelle principali attività sportive su tutti quanti gli stavano attorno: combatteva davvero meglio di chiunque altro; pensava con maggior chiarezza dei suoi contemporanei; era più robusto e più virile di tutti. In poche parole, possedeva in sommo grado le virtù degli indios e proprio per questo finì per diventare l'epitome stessa dell'indio. Penso che il film dovrebbe essere guato secondo questo spirito. C'è tuttavia un altro motivo che m'induce,alla semplificazione e mi spinge a fare questo film in chiave di mito popolare. Vivono ancor oggi in Messico molte persone coinvolte nel suo assassinio. Alcune di queste hanno ancora posizioni di potere nel governo. Vi sono molte persone che sono state rovinate e che hanno perso ogni bene a causa della rivoluzione da lui guidata: persone ancora piene di rabbia nei confronti di Emiliano Zapata, divorate da tutto il furore di cui sono capaci nei suoi confronti. E i nipoti degli haciendados ce l'hanno ancora a morte con lui per via dei mulini di zucchero distrutti dagli incendi e dei loro beni andati perduti. Tutti costoro, coinvolti in qualche modo nella sua sconfitta e, alla fine, nel suo assassinio, provano ancor oggi un senso di colpa che fa loro considerare con ferocia l'intera storia, fino a indurli a descrivere Emiliano come un criminale e un bandito. Zapata era senza dubbio un uomo violento, non più violento però dei suoi nemici; e la guerra da lui combattuta ebbe luogo nei termini in cui già si stava combattendo dagli altri. Non fu lui a inventare le crudeltà che vennero commesse. Si limitò ad adeguarsi alle regole del combattimento in vigore al momento in cui prese il potere. Vi furono crudeltà tremende su entrambi i fronti. Torture feroci da una parte e dall'altra. Non vedo alcun motivo per inserire tutto questo nel film, a meno che non serva a mostrare il clima di violenza emotiva di quei tempi. Zapata tuttavia era un uomo più grande del suo popolo. Un uomo che appartiene al mondo intero. Come simbolo di brigantaggio e di violenza, ma anche di resistenza all'oppressione, è un simboio di valore universale. Stando così le cose, mi propongo dunque di scrivere questo soggetto ispirandomi alla regione esatta del Messico in cui si è svolto e, anche, alla gente esatta. Mi viene in mente che potrei risolvere molti problemi se non facessi uso di nomi. Il Presidente, che all'epoca era Porfirio Diaz, nel mio soggetto sarà semplicemente il Presidente. Zapata stesso sarà, almeno nei suoi primi anni giovanili, soltanto Emiliano. In seguito diventerà El Jefe, cioè il Capo; e più tardi ancora sarà noto come il Generale. Il suo nome non verrà mai menzionato, se non forse nelle ultime battute del film. I suoi avversari, penso, potranno essere chiamati molto banalmente con i loro titoli militari: il Generale, il Colonnello, il Sergente e così via. C'è un'usanza, in Messico, che rende tutto questo molto facile. E' l'abitudine di chiamare le persone con il loro nome intero. Uno, per esempio, non parla di Zapata ma di Emiliano Zapata o 'Miliano Zapata, usando quindi nome e cognome. E' quindi assai facile usare soltanto il nome e venir subito compresi. E questo non soltanto in Messico ma in tutta l'America Latina. Ritengo che, in questo modo, il soggetto potrebbe essere sottratto a tempi e costumi specifici, cui altrimenti potrebbe essere ancorato, e acquistare un significato più generale e universale. E sono anche certo che in tal modo sopiremmo ogni polemica con le persone che in varie occasioni si sono trovate coinvolte all'epoca in qualche disgraziato episodio collegato alla vicenda. Se non verranno usati i loro nomi, non avranno armi da usare contro il film. Tanto, naturalmente, tutti in Messico sanno quali sono le persone di cui stiamo parlando. Vorrei inoltre dare una certa limpidezza alla vicenda. Emiliano mi è stato descritto dai suoi amici come un uomo non portato ai discorsi. Nei rapporti quotidiani, usava poche parole e veniva subito al punto. Diversamente da molti altri messicani, non amava le orazioni lunghe e fiorite. Era un cowboy e da cowboy parlava. La sua grandezza stava nella sua semplicità. Mi è stato raccontato, ad esempio, che allorché le sue truppe gli rifiutarono il permesso di partecipare in persona alla battaglia durante l'assedio di Cuernavaca, lui passò il tempo a tagliare rami d'albero per fabbricare lettighe per i feriti. Verso la fine, i suoi soldati dovettero darsi da fare per trattenerlo nelle retrovie; nel timore di perderlo di vista proprio quando ne avevano più disperatamente bisogno. E tuttavia in parecchie circostanze analoghe egli obbedì loro