Ciarrapico: sentenza stalinista

Ciarrapico: sentenza stalinista Ciarrapico: sentenza stalinista «Questa non è giustizia, io ho restituito tutto*. MILANO. «Nò, òggi a Milano non si è fatta giustizia». «E' la cronaca di una sentenza annunciata, una sentenza stalinista». Giuseppe Ciarrapico, detto il «Ciarra», presidente della Roma e imprenditore caro a Giulio Andreotti, questa condanna (cinque anni e sei mesi) proprio non la manda giù. E, a differenza degli altri protagonisti, lui, vecchio combattente della finanza non si tira indietro. Parla ai microfoni della tv, rilascia dichiarazioni alle agenzie di stampa e in serata, ospite di Enzo Biagi negli studi Rai, lancia l'ultima stoccata. «Chissà cosa succederà d'ora in poi dopo le attenzioni che mi ha riservato la procura di Milano...». «Mi auguro - aveva del resto dichiarato poche ore prima che la procura di Milano finalmente si accorga che manca molto denaro dai conti del vecchio Ambrosiano, non rientrato né per capitale né per interessi ma che ha consentito grandiosi affari di arricchimento a potentati e gruppi che non sono mai stati presi in considerazione dalle molte inchie¬ ste giudiziarie»!, ni [.ni Di più il «Ciarra» non dice ma la rabbia è davvero tanta. «Oggi a Milano - commenta - si è compiuto un rito. Non a caso c'era il procuratore capo a fianco di Dell'Osso». Più un sacrificio, sembra voler dire, che un atto di giustizia. Lui è stato condannato a cinque anni e sei mesi per aver ottenuto 35 miliardi da Roberto Calvi nel febbraio dell'82. Quei quattrini necessari per acquistare l'acqua Fiuggi, recitano le accuse, l'avvocato ciociaro li ebbe «senza prestare le necessarie garanzie» e senza intenzione di restituire il capitale. «E quando mai? Ho ricevuto - ringhia Ciarrapico - 35 miliardi ma ne ho restituiti 74. E quando mi hanno interrogato ho consegnato la fotocopia dei versamenti. Mica occorre una società di certificazione per capire, di fronte a prove del genere, che io ho pagato tutto il dovuto». Ma il vecchio Banco, all'epoca non navigava in buone acque. Anzi. Roberto Calvi aveva provato l'onta della galera e appariva disperato, alla ricerca di consensi e amici... «Già - risponde all'obiezione il re delle acque minerali - ho preso i soldi a febbraio, tre mesi prima che la Consob ammettesse l'Ambrosiano nei recinti della Borsa e un mese prima di un rapporto positivo degli ispettori di Banca d'Italia sulla situazione del Banco Ambrosiano». Come faceva il «Ciarra», insomma, a sapere che il Banco versava in cattive acque? Ma proprio dall'Ambrosiano e da Calvi, insiste Biagi, lei doveva farsi, prestare i quattrini? «E perché non dall'Ambrosiano?» replica lui. Prove, insom¬ ma, almeno a suo dire non ne esistono e la condanna dettata dai giudici di Milano pare più dettata da presunzioni e da schemi che non da un'esame dei fatti. «Sentenza stalinista aveva del resto commentato in una nota scritta poche ore prima -. Sono stato condannato senza una testimonianza contro, senza una prova documentale contro e dopo aver restituito tutto, anche gli interessi». E adesso? «Naturalmente risponde - ho già presentato ricorso in appello e, sia ben chiaro, io passerò una Pasqua sere- na, sia come uomo che come imprenditore. Io credo nello Stato, un cittadino non può non aver la giustizia come un punto di riferimento essenziale. Questo è solo il primo atto». E ribadisce il concetto che gli è più caro. «Ci si è dimenticati forse di cercare quello che mancava all'appello del patrimonio del vecchio Banco Ambrosiano, o che forse era stato liquidato per pochi spiccioli». Aprile amaro, stavolta per il «Ciana» milanese. Solo un anno fa l'avvocato, proconsole di Andreotti, faceva la spola tra i grandi alberghi meneghini per celebrare la pace contrattata (o meglio imposta) tra De Benedetti e Berlusconi in Mondadori. Lui scendeva al «Principe e Savoia», l'immancabile valigetta ai fianco, e dettava le nuove condizioni ai quartier generali di Cir e Fininvest, condannati a far la pace da questo terzo, imperturbabile incomodo. E adesso, invece, è arrivata l'ora dei giudici, diffidenti e convinti che l'intervento dell'avvocato romano negli affari del Banco pochi mesi prima del collasso non sia un caso. Tanto convinti, ricorda lui, da trascurare pure la testimonianza di Pier Domenico Gallo, il direttore del Nuovo Banco Ambrosiano che ha confortato in aula le tesi di Ciarrapico. Adesso come un anno fa, ironia della sorte, il «Ciarra» si trova associato ai salotti nobili della finanza ma non è detto, gli fa osservare Biagi, che l'ingresso nei salotti porti sembre bene... «Stavolta - risponde lui senza scomporsi - nei salotti ci sono entrato comunque a vele spiegate...». [u. b.] «Condannato senza testimoni d'accusa e senza prove» A sinistra l'imprenditore Giuseppe Ciarrapico, proprietario di acque minerali e case di cura e presidente della Roma Calcio

Luoghi citati: Fiuggi, Milano