Tre storie astratte di castigata bellezza di Angelo Dragone

Tre storie astratte di castigata bellezza Gino Gorza, Mario Surbone e Sandro De Alexandris: gli Anni Sessanta e Settanta a Torino Tre storie astratte di castigata bellezza Come trovare una nuova essenzialità tra materia e struttura ETORINO HE cosa potesse ancor esserci «dopo l'informale» - ch'è stato tema d'una memorabile mostra/ convegno, a San Marino, nel 1963 (facendo seguito alle rassegne Arte concreta di Zurigo e Pittura monocroma di Leverkusen entrambe del '60) - a Torino lo si vide presto e forse anche meglio che altrove. Quasi contemporaneamente, infatti, fin da allora qui si prospettò un'alternativa tra le più aperte. Da un lato le ricerche concettuali e, soprattutto, l'Arte Povera, rapidamente rimbalzata a Roma e a New York. Dall'altro il versante di un'arte cui si doveva approdare attraverso uno straordinario rigore costruttivo che poteva persino sembrarne l'autentico contenuto. E non a caso se appariva, oltre tutto, motivato da un'autoctona tradizione (cresciuta attraverso una sorta di contagio calvinista) mentr'era caratterizzato dal senso di un necessario ricominciamento. Allo stesso modo in cui, internazionalmente, si era manifestato nell'arte «minimale». Tale era il clima al quale, tra il 1960 e il '75, si sono ricondotte, in maniera esemplare, proprio le ricerche materico-strutturali di tre torinesi (di elezione, se non proprio di nascita) come Gino Gorza (Bassano del Grappa 1923), Mario Surbone (Treville Monferrato 1932), Sandro De Alexandris (Torino 1939). Ognuno avrebbe potuto vantare una propria storia, tutta da raccontare, ma con sviluppi tra loro, poi, così ben intrecciati da alimentare, nella maniera più puntuale, la complessiva ricostruzione critica che Marco Rosei - curatore della mostra patrocinata dalla Provincia di Torino e ordinata (fino al 30 aprile) al Circolo degli Artisti - ne fa in catalogo, sotto il titolo «Individualità e confluenza». Il suo saggio appare subito destinato a sottolineare l'originalità e l'autonomia di ciascuno, ma anche la prospettiva estetica che potè accomunarli. Né si mancherà di osservare come, proprio in catalogo, le valenze grafiche della copertina (più ancora del frontespizio), finiscano col dare alla presenza dei tre, Gorza/Surbone/De Alexandris, una portata tale da caratterizzarne l'ambiente, come in realtà vuole anche il titolo dell'esposi¬ zione: Torino '60-70. Non pochi tuttavia - prendendo in considerazione il pubblico più vasto - scopriranno soltanto oggi non diciamo i nomi dei tre, ben noti, protagonisti, ma il senso offerto dall'insieme delle opere scelte da Rosei nel momento in cui i loro caratteri creativi vengono a collocarsi nel più articolato filone delle astratto-concrete «strutture significanti». La mostra ha messo insieme una cinquantina di opere, assai varie per materiali impiegati (tela, cartone, legno, metalli, bachelite), oltreché nella ideazione formale, spesso di carattere oggettuale - a due e, quasi più frequentemente, a tre dimensioni ispirata (per usare una definizione di Enrico Crispolti) da «una linea di rigore strutturale non figurativo». Ad impostarle è una geometrica progettazione che favorisce le più pesate distribuzioni: non spaziali soltanto, ma dettate da equilibri giocati sulle dominanti bianche e nere, più che su colori, sia pur parcamente impiegati, o nella resa delle superila lucide e opache, a volte in un riflesso che sa di satinato. E' un percorso segnato da un'esigenza di essenzialità che si riflette in una specie di castigata bellezza, come dimostra Gorza nel passare dall'olio di Bagnanti del '52 alle risentite tecniche miste dei primi Anni 60, fino a quelle vere e proprie sculture con Bivalve e Dormiente. E, come lui, Surbone: da Figura a Grafico B, Incidenza BN (che significa bianco/nero), Equilibrio e soprattutto nell'approdo alla serie degli Incisi, impostati con estrema raffinatezza sui ritmi cui i tagli danno vita, come nel trittico del '72. A De Alexandris, comparso nel '63, bastano due più spesse superfici per far passare tra loro una ... orizzontale al centro, facendo d'ogni quadro la misura, scandita, di uno spazio, fidando in un bisturi affilato e in un foglio di cartone per dar vita a capolavori di percettivismo non-cinetico, ma sì in «bianco su bianco». A volte con l'aggiunta di fragili lembi di garze, o fogli, veline dalle più sottili trasparenze: non più che un segno allarmato. Ma allarmante al pari di certi fantasmi che s'aggirano tra i veli dipinti da Gorza a volte come sottilissimi, impalpabili sudari. Angelo Dragone Sopra: «Figura», olio su tela di Mario Surbone (1964) Qui accanto dall'alto in basso: «Doppio percorso diagonale» (1970) di Sandro De Alexandris e «Dormiente» (1967) di Gino Gorza

Luoghi citati: Bassano Del Grappa, New York, Roma, San Marino, Torino, Zurigo