Kabul si sveglia sotto assedio

Kabul si sveglia sotto assedio Rotta la tregua imposta dall'Onu, i russi scappano per paura di vendette Kabul si sveglia sotto assedio I guerriglieri alle porte, Najib in fuga La guerra più lunga della storia moderna è arrivata ai giorni cruciali. Ma sarà decisa dalle armi e non, come pareva ormai stabilito, dàlia diplomazia. I ribelli che da quindici anni combattono il regime comunista afghano sono alle porte di Kabul. Dieci chilometri di trincee li separano dal palazzo di Najibullah. Ma i mujaheddin islamici rischiano di trovarla vuota. Il padrone dell'Afghanistan, secondo radio Kabul, è già scappato, abbandonando le ultime truppe lealiste al loro destino. Il fragile accordo per una riconciliazione nazionale tessuto dall'Onu è già a pezzi. Fuggono anche i russi: l'ambasciata fa partire tutto il personale non indispensabile. Temono la vendetta dei guerriglieri, che non hanno dimenticato dieci anni di orrore, armi chimiche, guerra batteriologica. Il governo ha messo in stato di massima allerta le forze che difendono la capitale. L'avanguardia di Najib ha ripiegato, abbandonando due caserme e la base aerea di Baghram che sono cadute nelle mani dei ribelli. Si combatte per il controllo del villaggio di Dehsabz, 10 chilometri a Nord di Kabul. Ormai non i cannoni del regime, ma solo le lacerazioni interne tra l'ala moderata e quella fondamentalista possono fermare l'attacco finale dei mujaheddin. La notizia della fuga di Najibullah viene dalla radio indiana, che cita radio Kabul: «Il Presidente intende riparare all'estero, probabilmente a Delhi». E dire che il leader pareva aver trovato il modo di uscire di scena in punta di piedi, senza traumi. Solo sette giorni fa aveva accettato di farsi da parte. Da Ginevra il segretario dell'Onu.Boutros Bqutros-Ghali aveva annunciato l'accòrdo tra le parti in guerra. Il potere sarebbe passato a un Consiglio di transizione, composto da quindici «saggi» al di sopra delle fazioni, che avrebbero retto il Paese fino a una conferenza internazionale di pace da convocarsi al più presto. Il più riottoso ad accettare il patto delle Nazioni Unite era Gulbuddin Hekmatyar, leader dell'ala oltranzista dei ribelli, l'Hezb-eIslami. Chi aveva sopportato il peso maggiore della guerra, i bombardamenti russi sui villaggi, la fame sulle montagne, non tollerava di vedere il nemico cedere all'Onu e non agli insorti. I mujaheddin radicali non si sono rassegnati ad affidare alla diplomazia le sorti del Paese ormai decise dalle armi. Volevano prendersi la capitale. Così, mentre guadagnavano tempo («non siamo contrari al piano di pace, ma la lista dei saggi non si scriverà senza di noi»), preparavano l'offensiva su Kabul. Quando, l'altra sera, Najibullah ha saputo che tutti gli aerei e le bombe della grande base di Baghram, a cinquanta chilometri dal suo palazzo, erano finiti nelle mani dei guerriglieri, è stato preso dal panico. Nel frattempo i suoi fedelissimi, riuniti in consiglio di guerra, decidevano di abbandonarlo. Forse Najib è fuggito davvero, se ieri anche gli uomini del Watan, il partito di governo, rivolgevano appelli pubblici al Presidente: «Mettiti in salvo, lascia Kabul». Avevano un messaggio anche per l'inviato dell'Orni, Benon Sevan: «Ferma gli ultra, il governo deve passare subito al Consiglio dei saggi». L'ultima mossa degli scudieri del regime comunista per non vedere gli islamici entrare nel loro feudo. Una trappola che i capi dei mujaheddin hanno intuito. Ieri sera hanno intimato ai generali di arrendersi, «per evitare che si sparga altro sangue», e a Najibullah di restare: «Non deve fuggire, la sua sorte sarà decisa dall'Assemblea Nazionale». Gli ultra sono decisi a fare i conti direttamente con il fedele ne¬ mico. Ma la concordia nelle loro file è solo apparente. Le due fazioni più forti, l'Hezb-e-Islami e il Jamiat-e-Islami, rivendicano entrambe la presa della base aerea e delle due caserme sulla strada per Kabul. Da anni dedicano forse più tempo a combattere tra loro che contro il regime, pur ispirandosi tutte e due al fondamentalismo islamico e sognando una rivoluzione sul modello iraniano. Fonti diplomatiche sostengono che la base sia stata occupata dagli uomini del Jamiat-e-Islami, che poi si sarebbero alleati con i governativi per respingere l'attacco degli altri ribelli dell'Hezb-e-Islami. Tutto è possibile nel labirinto afghano: tre anni fa nella lotta tra moderati e ultra caddero centinaia di mujaheddin. All'ambasciata russa è arrivata una disposizione urgente dal ministero degli Esteri: «Andatevene. Il personale non indispensabile e tutti i familiari dei diplomatici tornino a Mosca». Motivo: ragioni di sicurezza. «C'è il timore che possiate esse- re catturati come ostaggi». E' l'ultima fuga dei russi da Kabul. Su quelle montagne l'Armata Rossa è rimasta per nove anni e ha conosciuto il suo Vietnam: massacri per difendere un regime in agonia dal suo stesso popolo, decine di migliaia di morti e il sospetto che l'inferno afghano fosse il nuovo gulag per i giovani oppositori. Fino all'88, quando Gorbaciov disse basta. Da allora fino a ieri, Najib ha lottato solo. AldoCazzullo I leader afghano Najibullah