Cori e striscioni, che tifo di Gian Paolo Ormezzano

Cori e striscioni, che tifo Cori e striscioni, che tifo L'autogol diRocha è sembrato un debito pagato dalla sorte TORINO. L'impressione, sino al gol di Fusi, quello del 2 a 0, quello della finale con l'Ajax per il Torino che ha eliminato il Real Madrid, è stata di una specie di debito pagato dalla sorte, anzi dal destino alla squadra granata, in possesso di lunghi crediti. L'autogol di Rocha dopo sette minuti era parso proprio una consegna di diritti pregressi. E così un po' tutta la partita, sin lì. Quelli del Real Madrid non potevano saperlo, ma toccava a loro essere vittime di questa consegna. Che però, dando al Torino un po' di fortuna, metteva al tempo stesso la sorte in grado di riprendere a colpire la squadra granata, un esercizio che dura dal 1949 e che riesce spesso bene. La folla non era preparata al regalo, o meglio alla restituzio- ne, o meglio ancora all'atto di giustizia indiretta. Fra l'altro il gol era arrivato senza che ancora questa folla si fosse svincolata dal favoloso rituale prepartita, con i cori vasti e precisi, gli striscioni srotolati, a far sapere davvero tutto (magnifico il «A Madrid come a Licata - fieri d'essere granata»), e prima ancora Chiambretti prillante in campo fra quelli del Real che si scaldavano, e quel continuo palpitare di bandiere rosse. Ventiquattro milioni sono stati spesi per la coreografia ufficiale, e di questi tre in carta igienica, mai così nobilitata da un uso speciale. Guardando la curva Maratona, sembrava ad un certo punto di veder palpitare la pelle di un drago scuoiato. Ma anche l'altra curva era accesa, e persino i distinti con un gran tricolore dove il rosso era più forte del verde e del bianco. Ancora avviluppata da questa festa, la gente era chiamata ad una festa, come dire?, tecnica, quella del gol, che significava aritmeticamente, ancorché non matematicamente, la finale. Era, questa gente, raffigurabile nell'innamorato che sta preparando la bella frase per la donna in arrivo per offrirsi a lui, va in camera da letto per controllarsi allo specchio e lei è già lì che lo aspetta, è entrata dalla finestra. Per tanto tempo la gente è stata come sorpresa e ingozzata di questa felicità più trovata che conquistata. Ha masticato quell'autogol, la gente, per tanti minuti, cercando di metabolizzarlo bene, al massimo. Poi è, diciamo, entrata in partita. Ha trovato una squadra con l'affanno giusto, fisiologico visto l'impresa che stava compiendo, Cravero come bloccato dal freddo, Martin Vazquez intorpidito, altri forti e solenni come vichinghi nella tempesta: Annoni, Fusi, Scifo, Bruno, Mussi, Venturin... E c'è stato il gol, questa volta senza nessuna riscossione di crediti pregressi, e poi è corninciata la scansione quasi animale del tempo. L'idea era che la sorte adesso potesse riprendere il suo ruolo terribile, infliggere al Torino un gol, premiando gli assalti del Real, e costringere la partita a ricominciare con i supplementari, aprendo una grossa ferita di fatica nelle squadre: e sicuramente quella granata avrebbe sanguinato di più, perché sì. Ma l'arbitro non ha neanche recuperato troppo, ha fischiato la fine con fiscalità media e comprensibile, anzi doverosa. Grande arbitro svizzero, con precisioni da longines e gestualità da swatch, così come grande era stato l'austriaco dell'andata al Bernabeu. Dove i tifosi messi in prigione dietro le sbarre dell'anello alto dello stadio studiavano senza saperlo da Silvio Pellico per un risorgimento granata. Gian Paolo Ormezzano

Luoghi citati: Licata, Madrid, Torino