L'arma in più si chiama Dawkins

L'arma in più si chiama Dawkins Basket, da oggi la finale a quattro con la favorita Philips contro il Partizan L'arma in più si chiama Dawkins Milano insegue a Istanbul il sogno europeo ISTANBUL DAL NOSTRO INVIATO Darryl Dawkins fa paura. Per qualche attimo ha messo in allarme anche gli agenti del servizio di sicurezza previsto per la visita del presidente francese Mitterrand, che soggiorna nello stesso albergo della Philips. Quel gigante nero di 209 cm per 130 chili di muscoli, una pesante catena di quattro maghe d'oro attorno ad un collo che pare quello di Mike Tyson e due enormi bracciali d'oro ad ogni polso ricorda, di primo acchito, il forzuto Mister T, il personaggio del serial televisivo A-Team. Ma Darryl, 34 anni e i capelli ormai radi sul suo testone nero, è fondamentalmente un buono: gli anni e le esperienze non sempre fortunate lo hanno trasformato. Ora è un vero professionista, ben diverso dal ragazzone smanioso di essere personaggio ad ogni costo che, a soli 18 anni, passò direttamente dalle scuole superiori ai soldoni della Nba. Adesso che la sua carriera volge al tramonto ha voglia di vincere finalmente qualcosa: un trofeo da mettere accanto all'unico conquistato ai tempi del liceo, in Florida. Ora sa usare bene quel suo fisico imponente: quel maestoso sedere diventa un'arma devastante per farsi spazio sotto canestro e le sue gambe, a dispetto di tutti gli antinfiammatori che ha ingerito per dimenticare l'usura delle ginocchia, sanno portarlo su in alto per inarrestabili schiacciate e stoppate stratosferiche. E' lui che fa indicare la Philips come favorita delle finali dell'Euroclub (prima edizione di questa Coppa Campioni allargata, che non vede in lizza neppure una delle quattro che si affrontarono a Parigi un anno fa: scomparsi squadroni «abbonati» all'ultimo atto come Barcellona, Maccabi o Spalato); è lui che fa dimenticare le sfavorevoli sentenze del girone eliminatorio, in cui finirono ai primi due posti le spagnole, Joventut Badalona ed Estudiantes Madrid, mentre il Partizan Belgrado, avversario odierno in semifinale, sconfisse due volte i milanesi. Ma anche D'Antoni, il coach della Philips, garantisce: «Non siamo più quelli battuti dagli slavi: questo Dawkins ci dà maggiore consistenza tecnica e psicologica, più tranquillità». Una grossa responsabilità scaricata sulle spalle dell'ex Baby Gorilla, ma sono spalle forti le sue, e quasi stupisce sentirlo dire: «Certo, a Milano l'inserimento è stato più Difficile rispetto a Torino, dove avevo una casa fuori città, un giardino, all'americana. E mia moglie lo ha patito più di me. Ma sono qui per giocare e per vincere, per questo l'ho rimandata in America. Sono tranquillo e concentrato». E D'Antoni può permettersi persino di scherzare: «Il premio vittoria? Per me è importante conquistare questo titolo per non dover andare a luglio a Bormio, al secondo corso per... il patentino da allenatore». Alla finale, per il momento, non pensa: lascia che si scannino le due spagnole, indicando la Joventut dell'ex varesino Thompson leggermente favorita. E prepara la rivincita che conta sul Partizan Belgrado, questa squadra sulla quale ha sparso ancora il suo sapere Aza Nikolic, il padre della leggenda di Varese, il Diavolo bosniaco che tante volte fu fatale alle scarpette rosse milanesi negli Anni 70. «Una squadra che ha due soli campioni - dice D'Antoni - il play Dordjevie e la guardia Danilovic, ma che tira bene, gioca con intelligenza e pazienza, che è pericolosa perché sa penetrare e scaricare la palla fuori all'uomo smarcato, ma che soprattutto difende come... di solito non sanno fare gli jugoslavi, ma come vuole Nikolic». Sembra poco, però è bastato per mettere già in ginocchio due volte i milanesi. Ma stavolta, con questo Dawkins, anche, Pittis, Riva e Montecchi giurano di aver imparato la lezione. Se è vero, il prossimo appuntamento è per giovedì, con quella Coppa che manca da Milano dal 1988. Guido Ercole