Borges fuori dal tempo e dall'Orario bastano due sedie per far cultura

Borges fuori dal tempo e dall'Orario bastano due sedie per far cultura TJVU'&TIVU Borges fuori dal tempo e dall'Orario bastano due sedie per far cultura UN Borges con i baffi, ieri sera a «Fuori Orario», mezzanotte e 55. La Rai ha recuperato due interviste al grande scrittore argentino, l'autore di «Finzioni» e della «Biblioteca di Babele», girate nel '71 e nel '77. La prima condotta da un intervistatore d'eccezione: un giovane Alberto Arbasino, elegantissimo e con fieri baffi da moschettiere di Treville, tutt'altra immagine di quella del «teppista» del Gruppo '63, accreditata poco tempo fa da Enzo Siciliano in una polemica sui rapporti BassaniFeltrinelli e le avanguardie letterarie di trent'anni fa. Le due interviste s'intrecciavano per dar corpo all'idea di letteratura in Borges, maestro del fantastico, del mondo come specchio e come labirinto. E all'inizio di questa idea c'è, anche per Borges, una mamma. Una di quelle mamme che seppur invecchiano sembrano sempre più giovani dei loro figli. Una mamma dalla lingua saettante, le mani affilate, che racconta come a sei anni il suo bambino avesse scritto il primo racconto, «La visiera fatale», un racconto onirico, molto colto, ma ahimé, scritto con calligrafia infantile. Un bambino, Borges, che voleva sempre leggere, che non riusciva mai farlo stare in giardino, che a sette anni traduceva «Il principe felice» di Wilde, che raccontava, al mattinò, dei sogni così formalizzati che lei, la madre, I tava I forn gli chiedeva di ripeterglieli perché erano già «racconti». Quella con Arbasino ha un altro sapore. Piantati in un prato, su due sedie, gli scrittori si lasciano andare ad una appassionante discussione su cosa sia la letteratura. Per Borges è più immagine che parola, è sogno, è fantasticare, parlare di dei e miti, il resto è giornalismo e storia. Arbasino parla di «assemblaggio», «strutture formali», è tutto nel dibattito di quegli anni, Jakobson, Sklovskij, Barthes, si data come il colore delle immagini, deve contestualizzare nel panorama culturale, l'intervista. Borges è senza tempo, da sempre, il tempo lo infastidisce, taglia corto mentendo, risponde che lui è naif, che lo scrittore deve scrivere «semplice», cogliere l'immagine e foderarla di ragione. Non gli piace il Barocco perché è troppo autocosciente mentre la letteratura fantastica è naturale. Solo i sogni sono reali, la Storia è un incubo. Con grande civetteria arriva a sostenere che Borges non gli piace, che è uno scrittore mediocre. Forse gli è arrivata all'orecchio quella battuta, ma forse è sua, che dice: «Borges è la brutta copia di un grande scrittore che non esiste». Peccato non esistano più «nicchie» dove condurre simili interviste. Non c'è più Borges, Arbasino ha smesso. Ma il desiderio di ascoltare discorsi culturali «alti» non credo sia finito. Ci prova Corrado Augias con Babele. Augias dice di spingersi «al limite». La riuscita completa potrebbe essere proprio in quell'entrare «nel limite», fregandosene della «televisività». Certo si può parlar di libri e di letteratura attraversando Ricci e Moana Pozzi, sgambettando con Gene Gnocchi e la Gialappa's band. Ma c'è anche quello spazio dove l'occhio televisivo può diventare neutro perché ciò che conta è il dire con la voce e con il corpo, senza l'ingombro dello studio. Bastano due sedie e chi su quelle sedie sia disposto a farsi parola, idea, Nico Orango 'go | Jorge Luis Borges

Luoghi citati: Treville