e accettò di restare dietro le linee. ! La storia dev'essere portata | sullo schermo in maniera semplice, diretta e quasi infantile; e tuttavia deve contenere qualcosa che lasci intendere che si tratta di una storia di valore universale e quasi mistico, giacché contiene un suo significato preciso. Mi sembra anzi che tale significato sia direttamente applicabile ai tempi attuali. La collettivizzazione può giungere da direzioni opposte - dall'estrema sinistra e dall'estrema destra - e la vita di Emiliano Zapata, da qua- lunque parte si presenti, simboleggia l'ergersi del singolo individuo contro di essa. Zapata è l'uomo forte e controllato di cui anche oggi il mondo ha bisogno. (...) Non bisogna dimenticare mai che l'odio e il sospetto verso i grìngos sono molto forti in Messico. Ovunque sia possibile usare qualche messicano come cuscinetto tra la troupe americana e la gente del luogo, bisognerebbe farlo. Ciò vale per tutti i film girati in Messico da compagnie americane; ma nel caso di questo film è assolutamente indispensabile, giacché ci stiamo occupando di un personaggio amato a tal punto dal popolo messicano che qualsiasi accenno possa sminuirlo o ridicolizzarlo in qualunque modo potrebbe provocare una sommossa e causare con ogni probabilità la distruzione della pellicola. E va detto anzi che peremo quelli che lo odiano sarebbero comunque pronti a difenderlo contro un gringo. Elia Kazan la pensa come me. Anche secondo lui non occorre andare in giro per tutto il Messico. Gli ho fatto vedere alcuni piccoli villaggi e ha l'impressione che ne bastino un paio per disporre di tutti gli ambienti necessari. Sono già bell'e pronti e non c'è bisogno di alcun cambiamento. L'unica modernizzazione del Messico dai tempi di Zapata si vede lungo le arterie principali, dove scorrono le linee di forza del potere. Per il resto, tutto è rimasto com'era. (...) Parlando con Elia Kazan, ci siamo trovati d'accordo circa l'opportunità di non usare troppe comparse. E' molto più semplice ed efficace indicare dei numeri che utilizzarli. Tanto, la cinepresa più di tanti non ne può inquadrare. Quasi tutte le compagnie cinematografiche americane si cacciano nei pasticci in Messico perché non conoscono bene le usanze e le sottigliezze locali. Vi sono persone cui bisogna fare degli omaggi. Vi sono parole che vanno dette e che, se vengono taciute, inducono chi se le aspetta a sentirsi insultato: pessima cosa non soltanto per i rapporti che la troupe deve intrattenere, ma per il film stesso. E' relativamente facile per un qualsiasi gruppo di messicani inferociti sabotare il film che si sta girando, se decidono di farlo. Ed è altrettanto facile evitare ogni sabotaggio del genere. Ecco un'altra buona ragione per inserire un messicano tra i responsabili della produzione. Kazan e io la pensiamo allo stesso modo sul film, sia per i sistemi di produzione che per l'impostazione della storia. Siamo sintonizzati sulla stessa lunghezza d'onda. Come me, lui pure ha studiato per parecchi anni la vita di Zapata. Siamo entrambi convinti che il lavoro è importante e che potrebbe venirne fuori un film importante. Ultima cosa. Conosco un solo attore che potrebbe assumere il ruolo di Emiliano Zapata in maniera verosimile, schietta e credibile: Pedro Armendaris. Se si confronta una foto di Armendaris con una di Zapata, si vedrà che hanno il medesimo volto, la stessa fierezza e la stessa vitalità. Oltre a questo, Pedro cavalca bene ed è credibile a tutti i livelli. Come taglia è più alto e un po' più largo di Emiliano, ma faccia e razza sono le stesse. Con Zapata bisogna infine prendersi alcune libertà. Non possiamo lasciargli i mustacchi lunghissimi che aveva e che ai suoi tempi erano popolarissimi, anche se possiamo dargli dei baffi un po' più corti. Temo che se glieli lasciassimo della lunghezza originale, al cinema la gente si metterebbe a ridere. Bisognerà dunque modificarli lievemente, in modo tale che, pur caratterizzando il suo viso, non suscitino l'ilarità degli spettatori contemporanei. John Steinbeck Trad. di Ruggero Bianchi Da «"Zapata", introduzione, commenti e sceneggiatura inediti per "Viva Zapata!"» Copyright Baine A Steinbeck 1991 «Era crudele e violento: ma non più dei suoi nemici» «La sua vita fu un'epopea: e per gli indios non è mai morto» IIfuturo premio Nobel scrisse il film per Kazan: voleva un vero azteco gli imposero Brando Emiliano Zapata a Città del Messico e, sopra, Marion Brando nel film di Kazan. Nell'immagine grande John Steinbeck: scrisse la sceneggiatura senza nascondere una crescente ammirazione per il rivoluzionario indio